NON SONO UNA SPIA

By lovewillkillus

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Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionagg... More

Anonima
Benvenuta a Boston
Guerra all'ultimo squat
Esclusa
Che panico
Rialzati, agente Kelley
Errore mio
Basta distrazioni
In piedi
Sta' attenta
Non male, agente Kelley
Concentrati
La festa è finita
Torna a casa
Ti tengo d'occhio
Voglio evaporare
I capi sono brutti
Blackout
Oltre l'armatura
Allontanati
Il giardino segreto
Troppe emozioni
Di male in peggio
Tempo scaduto
Il mio posto preferito
Dalla parte giusta
Distrarre e fuggire
Segreto
Sono fottuta
Matthew
Ghiaccio al sole
Piano C
Due passi
Arrabbiati
Gelato
Inizia il gioco
Sconveniente
Ingenua
Bacetto
Seccatura
Momento di gloria
Insieme
Senza cuore
Tutto giusto
Scomodo
Non sono una spia

Non è un gioco

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By lovewillkillus

Se il mondo potesse inghiottirmi, proprio in questo istante, glielo lascerei fare volentieri. È uno di quei momenti in cui preferirei lottare a mani nude contro un drago piuttosto che affrontare la realtà. Sono sull'auto di Evan da meno di trenta secondi e già avverto nell'aria la tempesta che si scatenerà a breve. Più che un mezzo di trasporto sembra un campo di battaglia. Evan non parla, ma l'aria nell'abitacolo è impregnata della sua furia compressa e a stento trattenuta. Non mi guarda, come se temesse di farmi esplodere il cranio se solo i nostri sguardi si incrociassero.

Guardo fuori dal finestrino e aspetto. Non so esattamente cosa io stia aspettando, ma sono sicura del fatto che qualcosa arriverà.
Una sfuriata. Un rimprovero. La minaccia di spedirmi dritta a New York.
Lui in tutta risposta guarda avanti in modo ostinato e temo che possa ridurre il parabrezza in mille pezzi con solo la forza del pensiero. Ogni tanto la sua mascella si irrigidisce e stringe il volante con una tale forza da mettere in evidenza le vene sulle mani. Si sta trattenendo. È ovvio. Vorrebbe abbandonarmi sul ciglio della strada per poi non rivedermi mai più.

Il suo silenzio mi tortura più di mille parole.
Parlami. Di' qualcosa.
Vorrei rompere il ghiaccio, ma temo di accendere una miccia accanto ad una bomba ad orologeria.
«Signor Royden», trovo il coraggio di parlare. La mia voce gli fa serrare ancora di più la mascella squadrata.
Ho paura. Posso dirlo?
«Posso spiegare», dico.
Non mi risponde. Accelera per sorpassare un'auto e poi un'altra. Credo abbia fretta di riportarmi a casa.

«Non volevo rovinare nulla. È solo che...»
«È solo che cosa, agente Kelley?», m'interrompe, le parole energiche come saette infuocate. «Che hai deciso di fare quello che ti pare senza pensare alle conseguenze?»
«Ho pensato che potesse esserci utile», annaspo.
«Utile? Utile come, esattamente? Ti sembra una mossa da professionista?»
«Lui potrebbe darci molte informazioni», mi difendo. «Credo che sia la sua guardia del corpo. Se io mi avvicinassi a lui potrei...»

«Non erano questi i piani, Althea», sibila. «Non. Erano. Questi. I. Piani», scandisce bene le parole, stringendo sempre più forte il volante.
«Capisco che lei sia arrabbiato, signor Royden, ma...»
«Arrabbiato?», una risata gelida mi fa accapponare la pelle. «Hai messo a rischio l'intera missione e stravolto tutti i miei fottuti piani. Credi davvero che io sia solo arrabbiato, Althea?».
No. Arrabbiato è un eufemismo.
«Mi scusi», abbasso lo sguardo sulle mie mani giunte. «Pensavo di aver fatto una mossa intelligente per essere in vantaggio su di loro. Pensavo che fosse più prudente e meno sospetto avvicinarsi a lei attraverso la sua cerchia di fiducia. E Matthew sembra uno dei suoi uomini più fidati. Non pensavo di commettere un errore così grave. Insomma, è solo un numero di telefono... Probabilmente non mi chiamerà nemmeno»

«Solo un numero di telefono», ripete piano. Scuote la testa come se avesse appena sentito l'assurdità del millennio. «Hai idea di chi sia quell'uomo? Quali informazioni potrebbe ottenere da te e come potrebbe usarle contro di noi?»
«No, signore».
Mi parla con fermezza e arroganza, le parole sgorgano dalle sue labbra come comandi militari. Dovrei essere abituata a questo trattamento, ma i miei occhi pizzicano.
«Hai messo a rischio la tua sicurezza!», il suo sguardo mi scava dentro come una lama affilata.
«Mi dispiace»
«Le tue scuse non mi servono a niente», ribatte con tono gelido. «Le tue azioni hanno delle conseguenze, agente Kelley. Non puoi permetterti di agire con tanta leggerezza. Non hai più sei anni».

Annuisco, sentendo il rimorso stringermi il cuore come una morsa implacabile. Basta. Ti prego.
Non voglio piangere.
Non ora.
«Hai violato il protocollo di sicurezza più basilare. Dare il tuo numero personale ad un potenziale nemico è una negligenza inaccettabile. Ma cosa ti hanno insegnato a New York?».
Non rispondo. Non so che dire e temo di scoppiare in lacrime se solo aprissi bocca.

«Avevi solo una cosa da fare. Solo una cosa. Tu invece hai dimostrato totale disprezzo per l'autorità e la catena di comando. In questo dipartimento obbedire agli ordini è sacro, agente Kelley. Sono stato chiaro?»
«Sì, signore»
«Questa non è una partita. Ci sono delle vite in gioco. Non posso permettermi di avere agenti che agiscono in modo così imprudente e irresponsabile», sorpassa ancora un'altra auto. Davvero non vede l'ora di sbarazzarsi di me. «Il tuo comportamento mette in discussione la tua idoneità a operare in questo campo. Ti ho sopravvalutata, agente Kelly. E ho commesso un errore madornale»
«Mi dispiace, signore».

Ora sembra finalmente essersi liberato. Non aggiunge altro.
Io rimango intrappolata nel suo silenzio impenetrabile, avvolta dalle sue parole dure e taglienti. Le sento ancora nella testa, come pugnali che si conficcano nel cuore.
Lo guardo di sottecchi e non posso fare a meno di ammirare il suo fascino oscuro. È detentore di una bellezza così intensa che fa male alla vista, quella devastante, quella di chi è capace di rubarti l'ultimo respiro che hai in gola mentre sei rapita dai suoi occhi. Frammenti di notte incastonati nel viso di un angelo.
E ti ha praticamente sputato in faccia tutto il suo disprezzo fino a due minuti fa.

Guardo fuori dal finestrino mentre il paesaggio scorre veloce, un mosaico di luci e ombre che si riflettono sui vetri. La macchina si ferma davanti al mio condominio e il motore si spegne con un sospiro sommesso, come se anche lui avesse rinunciato a trovare le parole giuste. Lentamente apro la portiera e mi ritrovo sul marciapiede, sotto la luce fioca dei lampioni.
Non ho bisogno di voltarmi per sapere che i suoi occhi mi stanno accompagnando in ogni gesto.

«Scusi ancora, signor Royden», non ho il coraggio di guardarlo in faccia. «Buonanotte»
«Althea», mi chiama e sono costretta a rivolgere lo sguardo verso di lui.
«Voglio essere informato immediatamente quando ti contatterà»
«Potrebbe non chiamarmi», borbotto, totalmente pentita della scelta fatta. Spero vivamente che non lo faccia.
«Ti chiamerà», afferma con fermezza. «Buonanotte».

Annuisco e muovo qualche passo in direzione della porta, quindi infilo le mani nella borsetta per recuperare le chiavi e... Non ci sono.
No. No. No. No.
Continuo a cercarle, ma senza risultati. Le ho dimenticate.
Cavolo. Evan Royden penserà che, tra tutti i difetti, sono anche una disorganizzata cronica.
Okay. Calma.
Cerco ancora nella borsa, ma con più concentrazione. Mi auguro di vederle apparire dal nulla, ma non accade niente di niente. A peggiorare la situazione c'è la presenza di Evan fermo in macchina ad attendere il mio ingresso in casa.

Con le guance in fiamme, torno da lui che mi scruta con un sopracciglio inarcato.
«Ha una copia delle chiavi?», chiedo. «Le ho dimenticate».
In tutta risposta alza gli occhi al cielo e mette in moto: «Sali», ordina. «Dobbiamo andare a prenderle a casa mia»
«Posso aspettare qui», lo propongo solo perché ha la faccia di uno che preferirebbe spararsi in fronte piuttosto che passare dell'altro tempo insieme a me. Mi fulmina con lo sguardo.
Ricevuto.

Torno sul sedile del passeggero e bisbiglio in imbarazzo: «Grazie».
Non commenta la mia sbadataggine.
Guida fino a casa sua senza mai liberarsi della sua espressione scocciata. Spegne l'auto e mormora un: «Arrivo», prima di uscire dall'abitacolo.
Poi mi chiude dentro. Ehm, perché?
«Signor Royden», lo chiamo, ma lui è già troppo distante per sentirmi.
Perché lo ha fatto?
E se sentissi il bisogno urgente di fare pipì e quindi cercare di raggiungere un bagno? Dove dovrei farla?
Cavolo. Adesso che ci penso non faccio pipì da un bel po' di ore...
No. Non pensarci.

Evan torna dopo dieci minuti abbondanti. Se possibile, mi pare più arrabbiato di prima.
Sale in macchina e allarga con le dita il colletto della camicia, i muscoli delineati del collo si muovono sotto la pelle. Mi sento improvvisamente la gola asciutta. Acqua. Mi serve acqua.
Impiega qualche istante di troppo prima di prendere la parola: «Non posso entrare in casa», dice. Sembra piuttosto arrabbiato con se stesso.
«In che senso?»
«Ho preso le chiavi sbagliate»
«Ah».
Mi viene da ridere. Una risata isterica.

A Evan non sfugge la smorfia che compio con le labbra per trattenermi: «È divertente, agente Kelley?»
«No, signore», nego l'evidenza.
«In casa c'è Rafael che dorme», spiega. «Ma se scoppiasse il mondo durante il suo sonno lui non sentirebbe il botto».
Mette in moto e inizia a guidare per uscire dall'edificio.
«Hai qualcuno qui che può ospitarti?», chiede.
«No», rispondo. «Tutti i miei amici e i miei parenti sono a New York e non ho ancora instaurato relazioni di fiducia qui».

Annuisce e si chiude nel suo mutismo. Sta pensando ed io vorrei tanto entrare dentro la sua testa.
«Dove stiamo andando?», interrompo il flusso dei suoi pensieri.
«A prendere qualcosa da mangiare»
«Siamo entrambi rimasti fuori casa, signore», gli ricordo che il cibo è il nostro ultimo problema in questo momento.
«Me ne sono accorto», ribatte.
«Forse dovrei cercare un hotel o...»
«Non è necessario», m'interrompe. «Conosco un posto in cui possiamo passare la notte».
Possiamo? Plurale? Io e lui?
Vede che non rispondo, dunque si gira a guardare la mia espressione sconvolta. Forse sono troppo sconvolta perché con un sorriso beffardo aggiunge: «Hai un fidanzato che potrebbe offendersi?».
Mi schiarisco la voce: «No, signore»

«Preferisci cercare un hotel?», ancora quel sorriso maledetto.
Lo odio. Decido di armarmi di coraggio e sfidarlo a mia volta: «No, signore. A meno che lei non abbia una fidanzata che potrebbe offendersi».
Il mio cuore batte ad una velocità fuori dal normale quando per un breve istante la sua arroganza sparisce e viene sostituita da un accenno di risata.
Bella.
Molto bella.
Lui non risponde. Scuote la testa e torna alla guida. Un'ondata di calore mi investe in pieno al solo pensiero di dover passare la notte con lui ed il mio corpo inizia a scottare come se avessi la febbre. Deglutisco rumorosamente e guardo fuori dal finestrino per distrarmi, ma i miei pensieri non hanno proprio voglia di cambiare scenario. Aiuto.

Buon pomeriggio!! ❤️❤️❤️
Non ve lo aspettavate così presto, eh?
Mi sto impegnando per voi 😌
Ci tengo a ringraziarvi per il supporto e per i commenti che lasciate. Per me sono fondamentali per avere un vostro feedback e per capire se la storia vi sta piacendo.
Quindi, grazie mille.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Per non parlare del prossimo 😈
Spero di aggiornare con la stessa velocità.
Vi aspetto nei commenti!
Un bacione ❤️❤️

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