Vita e Amori di Harvey Connor

By Trachemys

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6 Novembre 1883. È notte ormai, e Harvey Connor torna a casa dal lavoro, stretto nel suo cappotto rattoppato... More

Premessa
I.1 Il Principe e il Povero
I.2 Il Principe e il Povero
I.3 Il Principe e il Povero
II.1 Violetta Valery
II.2 Violetta Valery
II.3 Violetta Valery
III.1 Quello che fanno gli amici
III.2 Quello che fanno gli amici
III.3 Quello che fanno gli amici
IV.1 All'inferno
IV.2 All'inferno
IV.3 All'inferno
V.1 La Ville Lumière
V.3 La Ville Lumière
VI.1 Ciò che è giusto
VI.2 Ciò che è giusto
VI.3 Ciò che è giusto
VII.1 Gli uomini non piangono
VII.2 Gli uomini non piangono
VII.3 Gli uomini non piangono
VIII.1 Vivere Possum
VIII.2 Vivere Possum
VIII.3 Vivere Possum
IX.1 La stanza dai mille volti
IX.2 La stanza dai mille volti
X.1 Alexander Ulysses Woods
X.2 Alexander Ulysses Woods
X.3 Alexander Ulysses Woods

V.2 La Ville Lumière

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By Trachemys

Harvey capì che Alexander si era messo a dormire e sospirò.

Stava seduto per terra, in una stalla, a mezzanotte del giorno di Natale e aveva il peso del suo amico sul suo corpo, del tutto abbandonato a lui.

Molto biblico, a ben pensarci. Natale, rifugiarsi in una stalla per la notte... anche se, in quel momento, stretto a lui in quel modo, i suoi pensieri di biblico non avevano niente.

Anzi, se Dio avesse perso tempo a frugare nella testa di un nullità come lui lo avrebbe fulminato.

Non si sarebbe spostato da lì per tutto l’oro del mondo, eppure sapeva che quello sarebbe stato un errore madornale.

In primis, perché quando Alexander si fosse svegliato più sobrio quella posizione sarebbe stata imbarazzante. In secundis, perché di certo Sarah si stava preoccupando non vedendolo tornare. In ultimo, perché quella vicinanza avrebbe potuto illuderlo, e lui di illudersi non poteva proprio permetterselo.

Mi trasferisco a Parigi.

Se fosse successo davvero non aveva idea di cosa avrebbe fatto, lui che non era mai uscito da Londra, figurarsi dal Regno. Eppure non avrebbe mai potuto permettere che se ne andasse così. Avrebbe dovuto escogitare qualcosa per forza.

Avrebbe potuto raccontargli la verità, che l’idea di lui lo ossessionava. Sarebbe finito dritto in prigione, ma forse questo avrebbe reso la partenza più facile.

E poi c’era quella frase.

Non esistono amori sbagliati.

Una frase che gli tuonava in testa ogni volta che pensava alle sue sfortune, che aveva la voce di Alexander.

Una frase che era certo lui non avesse mai pronunciato in sua presenza. Del resto, se avessero parlato d’amore se ne sarebbe ricordato.

Eppure la frase sembrava tanto reale, e la sua voce era così naturale, sempre la stessa inflessione, sempre lo stesso tono appena tremante dall’ansia, come se si trattasse di un vero ricordo. 

Forse stava diventando pazzo.

Si tirò fuori l’orologio – un orologio che era appartenuto ad Alexander, come ormai la metà delle cose che possedeva; il suo amico aveva la straordinaria capacità di fare regali senza farli sembrare tali – dalla tasca e guardò l’ora. 

Mezzanotte e trentacinque. Era già passata più di mezz’ora.

Sarebbe rimasto tutta la vita lì in quella stalla a fingere, fingere che Alexander si fosse stretto tanto al suo fianco non perché aveva bevuto troppo, perché aveva freddo, perché aveva la mente annebbiata, ma perché era quello che voleva.

Non poteva lasciarglielo fare, però. Sia perché non voleva impensierire troppo Sarah, sia perché – soprattutto – si sarebbe dovuto tenere buoni Lady Woods e Hector, e per tenerli buoni Alexander sarebbe dovuto tornare a casa subito, e in buone condizioni.

Proprio in quell’istante, lo sentì muoversi contro di lui e stiracchiarsi. Harvey dovette usare tutta la sua forza di volontà per lasciare il suo braccio dov’era anziché ritirarlo terrorizzato e sembrare ancora più colpevole di quanto non fosse.

Alexander aprì gli occhi e come si rese conto di dove si trovava si avvicinò ancora. Il braccio di Harvey assecondò il suo gesto in automatico, stringendolo a sé.

«Sto sognando, vero?» mormorò, sfiorandogli il collo con le labbra e avvinghiandosi più a lui, la voce ancora annebbiata dal sonno.

Harvey rise. «Cielo, no. Dovete davvero aver bevuto tanto, questa sera.»

Il corpo contro di lui si irrigidì. Lo sentì allontanarsi di qualche centimetro, non abbastanza da permettere a Harvey di lasciare la presa, e lo guardò a occhi sgranati. «Ah no?»

Harvey aggrottò la fronte, preoccupato. «Eh, no. Perché mai dovreste sognare di starvene seduto per terra in una stalla?»

Nonostante il buio, Harvey ebbe la forte impressione che le sue guance si fossero tinte di una tonalità di magenta davvero sgargiante.

«Oh, cielo» disse, per poi saltare in piedi. «Oh, cielo, mi dispiace tanto! Mi sono ubriacato, non è vero? Oh, cielo, sono stato così inopportuno, mi dispiace così tanto, io-»

«Calmatevi, non è successo nulla!» gli disse Harvey, alzandosi a sua volta. «Eravate triste per il trasferimento e siete venuto da me, avete fatto bene a farlo. Non disturbate mai, lo sapete, soprattutto quando siete giù di morale.»

«Il trasferimento… così ve l’ho detto. Che domande, certo che ve l’ho detto. Sono venuto apposta. E voi che avete risposto?»

«Che non voglio che andiate via, e che domani dovreste venire da noi per Natale. Ah, anche che allisciando vostra madre magari vi lascerà stare qui.»

Evitò di menzionare il fatto che gli aveva persino detto che avrebbe lavorato notte e giorno e avrebbe smesso di mangiare pur di tenerlo a Londra.

Vedendolo così tranquillo, anche lui parve calmarsi un po’. «Credo di ricordare. Alle dieci domani, non è vero? Avete parlato del Canto di Natale, se non mi sbaglio.»

«Allora facevate solo finta di essere ubriaco» disse Harvey con rimprovero.

«Ho solo una memoria ben allenata» rispose lui, con un sorriso innocente. «Al contrario vostro, mi sembra» aggiunse, con un tono più amaro che Harvey non capì.

«Secondo me, signor Woods, voi fate un po’ il furbo a volte.»

Alexander gli sorrise come faceva ogni tanto negli ultimi tempi, da quando Harvey era guarito dalla febbre. Sorrise come se sapesse qualcosa che Harvey ignorava, come se ciò che sapeva lo rendesse tanto felice.

«Può darsi» gli disse, alzando le spalle. «Altrimenti che gusto ci sarebbe?»

Andò a sbrigliare il cavallo, che non sembrava entusiasta al doversi rimettere in moto di lì a poco. «Voi che avete fatto mentre dormivo? Vi sarete annoiato di certo.»

«Niente di che. Contemplavo la caducità dell’esistenza umana in silenzio» rispose Harvey con un ghigno divertito.

«Sapete, dovreste smetterla di prendermi in giro per quella frase, un giorno o l’altro.»

«Se smettessi di prendervi in giro vi montereste certamente la testa, ormai vi conosco!»

Alexander accarezzò il collo del cavallo che parve calmarsi alla sua presenza, poi si voltò verso di lui. Ancora una volta, sembrò guardarlo come se sapesse più di quello che lasciava intendere e, soprattutto, come se quello che sapeva fosse qualcosa di bello.

«Sapete una cosa, signor Connor?» sussurrò, avvicinandosi e spazzandogli della polvere immaginaria dalla spalla, sovrappensiero. Ora fu il turno di Harvey di avere le guance in fiamme. «Avete proprio ragione.»

Detto questo, si voltò, mise il piede sulla staffa e facendolo sembrare il gesto più naturale del mondo montò sul suo cavallo.

Harvey non l’aveva mai visto cavalcare, e per amore della sua stabilità mentale avrebbe preferito non vederlo mai.

«A domani alle dieci, allora. Non fate arrabbiare vostra madre, mi raccomando!»

«A domani alle dieci» rispose, tirando le briglie e uscendo all’addiaccio. «E grazie.»

Il giorno seguente, la casa era immersa nei preparativi. 

Lisbeth e Harvey stavano sull’uscio a osservare e dirigere, e Sarah muoveva le quattro candele che erano riusciti a raccattare – di cui una addirittura rossa – mentre Maddie era seduta sullo sgabello e li guardava con occhi un poco più interessati del solito.

Maddie, la gemella di due. Quella sopravvissuta.

Sopravvissuta, buffa parola per descrivere qualcuno che ha perso un pezzo di sé e non tornerà più come prima.

Sopravvissuta, ormai non avrebbe più potuto essere altro, sarebbe rimasta solo una metà un po’ spaesata.

Eppure a volte, come quel giorno, sembrava un po’ più di buon umore, come se davvero potesse permettersi di essere anche lei spensierata, ogni tanto.

Alle dieci in punto, qualcuno bussò alla porta. Lisbeth sorrise da un orecchio all’altro e non esitò ad aprire. 

Harvey era contento di vedere sua sorella tanto entusiasta, ed era abbastanza sicuro che il fatto che Lizzie avesse mangiato più caramelle negli ultimi due mesi che nel resto della sua esistenza avesse a che fare solo in parte con la sua benevolenza nei confronti del nuovo acquisto nella loro famiglia – perché a conti fatti di questo si trattava, anche se non l’avrebbe mai detto ad alta voce.

«Buon Natale, milord» disse educata, aprendo la porta e lasciandolo entrare. 

«Buon Natale, signorina» rispose, «mi perdonerete se non tolgo il cappello, ma ho le mani occupate.» Si voltò verso la porta aperta e si congedò. «Puoi andare, George, grazie dello strappo. Ripassa a prendermi verso le tre.»

«O anche più tardi» disse Lizzie.

Alexander sorrise. «O anche più tardi, perché no.»

«Vi piace come abbiamo arredato la stanza?» chiese lei, saltando sul posto, chiudendo la porta per lui.

«Oh, è fantastico» rispose, posando sul tavolo il sacco che portava con entrambe le mani. 

Harvey dubitava che Alexander trovasse le tre candele che avevano aggiunto al solito arredamento “fantastiche”, ma apprezzò il tentativo.

«A questo proposito, mi sono permesso di contribuire» disse, liberandosi di cappello, guanti e cappotto pesante. «Ieri notte il signor Connor mi accennava a una certa penuria di decorazioni…»

Harvey gli lanciò un’occhiataccia. «Non l’ho detto perché ne portaste altre.»

«Lo so» rispose lui, tornando col naso nella sua sacca. «Se l’aveste detto per questo non le avrei portate. Anzi, se foste uno che dice le cose solo per ottenerne altre, credo che avrei smesso di frequentarvi da un pezzo.»

La afferrò e dopo aver tolto la loro candela rossa, posandola sulla cassapanca, la svuotò sul tavolo. Rivelò quelli che sembravano una dozzina di rami di abete, lunghi e ancora freschi, insieme a dei nastri color rosso e oro. «Ecco qua! Direi che possiamo aggiungerli al resto dell’arredo natalizio, se siete d’accordo.»

Lizzie guardò verso i suoi fratelli a occhi sgranati. «Possiamo davvero appenderli?»

«Certo che sì» rispose Sarah, con un sorriso.

Lisbeth sorrise e poi guardò Harvey, alzando le braccia. Il gesto più universale del mondo, che ogni genitore o adulto responsabile avrebbe interpretato allo stesso modo: il gesto dei bambini che vogliono farsi prendere in braccio.

Harvey alzò gli occhi al cielo, ma la sollevò per i fianchi e se la mise sulle spalle. «Dopo tutta questa fatica, spero almeno che farai carriera. Così nella vecchiaia manterrai il tuo povero fratello che avrà la schiena a pezzi dopo aver sgobbato per te tanto a lungo.»

«Come sei drammatico. Forse dovresti smettere di leggere tutte quelle tragedie, non ti fa bene» commentò Sarah ridendo. 

«Se posso avere voce in capitolo, fisserei almeno un ramo sulla cucina. E uno lassù, all’angolo della finestra» disse Alexander sovrappensiero.

«Ne serve uno anche sulla maniglia che dà sulla strada» commentò Maddie, timida. Sinora non aveva ancora dato suggerimenti a riguardo, forse iniziava a sentirsi un po’ più a suo agio anche lei.

«Secondo me dobbiamo lasciarne almeno due per il centro del tavolo» aggiunse Sarah, «fa atmosfera.»

«Ottimo» rispose Harvey, che aveva portato Lisbeth alla finestra mentre lei stava provando a legare un ramo alla maniglia, ancora sulle sue spalle. «Serve altro? Volete che vada ad appenderne uno su ogni lampione da qui a Piccadilly? Qualcuno vorrebbe che gli lucidassi le scarpe, per caso? Che gli facessi un tè?»

«Un tè non sarebbe affatto male, adesso che ci penso» rispose Alexander, sorridendo sotto i baffi.

Harvey si voltò tanto in fretta che Lisbeth urlò e si aggrappò al suo collo. «Se andate a comprare del tè giuro che vi chiudo fuori. Non dovete darvi tanta pena, siete un ospite.»

Lui aggrottò la fronte, oltraggiato. «Ma io non mi do affatto pena! Non ho nemmeno comprato da mangiare, perché sapevo che vi avrebbe dato fastidio!»

«Voi sì che siete di buon cuore» borbottò Harvey, sarcastico.

«Tanto per farvelo sapere, non ho comprato neanche questi rami di pino. Sono andato a coglierli nel giardino questa mattina anche se sono di lunghezza irregolare, perché sapevo che avreste preferito non farmi spendere un soldo.»

«Davvero?» chiese Harvey a bassa voce.

«Quando capirete che prendo ciò che volete sin troppo sul serio, mio caro, sarà sempre troppo tardi.»

Harvey fu tanto saggio da non rispondere.

Dopo che ogni singolo ramo di pino venne appeso nella stanza – tutto condito  da lamentele esagerate di Harvey e con somma soddisfazione e divertimento di Lisbeth – la casa tornò a un ritmo lento e tranquillo.

Sarah aveva la pentola sul fuoco e continuava a girare, pur ascoltando mentre suo fratello leggeva; Lisbeth era seduta a gambe incrociate sul letto, lo guardava con tanto d’occhi e sussultava a ogni parola un po’ più enfatica; Maddie sembrava più incuriosita di quanto non lo fosse mai stata nelle ultime settimane e sedendo sul grembo di Alexander sembrava del tutto a suo agio; lui, al contrario, sedeva un po’ rigido, e sembrava non si fosse mai trovato così vicino a una bambina di quell’età prima, ma aveva uno sguardo un po’ meno terrorizzato e ascoltava anche lui con attenzione; in ultimo Harvey sedeva vicino a due delle loro candele, e leggeva dei fantasmi che ossessionavano il povero Scrooge senza dimenticare di cambiare intonazione di voce all’occorrenza.

Durante le sue lunghe pause drammatiche si poteva sentire solo lo scoppiettare del fuoco sotto la pentola e lo sgranocchiare dei bastoncini di zucchero portati da Alexander delle bambine.

Fuori aveva iniziato a nevicare, ma la cucina accesa, la stanza affollata e le candele fecero sì che non se ne accorsero neppure, già abbastanza al caldo.

Non fu un Natale troppo emozionante. Restarono insieme tranquilli sino alle sei inoltrate. Sarah si mise a cucire mentre Lisbeth e Maddie giocavano con gli aghi di pino caduti dai rami facendone delle bambole e Harvey e Alexander finirono il quarto di bottiglia di whisky che il signor Johnson aveva lasciato a Harvey per Natale.

Fu quando fu ora per gli ospiti di andar via che saltò fuori il regalo più grande di tutti. 

«Avete presente Parigi, giusto? Quella cosa di cui abbiamo parlato ieri notte.» disse Alexander sull’uscio, con la carrozza che aspettava. 

Da leggero che era stato sino a quel momento, il cuore di Harvey si restrinse e divenne pesante come un sasso. «Ho presente Parigi, sì. Me lo ricordo.»

«Ho avuto un’altra discussione con mia madre stamattina, c’era anche mio fratello…»

«Dunque? Non tenetemi sulle spine, avanti!»

Alexander sorrise. «Ottime notizie! È saltato fuori che Lady Lovett, la nostra vicina di fronte, ha una seconda casa laggiù. E che è più che propensa a trasferirsi anche lei, a patto di avere la giusta compagnia.»

«E quindi?» disse Harvey, cercando di non suonare infastidito, senza nessuna garanzia di esserci riuscito. «Vi è venuta un’improvvisa voglia di andarci?»

Alexander lo guardò come se avesse appena detto che era la terra a girare intorno alla luna e non il contrario. 

«A volte mi chiedo se noi due parliamo la stessa lingua» mormorò. «Perché non sembra proprio che capiate quello che dico.»

«Perché non parlate chiaro allora, tanto per cambiare?» chiese Harvey, che iniziava a irritarsi.

Lo immaginò mentre montava su un traghetto, mano per la mano con una signora ben vestita – e molto antipatica – e gli si chiuse lo stomaco.

«A Hector è venuta un’improvvisa voglia di andarci, dato che le fa la corte da mesi. Non certo a me. E lei, Dio la perdoni, sembra anche incline a dire sì, se mai lui troverà quel po’ di dignità che gli rimane e le chiederà la mano. Così mia madre, che per mia gran fortuna tiene più a fare felice quel menagramo che a rovinare la vita a me, ha acconsentito a che fosse lui ad andarsene.»

«Ah» disse Harvey, che tutto a un tratto si sentì un idiota. «Beh, grandioso direi.»

«Grandioso, infatti. Domani quando verrò a prendervi al lavoro vi porterò una tisana, vi vedo un po’ nervosetto.»

«Scusate» mormorò Harvey, distogliendo lo sguardo. «A volte faccio un po’ lo strano.»

«Mai a sufficienza, mio caro... mai a sufficienza. Ora devo andare, o George inizierà a covare rancore nei miei confronti, e allora sarà la fine.»

«Arrivederci. E grazie di essere passato, e per quello che avete portato alle ragazze e… beh, il solito.»

«Arrivederci. E grazie per avermi ospitato. A volte fa piacere stare con qualcuno che non ti ritiene solo uno spreco di risorse e di spazio.»

«In quel caso, sentitevi libero di passare quando volete.»

«Non mancherò» rispose, chiudendo infine il portone. 

Harvey sospirò e si voltò, posando la schiena contro la porta e abbandonandosi a un attimo di sollievo.

«Si può sapere che ti prende?» chiese Sarah, perplessa.

«Niente Parigi!» rispose lui, con un sorriso.

«Parigi? Chi deve andare a Parigi?» chiese Lisbeth, alzando gli occhi dal suo capolavoro – un coniglio di pezza fatto coi ritagli della stoffa di Sarah, che sembrava più uno strano pipistrello con le ali sottili che un vero e proprio coniglio – .

Il sorriso di Harvey si allargò. «A quanto pare, nessuno di cui mi importa.»

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