ᴇʟ ᴅɪᴀʙʟᴏ - ɴᴏɴ ᴛᴜᴛᴛᴏ ɪʟ ᴍᴀʟᴇ...

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1° ᴠᴏʟ ᴅᴇʟʟᴀ sᴀɢᴀ 'ᴇʟ ᴅɪᴀʙʟᴏ' Siamo cresciuti con la consapevolezza che il male, di per sé, non fosse soltant... More

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<<Mi sentivo attratta da quell'uomo, come se avessi una corda legata alla vita e lui la stesse lentamente, inesorabilmente tirando.>>


San Juan, Portorico

"Non mi interessa proprio per niente quello che stai dicendo, Mateo!" tuonò, con un timbro di voce che andava dall'isterico al frustato, Penelope. "Dov'è?" chiese poi, cominciando a percorrere il lungo corridoio che conduceva alle molte stanze da letto poste al primo piano.

"Te l'ho già detto, Penelope" rispose l'uomo dalla carnagione scura, seguendo, come un'ombra, la snella figura della giovane dai lunghi capelli castani. "E' con El Perro e Castro ad una riunione d'affari in centro città" proseguì, non smettendo un attimo di seguirla.

"Non ti credo!" esclamò la Soler. E, mentre lo diceva, aprì una delle tante porte delle camere dei Siervos del Diablo. Cercando poi, in tutte le stanze, la figura del suo uomo. "Dove si è nascosto?"

Nell'udire quell'ennesima domanda, di quella fastidiosissima cantilena che, oramai, andava avanti da quasi mezz'ora, Bravo sollevò gli occhi al cielo, scuotendo il capo in segno di negazione.

Odiava a morte dover dar conto, ad una donna, ciò che riguardava gli affari del cartello.

Odiava, più di ogni altra cosa, dover fare, quasi, da balia ad una donna di quasi trent'anni.

Odiava quando, la donna, cercava, inutilmente, di metter voce nelle decisioni che riguardavano i Siervos del Diablo.

Odiava, o almeno iniziava a farlo, Penelope Soler.

Ma, per il suo bene, e soprattutto per il bene della sua testa, che rimanesse al proprio posto, si era sempre trattenuto. Mordendosi, più e più volte, la lingua.

"Non c'è speranza" disse poi, in un sussurro. Non volendo minimamente farsi sentire dalla ragazza. "Penelope, davvero. Non so più come dirtelo" sbuffò, esasperato. Si passò i polpastrelli del pollice e dell'indice sulle palpebre abbassate, cercando una soluzione.

Non appena riaprì gli occhi, la statuaria figura di Francisco, gli si balenò sotto il suo sguardo. L'uomo dagli occhi chiari, dopo essere uscito dal bagno, seminudo, dato che si era appena fatto la doccia, aveva visto quel piccolo tornado castano, irrompere nella sua camera. A piedi scalzi, Vargas, rapidamente raggiunse Bravo. E, sottovoce, gli chiese cosa stesse succedendo.

"Chiama Asier. Digli che tornino alla villa quanto prima" mormorò, in risposta, Mateo. Facendo segno all'uomo dagli occhi chiari di spicciarsi con la telefonata.

Senza aggiunger altro, Vargas, con passo veloce, raggiunse la propria camera da letto, la quale, per sua fortuna, era stata liberata, per così dire, dal controllo da parte della Soler.

"¡Ay, las mujeres!" si lasciò sfuggire dalle labbra, dopo aver chiuso, con un colpo assestato col piede, la porta laccata di bianco.

"¿Está saliendo con otra mujer?" chiese lei, dopo aver controllato l'ultima stanza del primo piano. Incrociando le braccia sotto il seno.

"Claro que no!" disse, questa mezza verità, il ragazzo dalle origini afro.

Perché, dopotutto, Ruben Perez ancora non si stava frequentando con nessuna. Certo, stava ronzando attorno alla biondina dagli occhi azzurri, ma ancora non c'era stato nulla di che.

Solamente un'inspiegabile sostituzione di un drink. Ed il capo di un famigerato cartello portoricano mezzo morto.

Nulla di più.

"C'è in ballo un grosso affare. Per questo motivo, El Diablo, si è assentato"

"Doveva farlo proprio oggi?" domandò la Soler, sollevando il mento. "Secondo me non si ricorda nemmeno che giorno è, oggi" aggiunse poi, abbassando, di qualche nota, il tono della sua voce.

Bravo le poggiò la mano sulla spalla sinistra e, dopo averla stretta appena, come per rassicurarla, le chiese "Si è mai scordato del tuo compleanno?" detto con voce calma. A quel quesito, Penelope negò col capo. "Vedrai che non lo ha fatto nemmeno quest'anno" aggiunse, abbozzando un mezzo sorriso forzato. "Che ne dici se stai nel soggiorno ad aspettarlo? Tra non molto dovrebbero rientrare a casa" concluse.

Dopo aver ricevuto, come risposta, un cenno positivo del capo da parte di Penelope, Mateo l'accompagnò al piano inferiore, facendola accomodare in uno dei tre divani, dalle chiare tonalità, posti in salotto. E, dopo averle portato un bicchiere di thè ghiacciato, tornò nel salone da Hector. Con l'intento di proseguire il proprio lavoro e lasciare, quella petulante giovane donna, a crogiolare nel suo stesso brodo fatto altro che di dubbi, ansie, paranoie e tante insicurezze.

---

Erano da poco passate le quattordici e trenta quando, a bordo della propria vettura, Ruben Perez faceva rientro alla villa. Lungo la strada verso casa, aveva fatto accostare, Castro, davanti ad un piccolo e grazioso negozio di fiori. Puntualmente, come ogni anno, si fece preparare un bouquet composto da una dozzina di rose.

<Possibile che, qualunque donna, debba per forza volere delle stupidissime rose rosse?> si chiese tra sé e sé, guardandosi in giro. <Con tutti i meravigliosi fiori che esistono al mondo, si deve sempre cadere nel classico e noioso cliché> aggiunse poi.

La fioraia, su richiesta di Ruben, selezionò le migliori dodici rose rosse che aveva a disposizione in negozio. La rosa rossa... Il fiore preferito di Penelope Soler.

Perez, attendendo la preparazione del mazzo di rose, cominciò a girovagare all'interno del negozietto, ammirando i molti e, colorati, fiori presenti tra quelle quattro mura. Per la prima volta, da quando andava ad acquistare fiori presso quel piccolo fioraio, poté scoprire come, ogni pianta, presentasse non solo un cartellino che ne indicava il nome e le caratteristiche. Ma vi era anche un cartellino che ne spiegava il significato in base al colore.

Si soffermò proprio a leggere la piccola descrizione delle rose di colore rosso "Amore passionale" lesse ad alta voce. "Ideale nel caso di un amore maturo e coinvolgente" Storse il naso, schifato. "Non è mai stato amore, il nostro" sottolineò, proseguendo con altre letture.

Compì qualche piccolo passo, ritrovandosi ad ammirare delle bellissime rose di color viola ed alcune di color nero. Guardò, con assoluta attenzione, entrambe le tonalità, leggendone poi il significato.

"Seduzione" mormorò, dopo aver letto la prima parola nel cartellino del fiore color viola. "Esprimono coinvolgimento emotivo ed attrazione..." si bloccò. Perché, come un lampo a ciel sereno, la sua mente, dopo avergli fatto leggere, in silenzio, la penultima parola presente nella descrizione, gli presentò l'immagine di quel peperino di ragazza che gli stava mandando a puttane il cervello. "Oh, queste sono senz'altro per la piccola Mija" affermò e, nel farlo, accarezzò leggero un petalo. "Attrazione fisica o intellettuale...Decisamente è un'attrazione fisica, la nostra. Ma... Ma è anche qualcosa di più. Deve essere qualcosa di più"

Sbatté un paio di volte le palpebre, così da uscire da quel breve stato di trance in cui si era cacciato. Puntò poi i suoi meravigliosi smeraldi lucenti verso quei bellissimi fiori neri, restando ammaliato nel leggerne il significato.

"Scusi, signora, vorrei un altro mazzo, composto anch'esso da dodici rose" affermò, raggiungendo il bancone nella quale, la donna, aveva appena ultimato la composizione floreale.

"Sempre rose rosse?" domandò la donna, sorridendo in modo cordiale.

"No. Le voglio nere" rispose Ruben, sorridendo di rimando. "Un bouquet di dodici rose nere, per favore"

Rosa nera: cambiamento. Le rose stabilizzate nere sono consigliate in occasione di un importante cambiamento a livello professionale o nella sfera affettiva.

Oh, Ruben. Quindi c'è un importante cambiamento nella tua sfera affettiva? Adorabile. Davvero molto adorabile.

Perciò dicci, caro il nostro El Diablo. Per chi sono quelle splendide rose nere?

Tenendo stretto tra le mani i due bouquet, ritornò alla macchina e, una volta preso posto sul sedile posteriore, notò come, i suoi due fratelli, Asier e Javier, lo stessero osservando in silenzio e con occhi curiosi. I due uomini, seduti sui sedili anteriori, si scambiarono un rapido e, quasi invisibile, scambio di sguardi muti.

Successivamente, El Perro, dopo aver formulato, mentalmente, la domanda da porre, parlò.

"Due mazzi di fiori?" pose quel quesito. Stava per proseguire ma, prontamente, El Diablo lo anticipò, interrompendolo.

"Vedo che sai contare, Perro" pronunciò quelle parole, chiamando Javier col soprannome che, da molti anni, accompagnava la figura di Romero.

Nel sentirsi chiamare Perro, ovvero cane, da suo fratello, i muscoli del moro si tesero, allarmati.

Non era mai accaduto, anche se, nel mondo della criminalità organizzata, Romero fosse conosciuto con l'appellativo de El Perro, che Perez lo chiamasse in quel modo. Perché non aveva mai ritenuto corretto chiamare così colui che, fin da quando entrambi erano dei ragazzini scalmanati, gli era rimasto accanto. Divenendo, in pochissimo tempo, un amico su cui contare. Una spalla su cui appoggiarsi nel momento del bisogno. Un fratello che avrebbe vegliato su di lui fino alla fine dei suoi giorni.

Quindi perché, proprio in quel momento, suo fratello si stava rivolgendo a lui in quel modo?

Ci rifletté su per qualche attimo poi, come se, per magia, gli si fosse appena accesa una lampadina nel cervello, capì.

Capì che, oramai, mancavano solamente due giorni al 28 Giugno.

Giorno in cui, tanti anni prima, entrambi l'avevano persa. Erano stati privati dell'unica persona, sulla faccia della terra, che era stata capace di amarli per come erano davvero. Due ragazzini scalmanati ma, al tempo stesso, tanto fragili. Due giovani che, nonostante si mostrassero forti, indistruttibili, in realtà erano rotti. Rotti in pezzi talmente piccoli che, con estrema difficoltà, sarebbero stati aggiustati da qualcuno.

"¡No me hables en ese tono!" tuonò, arrabbiato, Javier.

"¿Y cómo debo llamarte, Perro?" lo sfidò, il giovane capo dei Siervos del Diablo.

"La puta de tu madre!" controbattè Romero, mordendosi, subito dopo, la lingua per aver offeso la povera donna che aveva dato alla luce Ruben. Lasciandolo privo, troppo presto, della sua mamma. "So perché reagisci così, ultimamente" parlò in seguito, voltandosi verso il possessore di due occhi verdi. "Manca a me, sai?" ammise subito dopo.

A quella confessione, Ruben Perez distolse lo sguardo, puntando i suoi occhioni chiari ad ammirare un punto indefinito al di là del finestrino. Anche se si trattava di loro, Romero e Castro, parte della sua famiglia, non voleva mostrarsi, ai loro occhi, in alcun modo vulnerabile. Si costrinse a non voler sbattere le palpebre, evitando, in quel modo, che le varie lacrime che gli stavano inumidendo gli occhi, potessero traboccare. Rigandogli le guance accaldate.

"Asier" chiamò la sua guardia del corpo, dopo vari attimi trascorsi in silenzio. Castro ruotò appena il capo nella sua direzione, attendendo. "Llévame al cementerio"

---

"Perdona il ritardo, mamá" si scusò Ruben, mentre si accucciava a terra.

Allungò una mano, afferrando il mazzo di fiori, oramai appassiti, presente nel vaso posto al centro della tomba della donna, sostituendolo con uno dei due bouquet che, vari minuti prima, aveva acquistato dal fioraio. Gettò a terra, poco distante da lui, il mazzo di fiori appassito. Poi, dopo aver dato un'accurata pulita alla tomba in marmo di sua mamma, ed aver poggiato un leggero bacio sul giovane volto impresso nella foto presente nella lapide, si sedette a terra, incrociando le gambe.

"Ci sono così tante cose che vorrei raccontarti, mamma. Ma non so proprio da dove cominciare" iniziò a parlare. E, mentre conversava, tirò via qualche ciuffetto d'erba giallognola, la quale, a parer suo, stava rovinando tutta l'erba, ben curata, che si trovava attorno alla tomba della madre. "Ho conosciuto una persona" disse poi, sollevando lo sguardo in direzione della foto della giovane donna che possedeva il suo stesso colore degli occhi. "Sai mamma, Alex, così si chiama, mi ricorda tantissimo te" ammise, sorridendo al ricordo di come, un tempo, la sua adorata madre fosse. "E' testarda... E forte proprio come eri tu prima di..." si bloccò, storcendo il naso schifato. "...Prima di incontrare lui" concluse così la frase che stava dicendo. Evitando di pronunciare il nome di colui che, anni prima, gli aveva portato via il suo mondo, strappandogli il cuore dal petto. Frettolosamente, si asciugò quell'unica lacrima che, da traditrice, si era permessa di fuoriuscire dal suo occhio destro. "Non ti preoccupare, mamá" la rassicurò, mentre si alzava da terra, e si puliva i jeans dal terriccio che si era attaccato al tessuto dei pantaloni che indossava. "Riuscirò a vendicarti" il timbro di voce era dannatamente serio. "Così, finalmente, potrai riposare in pace"

---

"Credi davvero di riuscire a tenere a bada un'intera gang di uomini?" si chiese, borbottando, con voce incline all'esasperato, Samantha Moretti, non appena si era allontanata, quanto basta, dal famigerato capo dei Siervos del Diablo, Ruben Perez.

Aumentò, notevolmente, la presa sul suo album da disegno, continuando a camminare a passo svelto. Assorta nei suoi pensieri, si addentrò in un piccolo vicolo colorato, non prestando granché attenzione a ciò che la circondava.

"Argh! Mi sono scavata la fossa da sola!" si passò una mano sulla lunga chioma bionda, sbuffando.

Non era da lei reagire in quel modo. Nei suoi ventiquattro anni di vita mai, fino a quel momento almeno, si era ritrovata a dubitare delle sue capacità. Del suo potenziale.

Dopotutto, lei, essendo cresciuta circondata quasi unicamente da uomini, il sesso maschile era sempre stata in grado di tenerlo a bada. In fin dei conti, sembrava quasi che fosse più uomo lei degli uomini stessi.

E tutto questo grazie ad Alessio, suo padre. Il quale, dopo la morte della sua adorata moglie, Nives, aveva dedicato anima e corpo per crescere, al meglio, la sua adorata figlia. Insegnandole, con l'aiuto di Viper, come difendersi ed attaccare sempre per prima.

Perché Alessio, di certo non voleva che, Samantha, dovesse subire quello che lui, purtroppo, aveva dovuto sopportare dall'uomo che, da tempo, aveva smesso di considerare come suo padre. Ed era, semplicemente, divenuto Gabriele Moretti.

Era ancora intenta a maledirsi, mentalmente, per aver fatto quell'affronto al capo dei Siervos del Diablo quando, il silenzio che, fino a quel preciso istante aveva regnato attorno a lei, fu spezzato.

La bionda, non appena udì quell'impercettibile, per orecchi non attenti ed esperti quanto i suoi, tonfo leggero, proveniente dall'angolo dietro di lei, si bloccò di colpo, in totale ascolto. Drizzò le sue antenne, per così dire. E, dopo essersi voltata molto lentamente, ed aver poggiato, sopra di una piccola panchina il suo album da disegno, facendo meno rumore possibile, si avvicinò al punto dal quale, qualche attimo prima, era provenuto il suono.

Per qualche breve secondo, si fermò proprio prima di svoltare l'angolo. I nervi tesi e le orecchie ben drizzate in ascolto. Così da riuscire a captare anche il più leggero suono. In seguito, fece un lungo e profondo respiro. Preparandosi addirittura al peggio. Con estrema forza, serrò la mano destra a pugno. Un pugno talmente stretto che le unghie le si conficcarono nella carne del palmo della mano, creando dei piccoli solchi a forma di mezzaluna, e le nocche le divennero bianche.

<O la va, o la spacca!> si disse mentalmente, infondendosi una massiccia dose di coraggio.

E dopo agì.

Svoltò, come un felino, l'angolo del vicolo, caricando, a tempo stesso, il pugno destro. Pronta, più che mai, a sferrare, a chiunque si trovasse lungo quella parete di mattoni, un sonoro superman punch. Che, di certo, se il suo wrestler preferito, ovvero Roman Reigns, stesse assistendo a quella scena, sicuramente ne sarebbe stato orgoglioso.

Con un salto, tipico proprio di Reigns, scagliò il suo superman punch contro la mascella sinistra del misterioso uomo. Facendolo finire col culo contro il bruciante asfalto.

"¡Dios mío, qué mal!" si lamentò l'uomo, mentre si teneva il punto dolorante e cercava di rimettersi in piedi.

Non appena il misterioso uomo si rimise in posizione eretta, Samantha lo spinse contro la parete di mattoni, bloccandolo. Con prepotenza, gli afferrò la mano sinistra, scoprendo, non con troppo stupore, in realtà, che sul dorso vi erano tatuate un paio d'ali. Le stesse ali che aveva visto nelle mani di Hector e Mateo. Nonché il marchio dei Siervos del Diablo.

<E così hai liberato uno dei tuoi fidati cani e lo hai mandato a pedinarmi?> si pose, mentalmente, quel quesito, mentre lasciava andare la mano del moro.

Non appena gli lasciò andare la mano, la bionda sollevò i suoi occhi azzurri verso quelli marroni di lui, rimanendo, per qualche secondo, bloccata ed a corto di fiato davanti a tanta bellezza.

<Esiste, oppure no, un membro di questa stra cazzo di gang che non sia fottutamente bello?!>

Luka Torres, percependo che, la giovane biondina, se ne stava assorta nei suoi pensieri, si schiarì la voce. Facendo, in quel modo, uscire dallo stato di trans il giovane membro dei Sons of Silence.

La Moretti sbatté, un paio di volte, le palpebre, cercando di ricomporsi. Compì un solo passo all'indietro e, dopo aver squadrato, dalla testa ai piedi, Torres, incrociò le braccia sotto al seno, assottigliando lo sguardo.

"Tu sei quello che mi stava pedinando la scorsa notte!" esclamò Samantha, dopo aver realizzato che, il moro che si trovava con le spalle al muro, era lo stesso uomo che, la sera che aveva giocato con El Diablo, l'aveva seguita non appena aveva lasciato il locale.

"E tu sei quella che, non solo è stata in grado di seminarmi, sgattaiolando come una gattina in mezzo alla folla" controbattè Torres, mentre si staccava dalla parete di mattoni. "Ma anche che, a quanto pare, era ben conscia del fatto di essere seguita" concluse, torreggiando sulla figura della biondina.

<Sbaglio o mi ha appena chiamato gattina?> la Moretti si pose, tra sé e sé quel quesito.

"Dovresti rivedere le tattiche che utilizzi per pedinare le donne" replicò lei, sollevando il mento con aria di sfida. "Non sei affatto bravo"

Nell'udire quelle parole, gli angoli della bocca di Luka Torres si sollevarono verso l'alto, dando vita ad un sorrisetto divertito.

"Ora comprendo perché il capo è attratto da te" si lasciò sfuggire il moro, inclinando la testa di lato. Studiando, con maggior interesse, la giovane donna che si trovava davanti. "Sei diversa dalle altre ragazze"

"Quindi è questo che fai?" chiese la biondina, non smettendo per un attimo di tenere, sotto il suo vigile controllo, l'uomo. Luka sollevò un sopracciglio, attendendo che lei proseguisse a parlare "Pedini le persone per Ruben?"

Per tutta risposta, il possessore di quei occhi scuri, ghignò.

<Dio! Quanto vorrei togliergli quel ghigno dalla faccia a suon di cazzotti!>

Ci furono altri lunghi e svariati minuti dediti ad i loro continui botta e risposta.

Sia Samantha, sia Luka, cercavano, in tutti i modi, di ottenere, quasi inutilmente, delle informazioni dall'altro. Ma senza alcun successo. Fu solo quando la Moretti, oramai stanca di quel giochino che si stava portando per le lunghe, a detta sua, che i due riuscirono, finalmente, ad arrivare ad un compromesso.

"Facciamo un patto, Luka" cominciò così il suo discorso il giovane membro dei Sons of Silence, attirando, su di sé, tutto l'interesse del moro.

"Spara" replicò lui, osservandola dall'alto dei suoi centottanta centimetri.

"Dato che tu, continuerai a seguirmi fino a che non riceverai l'ordine di ritirarti" prese a parlare lei, mettendo, tra delle virgolette immaginarie, l'ultimo termine pronunciato. "Ed io, d'altro canto, non ti lascerò tranquillo fino a che non avrò ricevuto l'informazione che voglio" continuò a parlare e, mentre lo faceva, cominciò a camminare su e giù per quel vicoletto. "Mi sembra una buona cosa se, entrambi, riveliamo qualcosa all'altro"

"Cosa mi offri?"

"Ti dico dove alloggio" rispose, con estrema tranquillità, la Moretti. "In cambio mi dirai come mai, Ruben, è tornato di corsa a casa da questa famosa Penelope"

Torres, per qualche secondo, rimase in silenzio. Riflettendo a pieno sul da farsi. Poi, dopo aver dato un lungo tiro alla sigaretta che, qualche minuto prima, si era acceso, parlò.

"Chi mi dice che non mi darai il nome di un hotel a caso?"

"Ti concedo di accompagnarmi all'hotel" propose Samantha. "Fino alla mia stanza" aggiunse, guardando il moro. "Affare fatto?"

Peccato solo, per Luka Torres ovviamente che, all'hotel nel quale Samantha lo stava per condurre, la nostra protagonista ci avrebbe passato ancora solo una notte. Poi, come da programma, avrebbe dovuto effettuare il check-in in un altro albergo. Così da non restare, come Viper gli aveva suggerito, per troppo tempo nello stesso luogo.

Una mezz'oretta più tardi, accompagnata da quel bell'imbusto di membro dei Siervos del Diablo, Samantha Moretti arrivò a destinazione. Come aveva promesso, Luka, durante il tragitto verso l'albergo, gli aveva rivelato il motivo per cui, qualche ora prima, Ruben Perez era dovuto rientrare alla villa.

"Quindi mi confermi che stasera troverò Ruben al Grass?" domandò la ragazza dagli occhi azzurri al moro, mentre entravano in ascensore.

"Si, saranno al Grass" rispose lui, prendendo posto, accanto alla biondina, all'interno di quella gabbia metallica. "Prima la porta a cenare in uno dei suoi ristoranti preferiti, poi vanno a ballare al Grass" concluse. Guardò di sottecchi la ragazza accanto a lui, domandando poi un "Che hai intenzione di fare, gattina?" dandole quel nuovo nomignolo.

"Voglio solo vedere Penelope, tutto qui"

Oh si, certo. Come no. Le intenzioni di Samantha Moretti erano altre. Decisamente ben altre.

Un piccolo din proveniente dall'ascensore, che indicava l'arrivo al piano desiderato, fece bloccare il discorso che, Torres, stava per fare.

In silenzio, seguì la bionda lungo il corridoio dalle pareti tinteggiate di color avorio. Svoltarono a destra, fermandosi poi davanti alla seconda porta posta sulla sinistra. La camera 111.

"Bene, questa è la stanza dove alloggio!" esclamò lei, dopo aver aperto, con apposita tessera magnetica, la porta della camera. Così da poter far vedere, al moro, che non aveva bluffato. Mise entrambi i piedi all'interno della stanza. Poi, con lentezza, girò i tacchi, osservando il membro dei Siervos del Diablo. "E mi raccomando, Luka. Non dirgli nulla. Sennò finirai col rovinarmi la sorpresa"

Luka Torres si piegò in avanti, avvicinando le labbra all'orecchio sinistro di lei. Schiuse la bocca, sussurrandole poi un "Come desideri, gattina"

In quel preciso istante, ne Samantha ne tanto meno Luka potevano, anche sol pensare cosa, nei mesi a seguire, entrambi sarebbero divenuti per l'altro. Perché, anche se contro il loro volere, tutti e due sarebbero dovuti stare accanto all'altro. E quello che, inizialmente ai loro occhi sarebbe apparso come un dispetto fattogli di proposito, col tempo si sarebbe tramutato in ben altro. Un rapporto... Un legame al quale, nessuno dei due, sarebbe mai riuscito a rinunciare.

---

Erano da poco passate le ventitré quando, in compagnia della bella Penelope Soler, il capo dei Siervos del Diablo, Ruben Perez, fece il suo ingresso all'interno del Grass.

Come di consueto, non dovette in alcun modo fare la fila per entrare e, non appena i due entrarono nel locale, furono accompagnati in una piccola zona riservata, posta su di un livello rialzato. Dal quale si poteva, non solo chiacchierare in tutta tranquillità e rilassarsi senza esser disturbati. Ma si poteva, beatamente, osservare tutto ciò che accadeva al piano inferiore. Ed ammirare chiunque entrava.

Ruben era serenamente accomodato su di un divanetto color bordeaux. Penelope gli sedeva accanto, e si stava facendo cullare dai dolci movimenti della mano di Perez che gli stava accarezzando la lunga e morbida chioma castana.

Con la mano libera, recuperò il bicchiere di rum che era poggiato sul tavolino di vetro, con l'intento di sorseggiare il suo liquore preferito. Fece ondeggiare appena il capo, seguendo le note di Bailando, canzone di Enrique Iglesias che risuonava sovrana all'interno delle mura del locale. Avvolto dalla canzone e, continuando a sorseggiare il proprio drink, i suoi occhi cominciarono a vagare per tutto il locale. E per poco non gli andò di traverso il rum che stava bevendo non appena, i suoi occhi, si posarono su di lei. Colei che gli stava fottendo il cervello.

Samantha, percependo di essere osservata, cominciò a guardarsi attorno, cercando il possessore di quel maledetti occhi verdi. I quali, neanche a farlo apposta, la stavano inspiegabilmente attirando a se.

Sollevò i suoi occhi azzurri verso l'alto, e lo vide.

Si guardarono per svariati secondi. Secondi che, per entrambi, sembrarono interi minuti.

In seguito, Samantha, come per sfidarlo, gli sorrise.
E davanti a quel diabolico sorrisetto che aveva appena ricevuto, Ruben Perez non poté far a meno che ingurgitare un grumo di saliva.

<Sono fottuto> si disse mentalmente, non riuscendo mai a distogliere lo sguardo da lei.

Oh si Ruben, sei fottuto. Decisamente fottuto.

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SPAZIO AUTRICE:

Lo so, sono in mega ritardo. Ma non riuscivo a fare il capitolo come dicevo io. Quindi l'ho riscritto (vari punti) alcune volte.

E lo so. In questo capitolo doveva esserci un po' di caos per Ruben avendo sia Penelope, sia Samantha, nella stessa stanza. Ma ho voluto slittare il tutto al prossimo per far entrare in scena, in questo capitolo, Luka.

Vi dico solo che (protagonisti principali esclusi) Luka è uno dei personaggi a cui tengo maggiormente, se non il mio preferito. Dedicherò spazio a tutti i membri dei Siervos del Diablo. Perché ognuno di loro ha qualcosa da raccontare. Ma Luka sarà di gran lunga quello che spiccherà di più.

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