NON SONO UNA SPIA

Oleh lovewillkillus

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Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionagg... Lebih Banyak

Anonima
Benvenuta a Boston
Guerra all'ultimo squat
Esclusa
Che panico
Rialzati, agente Kelley
Errore mio
Basta distrazioni
In piedi
Sta' attenta
Non male, agente Kelley
Concentrati
La festa è finita
Torna a casa
Ti tengo d'occhio
Voglio evaporare
I capi sono brutti
Blackout
Oltre l'armatura
Allontanati
Il giardino segreto
Troppe emozioni
Di male in peggio
Tempo scaduto
Il mio posto preferito
Dalla parte giusta
Distrarre e fuggire
Segreto
Sono fottuta
Matthew
Non è un gioco
Piano C
Due passi
Arrabbiati
Gelato
Inizia il gioco
Sconveniente
Ingenua
Bacetto
Seccatura
Momento di gloria
Insieme
Senza cuore
Tutto giusto
Scomodo
Non sono una spia

Ghiaccio al sole

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Oleh lovewillkillus

Sono in piedi davanti ad un edificio fatiscente, in una strada davvero poco illuminata e con due cartoni di pizza tra le mani. Il vento della sera mi fa rabbrividire mentre osservo Evan che avanza in direzione di una scala antincendio. Sale i gradini e si ferma al terzo piano, poi corrugo la fronte quando scavalca la ringhiera di ferro per raggiungere con un balzo leggero il balcone del condominio vicino.

Scavalca il parapetto con un'agilità invidiabile ed io rimango a fissare ogni suo gesto con la bocca spalancata. Più che un agente di polizia sembra un ladro in piena regola. Nella penombra lo vedo tastare con le dita il muro. Credo abbia trovato una chiave perché armeggia con la serratura di una portafinestra prima di aprirla. Sparisce dentro casa ed io vengo un po' colta dalla paura. Non mi sembra un bel quartiere. Mi guardo le spalle e sposto il peso del mio corpo da un piede all'altro.

Stringo il cartone delle pizze come se fosse un'ancora di salvezza. La mia mente comincia a fantasticare su tutte le brutte persone che potrebbero sbucare da dietro l'angolo, ma cerco di scacciare quei pensieri. Il signor Royden non permetterebbe mai che mi accadesse qualcosa di brutto. Credo. Spero.
Dopo pochi minuti, che sono sembrati un'eternità, finalmente il portone principale si apre, rivelando il viso rassicurante di Evan. Non gli dico di essere felice di vederlo.

Lo seguo per delle scale ripide e fin troppo silenziose. Sembra un condominio fantasma e questo mi mette ansia.
Il mio orrore cresce a dismisura non appena Evan si scansa per farmi entrare in casa e scopro che si tratta di un monolocale.
Una stanza. Un letto matrimoniale ricoperto da cuscini colorati con accanto un comodino con una lampada da lettura. Una piccola cucina arredata in modo essenziale, con armadietti e ripiani in legno chiaro. Davanti al piccolo frigo c'è un tavolino basso in legno massello e su di esso una lampada da tavolo diffonde una luce soffusa.

Dovrò passare davvero la notte con lui. Non ci separeranno nemmeno i muri. A meno che io non decida di dormire in bagno.
Non c'è neanche un piccolo divano o una poltrona. Niente di niente. Forse dovrei davvero cercarmi un hotel.
«Hai intenzione di rimanere qui pietrificata ancora per molto?», Evan mi desta dallo shock. Non mi ero resa conto di essere rimasta immobile davanti all'ingresso. Muovo qualche passo in avanti e deglutisco quando chiude la porta e lo spazio mi pare ancora più ristretto.

«Qualcosa non va, agente Kelley?», sorride beffardo. Ha di certo capito che lo spazio ristretto mi sta mandando in crisi. Infatti, poco dopo aggiunge a voce più bassa: «Ti mette a disagio lo spazio limitato?»
«Un po' sì», ammetto. «Ma sono sicura che ci adatteremo»
«Ne sono sicuro anch'io», un ghigno sardonico ad abbellire il suo volto. Mi sfila le pizze dalle mani e le poggia sul tavolino, poi con un movimento sinuoso si libera della giacca, rivelando le linee definite del suo corpo.

Riprenditi, Althea.
Mi sfilo anch'io il soprabito e mi muovo impacciata nel mio abito fino al tavolo. Il nostro abbigliamento stona profondamente con l'ambiente in cui ci ritroviamo.
«Siamo qui dentro legalmente?». La mia domanda lo fa sorridere. Recupera una bottiglia d'acqua e tira fuori dal frigo delle lattine di coca. Ogni movimento è impregnato di sicurezza, la postura regale, con la schiena dritta e le spalle larghe.

«Sono il legittimo proprietario di questo posto, se è questo che ti preoccupa»
«Scusi. È che l'ho visto saltare da una scala a un balcone come Arsenio Lupin e mi è venuto il dubbio».
Si siede davanti a me, l'angolo delle labbra leggermente sollevato: «Siamo qui legalmente».
Annuisco, non del tutto convinta. Prendo un pezzo di pizza e lo addento, cercando disperatamente di rilassarmi. Mi sento tesa come una corda di violino.

È tutto così... Strano. Un'ora fa mi stava ringhiando addosso e adesso stiamo mangiando una pizza in un monolocale vestiti come se avessimo partecipato ad una serata di gala.
«Non volevo rovinare i suoi piani», trovo il coraggio di dire.
«Sto cercando di non pensarci, Althea»
«Scusi», riempio la bocca con un pezzo di pizza. «Pensavo davvero di fare una cosa intelligente»
«Senza prima esserti consultata con me», sottolinea.

«Non c'era tempo. Ho agito d'impulso»
«È proprio questo il problema», spiega. Il suo tono è calmo, asciutto. È come se la sua reazione in macchina lo avesse svuotato dalla rabbia incontrollata e adesso sia tornato perfettamente in grado di controllare i nervi. È ancora furioso, ce l'ha scritto in faccia, ma non lo lascia trapelare. «Ti ricordo che non è la prima volta che agisci in modo impulsivo».

Faccio la finta tonta mentre nella mia testa scorrono le scene di me in pasticceria intenta a creare il caos pur di rubare un bigliettino.
«Posso dire in mia difesa che, quella volta, se non avessi seguito l'istinto non avremmo mai avuto l'indirizzo del centro estetico in cui operava un giro di droga e prostituzione?»
«E posso dire che se ti avessero beccata avremmo perso il triplo del tempo per portare tutto alla luce del sole?», mi scimmiotta. «Per non parlare dei rischi a cui saresti stata esposta tu personalmente».
Giusto.
Torno a mangiare per non dire altre scemenze.

Nella stanza piomba il silenzio e viene interrotto dal suono del mio cellulare. Oddio. Evan alza la testa di scatto, puntando gli occhi scuri dentro ai miei. Leggo un mix di emozioni nelle sue iridi: curiosità, rabbia, sfida, nervosismo.
Ci alziamo entrambi e camminiamo a passo svelto verso la borsa. Il suo corpo alle mie spalle così vicino mi fa mancare l'aria e le mie mani tremano mentre afferro lo smartphone per vedere che a chiamarmi è... mia nonna.
Evan legge il nome lampeggiare sul display e fa un passo indietro, quasi imbarazzato. Mi ha praticamente travolto per vedere chi è che mi sta chiamando.

«Posso?», chiedo il permesso di rispondere con un sopracciglio inarcato.
«Prego», si passa la mano tra i capelli scuri e torna a sedersi.
Io vado in bagno per avere un minimo di privacy e rispondo a bassa voce.
«Nonna»
«Tesoro, hai mal di gola?»
«No», bisbiglio. «Ma non posso parlare. Sono a lavoro», invento. Non potrei rispondere a tutte le sue eventuali domande. Non con Evan a meno di un metro dalla porta.
«Oh, scusami tanto. Volevo solo augurarti la buonanotte».

Il mio cuore si stringe davanti al suo tono dolce e confortante. Dopo la morte dei miei genitori lei è stata mamma e padre. Mi manca così tanto... Accidenti. Asciugo una lacrima in fretta e tiro su col naso: «Buonanotte, nonna. Ti amo tanto».
Riattacco senza sentire altre risposte. Approfitto di questo piccolo angolo di intimità per riprendere fiato. Non so perché, ma quando sono vicino a Evan vado in apnea.

Osservo le piastrelle bianche sulle pareti, il lavandino con rubinetti cromati, la toilette e la piccola doccia coperta da una tenda bianca. Un piccolo armadietto sopra il lavandino completa l'arredamento in modo pratico. È piccolo, ma accogliente.
Cammino verso la doccia e sono pronta a scansare la tenda per vederne l'interno, ma inciampo sul mio stesso abito e balzo in avanti. Per non cadere di faccia provo ad aggrapparmi alla prima cosa che vedo. Le mie mani afferrano istintivamente la tenda, ma la forza dell'impatto fa cadere il bastone telescopico che la regge. Una fitta veloce di dolore acuto mi pervade mentre il bastone mi colpisce la testa con un tonfo sordo. Perdo l'equilibrio e finisco sul pavimento.

«Althea?», Evan bussa alla porta, nel tono un velo di preoccupazione.
Io gemo e cerco di rialzarmi, sentendo un rivolo di sangue sgocciolare lungo il mio viso. Aia.
«Sto bene!», urlo, in preda alla vergogna. Ma perché diavolo mi è venuto in mente di controllare la doccia del signor Royden?
«Posso entrare?».

Sono a terra, sulle mattonelle fredde, avvolta come un burrito in una tenda da doccia e con un bastone sulle gambe.
Che imbarazzo.
«Althea», chiama ancora.
«Sì», sospiro.
Evan piomba nella stanza ed il suo sguardo preoccupato mi rintraccia subito sul pavimento. Voglio morire.

Mi schiocca un'occhiata accigliata e punta gli occhi sulla ferita che mi sono procurata alla testa. Un lampo di allarme gli balena sul volto. Anche se dubito sia realmente preoccupato per me. Forse ha paura che macchi il pavimento lucido.
Si accovaccia davanti a me e allunga la mano per afferrarmi il mento. Studia con attenzione la ferita, poi mi lascia andare per dedicarsi alla tenda che è diventata praticamente una trappola mortale. Mi libera le gambe e poi infila un braccio sotto la mia ascella per aiutarmi ad alzarmi. Vorrei allontanarmi dal suo petto caldo, ma mi ritrovo ad appoggiarmi a lui invece che scansarmi.

Mi fa male la testa. Parecchio. E mi sento stordita. Non so se dalla botta o dal profumo di Evan Royden. Forse entrambi.
«Ho mal di testa», borbotto mentre lui mi conduce fino alla cucina. Scansa il cartone delle pizze e strozzo un urlo quando mi solleva afferrandomi per i fianchi e mi fa sedere sul tavolo per studiare meglio il mio viso. Mi sfiora la fronte con le dita e mi sento riscaldare a poco a poco.

«Non è niente di grave», mi rassicura. «Ti gira la testa?», si allontana solo per prendere garze e disinfettante.
«No, signore».
Inizia a dedicarsi alla ferita e mi tocca lentamente, con cura, come se avesse paura di farmi male in qualche modo. Mi scordo perfino di avvertire dolore. Il suo corpo è così vicino al mio che l'unica cosa su cui riesco a concentrarmi è la sensazione elettrizzante che sta animando ogni parte di me. Quando le sue labbra si inarcano in un sorrisetto beffardo una vampa di calore  risale dallo stomaco alle guance. Si è accorto che lo stavo fissando.
Voglio sotterrarmi.

«Hai questa curiosa inclinazione all'auto-sabotaggio», si diverte a sottolineare. Non perde occasione di prendersi gioco di me.
«È colpa del vestito», mi difendo. «Si è impigliato sotto i tacchi»
«E ti ha catapultata contro la doccia», ribatte con un'occhiata sarcastica. Si sta divertendo. Nonostante l'espressione di scherno il tocco della sua mano continua ad essere gentile e rassicurante. Mi fa sentire protetta.

«È stata una serie di sfortunati eventi», mi stringo nelle spalle e la mia pancia si scioglie quando si lascia sfuggire una breve risata. Mio. Dio.
Mi ucciderà. Forse davvero ho una tendenza all'auto distruzione. Non me ne starei qui con lui a qualche centimetro dal corpo altrimenti.
Finisce la sua medicazione coprendo la ferita con un cerotto chirurgico. «Ecco fatto», sorride come si fa ad una bambina che si è appena sbucciata il ginocchio.
«Grazie».

Le sue dita si stringono sui miei fianchi e con agilità mi riporta sul pavimento. Non sembra intenzionato ad aumentare la distanza tra di noi e mi ritrovo incastrata tra lui e il tavolo.
«Scusi se ho distrutto la doccia», borbotto poi. «E l'intera missione».
Mio Dio, sono un danno vivente.
«Forse potrebbe scrivere una lettera molto convincente al comandante Barrett e rispedirmi a New York. In questo modo potrò finalmente sparire dalla sua vista e nessuno saboterà il suo lavoro», sparo una parola dietro l'altra. «Non lo biasimerei se scegliesse di farlo, signore»
«Non hai combinato niente di così grave da farmi desiderare di averti fuori dalla mia vista», dice serio. «Sei esattamente dove voglio che tu sia, agente Kelley».
E mi sembra di sciogliermi come ghiaccio al sole.

Buon pomeriggio!
Come state?
Ecco a voi il nuovo capitolo. È un capitolo di passaggio, ma spero che vi sia comunque piaciuto. Fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi aspettate dal prossimo 😈
E dell'ultima affermazione di Evan che mi dite? Sta cuocendo a fuoco lento? 😂
Vi aspetto nei commenti.
Un bacio grande
Sara

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