NON SONO UNA SPIA

By lovewillkillus

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Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionagg... More

Anonima
Benvenuta a Boston
Guerra all'ultimo squat
Esclusa
Che panico
Rialzati, agente Kelley
Errore mio
Basta distrazioni
In piedi
Sta' attenta
Non male, agente Kelley
Concentrati
La festa è finita
Torna a casa
Ti tengo d'occhio
Voglio evaporare
I capi sono brutti
Blackout
Oltre l'armatura
Allontanati
Il giardino segreto
Troppe emozioni
Di male in peggio
Tempo scaduto
Il mio posto preferito
Dalla parte giusta
Distrarre e fuggire
Segreto
Sono fottuta
Matthew
Non è un gioco
Ghiaccio al sole
Piano C
Due passi
Gelato
Inizia il gioco
Sconveniente
Ingenua
Bacetto
Seccatura
Momento di gloria
Insieme
Senza cuore
Tutto giusto
Scomodo
Non sono una spia

Arrabbiati

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By lovewillkillus

Posso dire che la mia vita sta cominciando a prendere una piega inaspettata?
Sì. Lo dico.
Perché mai e poi mai mi sarei aspettata di finire a Boston, con un nuovo lavoro e a casa del capo dipartimento più stronzo e bello del pianeta. Dovrei ringraziare il comandante Barrett? O maledirlo? Sono seduta su una sedia, i gomiti poggiati sul tavolo e gli occhi fissi sull'enorme fascicolo di Matthew Walsh.

Alla mia destra Evan sta leggendo dei documenti mentre alla mia sinistra Rafael mangia delle verdure frullate, emettendo dei lamenti per via del dolore. Ha la faccia ancora gonfia e piena di lividi e si muove come un bradipo in letargo.
«Quindi», dice. «Perché siete qui?».
Evan inarca un sopracciglio: «Perché è casa mia?».

L'espressione confusa di Rafael mi fa venire voglia di ridere, ma mi trattengo e fingo di non esistere.
«Hai detto tu che potevo rimanere qui», borbotta, il cucchiaio sospeso in aria.
«Finché non ti saresti ripreso»
«Ti sembra che io mi sia ripreso?», chiede, offeso.
«Penso di sì, vista tutta questa energia di parlare e fare domande».

Rafael risponde mostrandogli il dito medio mentre Evan scuote la testa e torna al suo lavoro.
«Sei un agente anche tu?», questa volta sono io a non riuscire a trattenere la curiosità. Evan sbuffa, scocciato dalle nostre chiacchiere. Nemmeno lui riesce a concentrarsi.
«Posso essere tutto quello che desideri», ribatte subito, avvicinando un po' la sua sedia alla mia. «Anche un compagno di avventure, se vuoi». La sua risposta inaspettata mi mette in imbarazzo e le guance non impiegano molto prima di colorarsi di rosso. Odio le emozioni che mi tingono la faccia. Traditrici.

«Non so se sarebbe in grado di gestire l'intensità delle tue avventure, considerando poi come vanno a finire», Evan fa un cenno in direzione dei lividi che gli incorniciano il corpo e Rafael alza gli occhi al cielo, tornando al suo posto.
«Non mi avete risposto, comunque», Rafael torna a parlare, ignorando il modo in cui il capo dipartimento lo sta soffocando con solo l'uso dello sguardo. «Che state facendo qui?»

«Matthew l'ha contattata», lo informa Evan, serio come se avesse appena annunciato la morte di qualcuno. Il suo tono grave mi fa rabbrividire. L'aria nella stanza sembra farsi più pesante e anche Rafael cambia espressione, cancellandosi dalla faccia il sorriso giocoso.
«Matthew?», mi lancia un'occhiata veloce. «Matthew Walsh?»
«Proprio lui», è Evan a rispondere.

Le mie gambe tornano a tremare. Sono terrorizzata. Davvero. Continuo a chiedermi in cosa mi sto cacciando. Dalle loro facce capisco che si tratta di qualcosa di pericoloso. Molto pericoloso.
«Cazzo», Rafael trattiene il fiato. «È perfetto»
«È rischioso»
«Rischioso è dir poco», farfuglia. «Ma... È perfetto. Cerchiamo un'occasione del genere da troppo tempo».
«Possiamo avvicinarci a lui con modalità alternative», Evan non ha ancora preso una decisione sul Piano C.

«E per quale motivo? Ci ha servito l'ingresso nella sua vita su un piatto d'argento»
«Perché è troppo rischioso», sibila, sferrandomi uno sguardo veloce.
«Tutti gli agenti sotto copertura corrono dei rischi», Rafael è serio quando parla.
«Althea non l'ha mai fatto»
«C'è sempre una prima volta»
«Non è come provare un nuovo gusto di gelato, Rafael», Evan si spazientisce, le vene del suo collo diventano più evidenti. Apre nervosamente il fascicolo di Matthew e sembra arrabbiarsi sempre di più ad ogni pagina che sfoglia.

«Vale la pena rischiare», Rafael si alza, irato. Non capisco perché si stanno arrabbiando tanto. Mi sento di troppo.
«Se vale la pena rischiare sarà solo Althea a dirlo»
«Non vuoi farlo?», Rafael pone direttamente a me la domanda.
«Voglio farlo», confermo. Anche se dentro di me il cuore sta per esplodere di paura.
«Vedi? Vuole farlo!»
«Non ha idea di quello che dovrà affrontare!», stanno urlando.
«Posso farlo», mi alzo anch'io. Evan chiude gli occhi e si massaggia le tempie con le dita. Gli abbiamo procurato un bel mal di testa. Sospira una volta, due.

Preme le mani sul tavolo e si sporge verso di me: «Althea, tesoro, prova a ragionare», scandisce con calma le parole, piene di nervosismo a stento trattenuto. «Sai cosa vuol dire avere una relazione con un sospettato?»
«Sì»
«No», scuote la testa lentamente. «Non lo sai»
«Potrebbe essere necessario un coinvolgimento fisico», Rafael parla al posto di Evan. «Molto fisico», sottolinea. «Baci o...»
«Basta», Evan lo interrompe bruscamente, sollevando la mano per indurlo a zittirsi del tutto. Gli occhi brillano di rabbia mentre torna a parlare con me. Usa un tono dolce, persuasivo. Come se volesse convincermi a non accettare. «Si tratta di una missione delicata, Althea. Non sei pronta»
«Mi impegnerò»

«Evan...», Rafael sussurra, scrutando il volto del suo amico con preoccupazione. «Non possiamo perdere questo treno»
«Stai mettendo a dura prova la mia pazienza, Rafael», un sibilo che mi fa deglutire rumorosamente. È furioso.
«E tu non ragioni lucidamente».

Quest'ultima affermazione sembra la goccia che fa traboccare il vaso. Mi aspetto una sfuriata, ma il capo dipartimento recupera tutti i fogli sparsi sul tavolo e abbassa lo schermo del laptop per richiuderlo. Non aggiunge niente. Non ci degna di risposte.
«Signor Royden», lo chiamo, ma è come se non mi sentisse.
Continua ad occuparsi delle sue cose, immerso nei suoi pensieri. Dopo minuti interminabili ci guarda. Prima me, poi Rafael.

«Penserò lucidamente», ci informa. «Mi consulterò con gli esperti del settore e vi farò sapere. Fino ad allora, questo argomento si chiude qui». Cammina verso il corridoio e aggiunge: «Seguimi».
Non so a chi si sta rivolgendo e io e Rafael ci scambiamo degli sguardi confusi.
«Vuoi allenarti o no?».
Parla con me.
«Io non andrei», bisbiglia Rafael, divertito.
«Ho paura», sussurro.
«Portati la pistola», suggerisce.
«Vi sento!».
Aiuto.

Due ore dopo sono sudata e ansimante. Non per i motivi che vorrei. Evan mi ha distrutta. Davvero. Mi ha torturata con tecniche di difesa, facendomele provare ancora e ancora.
Se ti attaccano devi essere in grado di difenderti.
Reagisci.
Proteggiti.
Devi colpire forte, Althea.
Usa la forza, agente Kelley!
Arrabbiati.
La tua capacità di difesa può fare la differenza in una situazione di emergenza.
Più saprai difenderti, più sarai al sicuro.

Ha ripetuto frasi di questo genere una marea di volte, quasi come se la mia sicurezza fosse diventata la sua nuova ossessione.
Adesso se ne sta fermo accanto a me mentre io corro in modo matto e disperato su un tapis roulant, senza fiato e vicinissima allo svenimento.
«Ancora cinque minuti», dice. Peccato che lo abbia già detto venti minuti fa.
«Non...», mi manca l'aria. «Non respiro»
«Puoi farcela»
«No»
«Hai ancora fiato per lamentarti, quindi sì».
Lo odio.

Rimango zitta. Sono esausta. Vorrei piangere, ma non lo faccio. Continuo a correre veloce fino a quando Evan non abbassa la velocità e l'aggeggio infernale sotto i miei piedi si ferma. Le gambe tremano talmente tanto che sono costretta a lasciarmi cadere sul pavimento. Mi fa male tutto.
Evan si abbassa per arrivare all'altezza del mio viso arrossato e mi porge una bottiglietta d'acqua: «Sei troppo lenta».
Mi viene voglia di mandarlo dritto a quel paese, ma rimando indietro gli insulti a sorsi d'acqua.

«Sto facendo del mio meglio»
«Non è abbastanza», sentenzia.
«Mi sto impegnando»
«Devi impegnarti di più».
La mia rabbia sputa fuori parole senza chiedere il permesso al cervello: «Perché non mi lascia in pace, eh? Non ha nessun altro da tormentare? Si trovi un'altra pedina da sacrificare per i suoi perfidi piani se io sono solo un'incapace!», mi sforzo ad alzarmi, incerta sulle mie gambe doloranti. Cammino a passo spedito verso la porta, gli occhi velati da lacrime.

«Althea», mi chiama. Fingo di non sentirlo.
«Agente Kelley», riprova, spazientito.
Fermo le dita sul pomello e sussulto quando con uno scatto veloce blocca la porta con la mano, incastrandomi tra il suo petto e il legno. Chiudo gli occhi, cercando di raccogliere i frammenti del mio coraggio.
«Girati», ordina, la voce carica di autorità.
Non ci penso nemmeno. Vedrebbe le lacrime di frustrazione che stanno rigando le mie guance.
«Guardami, Althea», insiste, il tono ora più morbido, ma comunque deciso.

Titubante, obbedisco. Il cuore mi si stringe davanti al suo sguardo penetrante. L'espressione severa vacilla quando si accorge delle mie lacrime.
«Numero uno: non sei una pedina», passa i pollici sulle mie guance per asciugarle. Il suo tocco delicato è in netto contrasto con la voce dura. «Numero due: tutto ciò che faccio è per il tuo bene. Credi che mi diverta vederti sfinita? Pensi che a me piaccia ridurti in questo stato?».

Le sue parole sembrano farmi sgorgare fiumi. Non so più nemmeno perché io stia piangendo.
«Voglio solo aiutarti ad essere al sicuro quando nessuno potrà proteggerti. Hai capito?», scosta una ciocca di capelli dal mio viso con un gesto quasi automatico. «È per il tuo bene», ripete ancora.
Io annuisco, ma continuo ad essere per qualche motivo sconvolta. Forse per niente. Forse per tutto.
«Bevi un po' di acqua», si allontana per recuperare la bottiglietta che ho abbandonato sul pavimento. La mette tra le mie mani e mi osserva con apprensione mentre bevo. L'acqua ha il sapore salato delle mie lacrime.

Torno a sedermi a terra e lui fa lo stesso, inginocchiandosi di fronte a me. «Va meglio?».
Faccio segno di sì con la testa. Non riesco a parlare.
I minuti passano e nessuna parola riempie l'aria, solo il mio respiro incerto. Evan continua a starmi accanto. Senza fretta, senza pressioni, se ne sta lì ad aspettare che io torni in grado di affrontare il mondo.
Poi le sue mani si muovono lente verso di me. Esitanti, le sue dita calde avvolgono con dolcezza le mie mani. I suoi palmi rassicuranti premono contro la mia pelle ed io mi sento... meglio.

Ci guardiamo negli occhi e credo di essere diventata pazza perché mi sembra di percepire un legame intimo, qualcosa che va oltre le parole, una comunicazione silenziosa. Lui mi chiede di stare calma e anche il sangue che scorre nelle mie vene rallenta, sfuggendo alla frenesia.
Non posso fare a meno di pensare: mi sto innamorando di lui?
Mi stringe le mani ed io vorrei che non le lasciasse mai più.

«Althea», mormora. «Stai bene?»
«Sì», tiro su col naso.
«Non piangere, per favore. Non lo sopporto», libera una mano solo per asciugarmi le lacrime. «E quanta acqua riescono a perdere questi occhi? Mi stai annegando», mi prende in giro ed io mi lascio scappare una risata.
Sorride e mi pare di aver mangiato un centinaio di farfalle. Come può essere al tempo stesso ferita e guarigione?

«Alzati», mi aiuta a rimettermi in piedi e sento un vuoto quando i nostri corpi non sono più a contatto. «E, per la cronaca, non ho scelto un'altra persona per i miei perfidi piani perché ritengo che tu sia perfettamente in grado di portarli a termine con successo»
«Non è obbligato a consolarmi, signore», borbotto.
«No. Infatti non lo sono», conferma. Si avvicina alla porta e sta per aprirla, ma qualcosa lo trattiene dal farlo.

Si gira con calma verso di me e poggia la schiena contro il muro: «Althea...», si passa una mano sul mento, irritato. Sta per chiedere qualcosa che non gli piace: «Non hai risposto al messaggio di Matthew, vero?»
«Non ancora», mi guardo intorno per recuperare il mio cellulare e deglutisco rileggendo l'sms che mi ha inviato parecchie ore fa. «Ma anche se non abbiamo ancora preso una vera decisione credo che sia arrivato il momento di rispondere. Se useremo un altro piano sparirò. Cambierò numero, se necessario».

Nascondo il panico concentrandomi sulla tastiera digitale. Spero che Evan non noti il mio stato d'ansia. Rifletto per istanti interminabili sotto gli occhi glaciali del capo dipartimento, poi corrugo la fronte: «Ma cosa devo dire?».
Evan si posiziona dietro di me e osserva dall'alto lo schermo del cellulare. Il suo corpo premuto contro il mio mi distrae ancora di più e non riesco a formulare un pensiero di senso compiuto.

«Fingi di scrivere a un uomo qualunque. Elimina dalla testa tutte le informazioni che hai su di lui»
«Okay», annuisco, il fiato corto.
Ci penso ancora un po' su e mi allontano dalla vista di Evan. Lui sembra confuso dal mio gesto e inarca un sopracciglio.
«Mi imbarazza scrivere messaggi ad un uomo mentre lei se ne sta fermo lì a giudicare».

Schiude le labbra e corruga la fronte, sorpreso: «Ti imbarazza?», torna ad avvicinarsi a me. «Che cosa vuoi scrivergli?»
«Niente di indiscreto», scappo letteralmente da lui, camminando in cerchio lungo le pareti della sala, le guance in fiamme.
«Ti consiglio di non farmi innervosire, Darlene»
«Perché dovrebbe innervosirsi? Voglio solo un po' di privacy»
«La privacy non esiste in questi casi», sorride malefico. Si diverte a vedermi arrossire mentre vago come una mina.

«Beh, mi serve concentrazione e non riesco ad ottenerla se mi sta vicino».
Ma che dico? Evito di guardare nella sua direzione perché so già che sta inarcando l'angolo delle labbra.
Concentrati.
Concentrati.
Okay. So cosa scrivere:

"Forse potrei lasciarti indovinare, Matt. Mi piace l'idea che sia tu a scoprirlo. A tal proposito, come pensi di riuscirci?".

«Ammirevole», la voce di Evan vicinissima alle mie orecchie mi fa sussultare. Quando diavolo si è avvicinato così tanto?
«Chi ti ha insegnato? Casanova?», mi prende in giro e trattiene a stento una risata. Voglio sotterrarmi.
«Non sapevo cos'altro dire!», mi difendo, il volto accaldato. Viene voglia di ridere anche a me a causa dell'imbarazzo.

L'aria leggera sparisce immediatamente quando Matthew risponde nel giro di pochi secondi: "Vieni con me a cena e farò in modo che il tuo nome esca dalla tua bocca spontaneamente. Che ne dici?".
Evan serra la mascella mentre io deglutisco rumorosamente.
Le cose si stanno evolvendo in fretta. Troppo in fretta.
Ed io non credo di essere pronta.

Buonasera! ♥️
Come state?
Eccomi tornata con un nuovo e luuungo capitolo. Spero che la lunghezza non vi sia dispiaciuta 😂
Fatemi sapere cosa ne pensate delle dinamiche che avete letto. Sono stra curiosa di sentire il vostro parere 😍
Un bacio
Sarà

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