Vita e Amori di Harvey Connor

By Trachemys

14.5K 1.2K 2.7K

6 Novembre 1883. È notte ormai, e Harvey Connor torna a casa dal lavoro, stretto nel suo cappotto rattoppato... More

Premessa
I.1 Il Principe e il Povero
I.2 Il Principe e il Povero
I.3 Il Principe e il Povero
II.1 Violetta Valery
II.2 Violetta Valery
II.3 Violetta Valery
III.1 Quello che fanno gli amici
III.2 Quello che fanno gli amici
III.3 Quello che fanno gli amici
IV.1 All'inferno
IV.2 All'inferno
IV.3 All'inferno
V.1 La Ville Lumière
V.2 La Ville Lumière
VI.1 Ciò che è giusto
VI.2 Ciò che è giusto
VI.3 Ciò che è giusto
VII.1 Gli uomini non piangono
VII.2 Gli uomini non piangono
VII.3 Gli uomini non piangono
VIII.1 Vivere Possum
VIII.2 Vivere Possum
VIII.3 Vivere Possum
IX.1 La stanza dai mille volti
IX.2 La stanza dai mille volti
X.1 Alexander Ulysses Woods
X.2 Alexander Ulysses Woods
X.3 Alexander Ulysses Woods

V.3 La Ville Lumière

421 41 84
By Trachemys

Pochi giorni dopo, ancora prima della fine dell’anno, Sarah trovò una busta infilata sotto la porta.

Non avevano quasi mai ricevuto posta, e mai dopo la morte dei genitori, per cui era da considerarsi un fatto assai curioso.

«Qualcuno ha lasciato un biglietto» disse, aggrottando la fronte e alzandosi per andare a raccoglierlo. «È per te, Harvey.»

Gli porse la busta da lettera che recava il suo nome, in elegante corsivo d’inchiostro nero.

Sig. Harvey Connor, senza indirizzo, a significare che chiunque l’avesse consegnata doveva averlo fatto di persona.

A chiudere la busta, un sigillo in ceralacca verde con tre querce che formavano un triangolo. Aveva già visto quel simbolo inciso sulla pietra, sopra il portone di una villa che ormai conosceva bene. Sapeva cosa quello stemma doveva rappresentare.

Woods.

L’aprì, con l’orribile sensazione che quel messaggio improvviso non potesse portare nulla di buono. 

Alexander non gli aveva mai mandato una lettera, perché avrebbe dovuto? Andava a prenderlo all’uscita dal lavoro ogni sera, quale messaggio sarebbe stato troppo urgente da non poter aspettare poche ore? E, in quel caso, perché mandare qualcuno a infilare una lettera sotto la porta e non andare a parlargliene lui stesso?

Non appena lesse ciò che c’era scritto, restò congelato sul posto.

Caro signor Connor,

Sono desolato dallo scarso preavviso, ma io per primo apprendo della situazione soltanto in questo momento. 

La partenza per Parigi non si può rimandare, la nave partirà dal porto alle sei di questa sera. Temo di non poter più venire a prendervi allo smontare del turno, né oggi né in un prossimo futuro.

Confido nel vostro giudizio, e che non vi attardiate né indugiate in luoghi pericolosi dopo il tramonto. Se la mia assenza improvvisa comportasse per voi qualcosa di male, in cuor mio non potrei perdonarmelo.

Porgete alle vostre sorelle i miei saluti e i migliori auguri.

Per sempre vostro,

Lord A. U. Woods.

Solo quando ebbe letto sino all’ultima riga Harvey parve ricordarsi come si faceva a respirare, prendendo una boccata d’aria.

«Che succede?» chiese Lisbeth, preoccupata.

«Se n’è andato» sussurrò lui, piegando la lettera in due e portandola al petto. «Se n’è andato.»

«Chi?» chiese Lisbeth confusa.

«Dove?» fece eco Sarah, che conosceva la risposta alla prima domanda.

Harvey non rispose a nessuna delle due. Mise la lettera nella tasca sinistra e cacciò una mano in quella destra. 

Guardò l’orologio da taschino con il cuore che batteva a mille. Le quattro e mezza. 

«Maledizione.»

Si ributtò l’orologio in tasca e gettò in terra dei vestiti piegati che stavano sulla cassapanca, spalancandola.

«Ma che fai?» chiese Sarah, avvicinandosi. 

«Devo prendere una cosa» rispose sbrigativo. 

«La tua bussola?» esclamò Lisbeth, che lo osservava con l’aria di chi osserva un pazzo.

«Esatto.»

La bussola di Harvey gli era stata lasciata da suo padre ed era anche l’unico oggetto di valore che avesse mai posseduto. Anche le sue sorelle avevano qualcosa del genere, Sarah uno specchietto in ottone e Lisbeth un’armonica a bocca. 

Le altre due avrebbero dovuto tenere la loro eredità per dote, quando avessero trovato marito. Harvey avrebbe dovuto passarla a un’eventuale compagna, ma aveva sempre pensato che la avrebbe tenuta per sé.

Almeno, sino a un po’ di tempo prima, quando aveva iniziato a pensare di darla a qualcuno.

«Che te ne fai?»

«Niente. Esco.»

«E dove vai?»

«Al porto.»

«Al porto?» ripeté Lisbeth. «È dall’altra parte della città. Sta a quasi sei miglia da qui!»

«È per questo che devo uscire subito» rispose, afferrando il cappotto.

«L’altro giorno hai detto che nessuno di cui ti importa sarebbe andato a Parigi. Cos’è cambiato?» chiese Sarah, che iniziava a capire.

«Non ne ho idea, ma è quello che intendo scoprire. Ci vediamo stasera. Tornerò a piedi, quindi farò più tardi del solito!»

«Beato chi lo capisce» sentì borbottare Lisbeth, mentre usciva sbattendo la porta.

Mi trasferisco a Parigi.

Per quanto?

Per sempre, credo. Almeno, quella è l’idea.

Harvey non riusciva a credere che proprio lui gli avesse fatto una cosa del genere, e in modo tanto codardo per giunta!

Gli aveva fatto abbassare la guardia dicendogli che il pericolo era scampato e poi gli aveva lasciato un biglietto, senza neanche dirglielo in faccia!

Non si mise a correre solo perché sarebbe stato controproducente. Si sarebbe stancato subito e non sarebbe mai arrivato a destinazione in tempo.

Iniziarono ad arrovellarglisi in testa mille idee, mille monologhi, mille confessioni diverse. Non poteva lasciarlo partire così, non poteva portarsi tutti quei mesi di turbamenti emotivi nella tomba, doveva dirglielo.

E se davvero si stava trasferendo per sempre, allora avrebbe evitato le conseguenze peggiori. Insomma, Alexander non avrebbe mai rinunciato a salire sulla nave per denunciarlo, non a pochi minuti dalla partenza, giusto? E dato che non l’avrebbe più visto non rischiava neanche di finire quell’amicizia per niente. Non c’era più nulla da finire ormai, non aveva nulla di perdere.

Quei pensieri gli fecero rivoltare lo stomaco, e allo stesso tempo gli diedero le forze di camminare più veloce. 

Arrivò al porto che quasi non se ne accorse. Prese l’orologio da taschino in mano, ansimante per l’ansia.

Le sei meno dieci. 

«Maledizione» mormorò ancora, tra sé e sé, e infine iniziò a correre. «Dove potrà mai essere?»

Non aveva mai preso una nave, men che meno una per attraversare la manica, ma aveva una vaga idea di come funzionava un porto. Si fece largo tra la folla e lesse le destinazioni sui cartelli mentre correva, sgomitando tra un ponte e l’altro.

Il Tamigi sembrava più scuro e torbido del solito, e il porto era pieno di gente. I suoi genitori gli avevano detto a volte che il fiume non era sempre stato così, che addirittura talvolta un tempo aveva avuto l’acqua limpida, ma che quando avevano iniziato ad aprire le fabbriche era diventato una discarica fangosa e sporca.

Harvey non riusciva proprio a immaginare un mondo in cui il Tamigi era limpido come un ruscello di montagna.

Dopo aver spintonato sin troppe persone coi bagagli e ignorato qualche posto di controllo biglietti, infine la trovò.

Normandia.

Si guardò intorno, ma lui non si vedeva da nessuna parte sul ponte, né vedeva la carrozza con George. Harvey sapeva che non avrebbe mai rischiato di arrivare in ritardo, e guardò l’orologio di nuovo.

Le sei meno sette minuti. 

Poteva voler dire solo una cosa: si trovava già sulla nave. Vide che l’uomo a controllo dei biglietti era distratto, così mischiandosi alla folla saltò sulla pedana che collegava la nave al ponte del porto e corse verso la zona che diceva Prima Classe, perché non avrebbe potuto essere altra.

«Permesso, permesso, scusate» disse, attraversando la prima cabina e aprendo le porte di tutte le altre una a una. Sapeva che se fosse arrivato il controllore lo avrebbe buttato fuori a calci con una multa, multa che lui non avrebbe potuto pagare e che quindi probabilmente gli avrebbe procurato una notte o due in cella.

Non gli importava.

Aprì la porta di una delle ultime cabine e lo vide. D’un tratto non fu affatto sicuro di quello che avrebbe voluto dire.

Che accidenti stava facendo? Che follia era mai questa?

Hector e una ragazza con un vestito giallo canarino e i capelli color caramello acconciati a puntino stavano seduti composti a chiacchierare su uno dei sedili spaziosi che nella notte sarebbe diventato un letto. 

Sull’altro sedile vicino all’oblò, seduto alla buona e con un piede su quello di fronte, col naso in un libro come sempre, stava Alexander.

«Scusate, signore, e voi chi sareste?» chiese la ragazza, che doveva essere Lady Lovett.

«Uh, ecco, io in realtà… io dovrei…»

Hector aveva dato al fratello un buffetto per attirare la sua attenzione e lui sussultando aveva finalmente staccato gli occhi dalla pagina. Appena lo vide sgranò gli occhi e sbatté le palpebre, sconvolto. Il libro gli sfuggì di mano e cadde con un tonfo attutito sulla moquette della stanza.

Riprese in un attimo il controllo della situazione, alzandosi in piedi e andandogli incontro. «Signor Connor, che fate? La nave sta per partire!»

Harvey alzò le spalle. «Vorrà dire che salterò in acqua dopo che sarà in moto.»

«Oh, cielo» commentò la ragazza, portandosi una mano al volto.

«Sta solo scherzando» la rassicurò Hector.

Alexander dovette aver capito dal suo sguardo che non scherzava affatto, perché lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dalla cabina.

«Torno tra un attimo!»

«Non fare tardi!» tuonò dietro il fratello. «Stiamo partendo!»

«Siete pazzo, forse?» sibilò Alexander,  trascinandolo giù dalla nave sul porto. «Volete farvi arrestare?»

Harvey deglutì. «Avevate detto… avevate detto che non vi sareste più trasferito.»

Lui lo guardò come se la sua lamentela non avesse un senso logico. «Appunto, l’ho detto! Me lo ricordo benissimo! Che ci fate voi qui?» 

Quella risposta che ignorava il problema fece infuriare Harvey ancora di più. «Pensavo che non vi voleste trasferire!»

«Perché non voglio! Credo che sia trattato di un gigantesco-»

«No» lo fermò Harvey, «ora parlo io, e voi ascoltate.»

«Ma-»

«Ho detto che parlo io» insistette Harvey, brusco.

Alexander aggrottò la fronte ma non rispose.

«Scusate. Ve l’ho detto, so di stare facendo il pazzo negli ultimi tempi. Il fatto è che… io non voglio che andiate via. E pensavo che anche voi, dopo tutto quello che abbiamo fatto… insomma, pensavo… sareste almeno potuto venire a dirmelo di persona! Ci sono stato male e… e… vi ho portato una cosa.»

Alexander lo stava fissando sconcertato, con un’espressione indecifrabile. «Una cosa? Quale cosa?»

Harvey tirò fuori la bussola dalla tasca, poi gli prese una mano e gliela posò sul palmo, richiudendola.

«Una bussola?»

«Era di mio padre. È l’unico oggetto che possiedo, credo, beh, che costi più di qualche penny. A eccezione di quelli che mi avete dato voi. Ma sto divagando…»

«Oh cielo, non posso proprio accettare una cosa del-»

«Fatemi finire, per favore» disse, perché se non avesse detto certe cose in quel momento non le avrebbe dette mai più. «Io non voglio che vi scordiate di me. Se avrete questa con voi, magari la guarderete e ogni tanto mi penserete, un pochino.»

«Non potrei mai scordar-»

«Londra si trova a nord-ovest di Parigi. Ora guardandola saprete sempre dove mi trovo, e non vi dimenticherete di me. Be’, lo spero.»

«Ma io non-»

«E se mai tornerete a Londra sappiate che potrete sempre venire da me, sapete dove trovarmi, e non importa quanto tempo sarà passato, ve lo giuro io... io sarò ancora lì ad aspettarvi. Sinché avrò vita» confessò, poi vedendo che non diceva nulla aggiunse, «ho finito.»

Si accorse di avere i respiri affannosi per la lunga camminata, poi la corsa e ora quel monologo febbrile. Ormai quasi tutti i passanti erano saliti sulla nave, sarebbe partita a minuti.

Era fatta, e alla peggio Alexander avrebbe fatto finta di non capire o gli avrebbe dato del pazzo o del deviato, ma sarebbe partito comunque e lui non avrebbe avuto conseguenze. Ormai stava per partire e non tornare più, Harvey non stava rischiando nulla.

Quello che il ragazzo disse dopo fu qualcosa di tanto inaspettato che non seppe come reagire.

«Io non mi trasferisco. Starò via solo per tre settimane. Devo dare una mano a Hector con il trasloco, tutto qui.»

«Voi… cosa?»

«Vi ho detto che non mi sarei più trasferito. Ve l’ho detto a Natale, prima di andar via, me lo ricordo come fosse ieri!»

«Ma poi avete scritto che stavate partendo per Parigi!»

«Perché lo sto facendo! Ma non mi trasferisco, mi sembrava… mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro!»

«Ma non avete detto che sarebbe stata una cosa temporanea!»

«Ma vi avevo detto che non mi sarei trasferito, quindi quando vi ho detto che stavo partendo non poteva che trattarsi di una cosa temporanea! Non vi pare?»

«Lo so, ma poi voi…» non sapeva cosa dire, per cui non finì la frase. «Sono un idiota, vero?»

«Niente affatto» si affrettò a dire, per poi mediare con un «beh, forse un po’... ma avrei dovuto essere più chiaro. Posso tenerla?»

Harvey si sarebbe tanto voluto buttare in acqua per affogarsi. Immaginò che si vedesse, dato che sentiva il volto in fiamme. Sperò che sembrasse arrossito per la corsa. 

«Certo. È un regalo, è vostra ora» mormorò, guardando ovunque tranne che verso il ragazzo davanti a lui.

«Non fate così, io… non sapete quanto mi avete fatto felice. Sono senza dubbio le cose più belle che qualcuno mi abbia mai detto. E, per la cronaca, non me ne sarei mai andato così senza avvertirvi, e se qualcuno mi avesse costretto, se mi avessero preso, legato e buttato sulla nave a tradimento, non mi sarei mai scordato di voi comunque. Neanche se fossi rimasto a Parigi cent’anni.»

«Davvero?» chiese Harvey, che era sul punto di avere un infarto. 

«Davvero. Mi dispiace non essere riuscito a farvelo capire prima, io… lasciamo stare. L’importante è averlo messo in chiaro ora.»

«Grazie, signor Woods.»

«Alex» gli disse. «Potresti guardarmi in faccia?»

«Eh?» chiese Harvey, sollevando con riluttanza lo sguardo.

Se prima aveva un’espressione impenetrabile, ora era tutto il contrario. Il suo volto era attraversato da troppe emozioni, tutte vivide, tanto che non riusciva a riconoscerne nessuna. Lo stava ancora fissando nella stessa posizione di quando erano scesi dalla nave, e Harvey era pronto a giurare che, al contrario suo, non aveva mai distolto lo sguardo.

Era come se avesse voluto guardarlo il più a lungo possibile.

«Puoi chiamarmi Alex. Direi che possiamo smetterla con le formalità, a questo punto.»

«Alex» ripeté, il suono gli lasciava un sapore strano sulla lingua. «Alex. Quindi voi… tu mi chiamerai Harvey, giusto?»

Lui alzò le spalle. «Se non ti dispiace…»

«No!» esclamò, forse troppo in fretta. «Per niente.»

«Bene. Perché mi piace il tuo nome, Harvey. Non te l’ho mai detto perché tanto non lo usavo, ma mi è sempre piaciuto. Lo trovo molto elegante. Significa “degno della battaglia”.»

«E Alexander? Che significa?»

Lui sorrise entusiasta. Harvey si sentì mancare la terra da sotto i piedi.

«Difensore degli uomini» disse, solenne.

«Perché non sono sorpreso?» 

«Cos’è questo? Un complimento?»

«Se lo fosse sarebbe un problema?»

«È l’opposto di un problema.»

Harvey fece per aggiungere qualcosa, ma dalle ciminiere sulla nave iniziò ad uscire una colonna di fumo. «Penso proprio che tu debba andare.»

«Penso anch’io» rispose, anche se non sembrava per nulla intenzionato ad andare da nessuna parte.

«Davvero, dovresti andare, altrimenti resterai a terra.»

«Sì» disse, aprì la bocca per dire qualcosa ma la richiuse. Si voltò indietro e saltò su proprio un attimo prima che un operaio sganciasse la pedana della nave dal porto.

L’attimo dopo partì.

«Ti scriverò!» urlò, man mano che si allontanava scivolando sull’acqua del Tamigi.

«Se mi manderai il tuo indirizzo, risponderò!» gli urlò di rimando.

«Contaci!»

La nave si allontanò, e lui si ritrovò solo tra la folla che salutava e agitava i fazzoletti. 

D’un tratto, si sentì come svuotato.

«Alex» mormorò tra sé e sé, cercando di trattenere quello che minacciava essere un sorriso idiota. «Alex, Alex, Alex, Alex, Alex.»

In quel momento non gli sembrava aver mai pronunciato parola migliore di quella.

Direi che possiamo smetterla con le formalità, a questo punto.

Le parole “a questo punto” gli facevano venire le gambe molli.

A che punto? Qual era questo punto? Quale punto poteva mai essere?

Non lo sapeva, ma aveva la sensazione che fosse un punto diverso rispetto a quello a cui erano stati qualche ora prima.

Alex.

Note autrice:
Siamo passati a chiamarci per nome, a quanto pare! E a darci del tu, almeno in italiano. In inglese non c’è differenza tra il tu e il voi, non hanno il pronome formale (come per noi il lei, per esempio). Usavo il voi solo per fare intendere che si parlavano in modo affettato, ma ora la barriera e caduta, il signor Woods e il signor Connor sono il passato, e sono rimasti solo “Harvey” e “Alex”.
Che dite, era ora? O le pomposità eccessive avevano iniziato a piacervi? Ma, soprattutto, chiamarsi per nome nel 1800 conta come preliminare? Secondo me un po’ sì, dai. Cioè, non dico che è come se si fossero slinguazzati a vicenda, ma per l’epoca mi sembra un passo avanti dignitoso.
Appena in tempo per metà storia! Ebbene sì, siamo al capitolo cinque e il totale sarà di dieci. Le avventure – e sventure – del nostro caro Harvey non sono ancora finite...
Ci aggiorniamo presto!

Continue Reading

You'll Also Like

13.2K 1.6K 64
Il sipario si alza su un piccolo paese della pianura veneta. L'anno 1911 apre il primo capitolo. L'immaginario obiettivo inquadra una tipica casa di...
3.4K 185 16
questa è la storia dell'attuale gruppo wgf. Ecco come tutto è iniziato. (avviso che è semi reale , cioè i wgf si sono conosciuti davvero così , ma tu...
205K 8.5K 23
Siamo a Sparta, cinque anni dopo la guerra di Troia. Agamennone non è morto e continua ad essere lo scorbutico sovrano della Grecia, prendendo il pos...
829 181 34
Tu sai chi sei? (io no) Sapresti descriverti in una parola? (io no) Sapresti farlo con tutte le parole? (io no) Esattamente io non so farlo, quindi h...