NON SONO UNA SPIA

By lovewillkillus

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Quando la giovane agente Althea Kelley viene improvvisamente trasferita a Boston per una missione di spionagg... More

Anonima
Benvenuta a Boston
Guerra all'ultimo squat
Esclusa
Che panico
Rialzati, agente Kelley
Errore mio
Basta distrazioni
In piedi
Sta' attenta
Non male, agente Kelley
Concentrati
Torna a casa
Ti tengo d'occhio
Voglio evaporare
I capi sono brutti
Blackout
Oltre l'armatura
Allontanati
Il giardino segreto
Troppe emozioni
Di male in peggio
Tempo scaduto
Il mio posto preferito
Dalla parte giusta
Distrarre e fuggire
Segreto
Sono fottuta
Matthew
Non è un gioco
Ghiaccio al sole
Piano C
Due passi
Arrabbiati
Gelato
Inizia il gioco
Sconveniente
Ingenua
Bacetto
Seccatura
Momento di gloria
Insieme
Senza cuore
Tutto giusto
Scomodo
Non sono una spia

La festa è finita

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By lovewillkillus

Mi manca l'aria.
Non respiro.
Mi tremano le gambe, le mani, il cuore.
Forse sto per svenire.
Rigiro tra le mani la divisa da cameriera e lancio un'occhiata a Evan. Sta tenendo un telo sollevato per proteggermi dagli sguardi di tutti mentre mi cambio. È troppo vicino. Inizio a sfilarmi l'uniforme che indosso e maledico le mie dita che non smettono di tremare.

«Un mio contatto ti farà entrare dalla porta sul retro. L'ho già informato del tuo arrivo», mi spiega. Punta lo sguardo sul mio viso ed io mi sforzo di guardarlo negli occhi, le guance in fiamme. Sono mezza nuda dentro un furgone pieno di uomini coperta da un telo tenuto in alto dal capo del dipartimento che, tra le altre cose, è pure un bel giovane uomo. Se lo avessi incontrato al supermercato o in un pub o in qualsiasi altro luogo ci avrei provato con lui, lo ammetto.

«Entra, raggiungi la festa, prendi un vassoio e muoviti tra gli ospiti. Non devi mai abbandonare la tua copertura, nemmeno quando noi saremo dentro. Sei una cameriera. Punto», il suo sguardo non si tradisce nemmeno per un istante. Potrebbe guardarmi il reggiseno con un battito di ciglia, ma si comporta come un perfetto gentiluomo. Non guarda altro che i miei occhi impauriti.
Spero non legga il panico nella mia faccia.

«Va bene», a malapena riconosco la mia voce agitata.
«Devi essere discreta, invisibile. Lì dentro è pieno di brutta gente. Non attirare l'attenzione per nessuna ragione al mondo»
«Non ho intenzione di mettermi a ballare sui tavoli e bere tequila nuda fino a svenire sul pavimento, non si preoccupi», mi blocco con la camicia aperta sul petto quando mi rendo conto della risposta che ho dato. È l'ansia che mi fa dire cose sceme. Accidenti. Qualche collega ridacchia mentre Evan inarca un sopracciglio e mi fissa fino a quando non gli porgo delle scuse.

«Ricorda che i tuoi occhi adesso sono i nostri occhi. Devi mostrarci tutto. Entra anche in diverse stanze, se riesci»
«Ricevuto, signore», chiudo i bottoni della camicia e indosso anche la gonna. «Sono pronta, signore».
Lui si libera del telo mentre io mi abbasso per allacciare le scarpe dotate di tacco a spillo. Sciolgo i miei capelli e li lascio cadere liberi sulle spalle, poi mi paralizzo nel notare l'interesse scientifico di Evan nei confronti di ogni mio movimento.
Mi mette ansia. Perché mi guarda così?

«Vai», mi dice. Apre il portellone posteriore e mi aiuta a scendere tenendomi per mano. Lo ha fatto anche con Cristina prima e probabilmente lo farebbe con chiunque altro, ma non posso fare a meno di sentirmi avvampare nel sentire il suo palmo grande contro il mio.
«Vado», parlo più con me stessa che con lui.
«Niente errori»
«Niente errori», ripeto. Lo saluto in modo formale e poi mi dirigo in fretta verso il centro estetico. Il cuore ha intenzione di sfondarmi la gabbia toracica, ma fingo di stare bene.

Più mi avvicino al retro dell'edificio e più sento della musica jazz suonare in sottofondo. All'angolo della strada c'è un uomo con dei tatuaggi sulla faccia e i capelli biondi legati in un bun disordinato. Quando mi vede getta a terra la sigaretta che stava fumando e mi trascina per un braccio: «Entra», apre la porta ed io traballo sui tacchi. È questo il contatto di Evan?
Non ha l'aria di un agente.
Anzi, sembra un malvivente in piena regola.
Subito in corridoio si parano davanti a noi due uomini ed è il biondo a parlare prima che loro possano dire qualsiasi cosa: «È con me. A quanto pare serve più personale del previsto».

Loro annuiscono, ma uno di loro si avvicina per controllarmi.
Mi tocca le gambe, i fianchi, le braccia.
«È pulita», sentenzia prima di lasciarmi andare.
Io trattengo un conato di vomito e seguo il nostro collaboratore. Che paura. Alla mia emicrania non piace la piega che ha preso questa serata.
Lui apre un'altra porta e si scansa per farmi entrare, gli occhi talmente chiari e vuoti da sembrare ghiaccio: «Non metterti nei guai», mi dice, poi proseguo la mia avventura da sola.

Percorro un corridoio buio fino a raggiungere il salone. Ho il fiato corto e le mani sudate.
«Mantieni la calma, agente Kelley», la voce di Evan risuona nel mio orecchio e mi ricorda che non sono da sola.
Il corridoio mi conduce a delle scale a chiocciola. Scendo con finta disinvoltura, attenta a non inciampare sui miei stessi piedi.
Finalmente raggiungo la festa: il centro estetico che ho visto solo poche ore fa sembra essere stato totalmente smantellato.

L'ambiente è illuminato da luci soffuse, creando una sorta di atmosfera intima e sotterranea. Le cabine per i trattamenti sono state spostate per far spazio a dei divani in camoscio mentre alcuni angoli sono separati dal resto della stanza da tende scure. Non ho bisogno di pensare troppo per capire cosa sta avvenendo dietro a quelle tende.
Mi guardo intorno e afferro un vassoio con dei flûte colmi di champagne. Un angolo del centro estetico ha una piccola area per il bar dove dei baristi mescolano cocktail elaborati e servono vino in bicchieri di cristallo. Mi avvicino di più al bancone per mostrare ai miei colleghi sul furgone la droga e l'alcol che scorrono liberamente in questo posto.

Mi muovo tra gli ospiti e guardo tutti: ci sono uomini dai volti familiari, ma anche persone che non erano presenti tra i sospetti.
Tra la folla, individui dai look eccentrici e audaci si mescolano con l'eleganza. Abiti stravaganti e gioielli sfarzosi creano una tavolozza di colori vivaci.
Riconosco l'uomo della pasticceria, poi il fattorino e vedo perfino Cristina intenta a girare tra gli ospiti con un vassoio. Anche lei mi vede e mi rivolge un sorriso dispiaciuto.
Nella penombra, alcuni uomini vestiti di nero si assicurano che tutto vada per il verso giusto.

«Avvicinati alle tende», ordina Evan, il tono fermo e concentrato. Mi pare di vederlo nella testa: chino sullo schermo con gli occhi scuri ridotti a due fessure.
Faccio come mi dice e fingo di inciampare per aggrapparmi ad una tenda e scostarla per far vedere ciò che succede al suo interno. Il gesto è talmente veloce che a malapena io riesco a vedere qualcosa.

«Ti piace curiosare?», una voce profonda alle mie spalle mi fa rabbrividire. Deglutisco e mi volto con calma per trovarmi faccia a faccia con un uomo di cui conosco già il volto: Richard Davis, il padrone di questo posto.
Sorrido come una totale idiota: «Non era mia intenzione. Mi sono solo aggrappata alla prima cosa che ho visto per non cadere. Lavorare sui tacchi non è il massimo della comodità».

I suoi occhi azzurri si fiondano suoi miei piedi, poi percorrono con fin troppa lentezza il mio corpo per intero. Accenna un sorrisetto malizioso che mi fa venire il volta stomaco.
«Capisco», mi toglie il vassoio dalle mani e lo poggia su un tavolino basso, poi mi porge il braccio: «Aggrappati pure», consiglia. «È la tua prima volta qui, vero?».
Voglio piangere.
Mi ha già scoperta.
Perché Evan non parla?
Ha perso il collegamento?
Sono sola?

«Sì», rispondo.
«Sean trova ragazze sempre più belle». Non ho idea di chi diavolo stia parlando, ma appunto nella testa questo nome.
«La sua squadra è formata dalle cameriere più belle di tutta Boston», afferra due calici proprio dal vassoio che ci sta porgendo Cristina. Ci scambiamo uno sguardo complice in cui io le comunico che me la sto facendo sotto e lei mi chiede cosa accidenti ho al posto del cervello.

Poi il contatto visivo svanisce e torno a camminare tra la folla con il signor Davis. Mi porge uno dei bicchieri ed Evan torna a farsi sentire: «Non bere».
«Alcune di loro sono interessate a fare carriera, mentre altre no. Mi chiedevo... Tu da che parte stai?», scosta una tenda scura e tremo quando indica un divano nero.
Il mio panico cresce e mi chiedo se sono ancora in grado di parlare. Devo dare una risposta in fretta, ma mi pare che il tempo stia scivolando veloce come sabbia.

Devo dire qualcosa. Qualsiasi cosa.
Mi sento intrappolata in un incubo.
«Dipende», metto su una maschera di coraggio. «Posso lavorare senza tacchi?».
Lui sorride e delle rughe d'espressione si formano attorno alla sua bocca: «Ma certo. Puoi togliere le scarpe subito, se vuoi. Accomodati».
Mi sfilo le scarpe dai piedi e sorrido radiosa mentre mi siedo su questo terribile divano. Che schifo. Lui si siede accanto a me, talmente vicino da far sfiorare la sua coscia con la mia.

Gli porgo la mano e mi presento: «Sono Isobel, piacere»
«Sei interessante, Isobel», pronuncia il mio finto nome con uno strano tono. «Ti ho notata subito non appena sei arrivata. In mezzo a tanta folla mi sono rallegrato nel vedere un viso nuovo. Ho occhio per le belle ragazze»
«Sono lusingata». Posso vomitare sulla sua camicia?
Mi poggia una mano sulla coscia e reprimo l'istinto di dargli un pugno in faccia.

«Hai parlato di una carriera, prima. Posso sapere di cosa si tratta?».
Evan mi rimprovera subito: «Non essere precipitosa».
«Ti ho portata qui proprio per parlarne lontano da tutti», afferra una ciocca dei miei capelli e se la rigida tra le mani. «Dobbiamo essere discreti, sai?»
«Sono la regina della discrezione»
«Scommetto che sai cosa succede qui, dietro le quinte».

Dannazione.
Fingo di non sapere?
«Ho sentito delle voci», mi avvicino più a lui. «Sono vere?»
«Dipende», mi allarga il colletto della camicia con due dita e trattengo il fiato. «Tu cos'hai sentito?»
«Tante cose e niente di concreto»
«Brava», la voce di Evan mi incoraggia. «Resisti ancora un po'»
«Posso mostrartelo, se vuoi», mi sposta piano la mano sulla sua coscia, quasi all'altezza del pube.

«I soldi. Chiedigli dei soldi», mi consiglia Evan.
«Oppure possiamo passare all'azione e metterci d'accordo sulla paga, che ne pensi?».
Lui ride e scuote la testa: «Allora qualcosa di concreto lo hai sentito, Isobel»
«Forse»
«Mi piaci. Sei furba»
«E tu sei un coglione», è la voce di Evan a dare sfogo ai miei pensieri. Sono d'accordo con lui.

«Quanto vuoi?»
«Un anticipo di duecento dollari»
«Potresti darmi un anticipo di duecento dollari».
Il signor Davis inarca la testa da un lato e studia attentamente la mia faccia, poi per l'ennesima volta mi spoglia con gli occhi fino a quando non decide che ne vale la pena.
Si fruga nelle tasche e mi porge delle banconote e non appena le prendo mi afferra i fianchi per trascinarmi a cavalcioni sulle sue gambe.

«La sta toccando. Via. Via. Ora!», gli ordini di Evan si mischiano a dei fruscii e pochi istanti dopo il centro estetico è totalmente invaso da agenti.
Sento urla e scompiglio generale. La musica si spegne e l'intero luogo si riempie del suono delle sirene e delle voci dei miei colleghi.
Ci siamo. È fatta.
Il signor Davis mi spintona lontano da lui e sta per alzarsi quando un agente scosta la tenda e gli punta una pistola addosso: «La festa è finita, Richard. Muoviti e ti ritrovi un proiettile nelle palle». Evan.

Ciao a tutti!! ❤️❤️
Rieccoci con un nuovo capitolo 😍😍
Che ne pensate della missione portata a termine da Althea? È stata brava? 😂
Che ne penserà Evan?
Ps. Preparatevi al post festa 🥳
Fatemi sapere cosa ne pensate e grazie per tutto il supporto.
Vi ricordo che su Instagram mi trovate come: lovewillkillus_
Un bacio
Sara ❤️

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