Diario di un Serpeverde

By PrincipessaNatalia

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Onore, fama e ambizione. Tre parole di cui Daniel comprendeva a stento il significato. Da una parte vedeva l'... More

Premessa
-1- Nitora Road
-2- I Potter
-3- Decreto di Integrazione Egualitaria dei Non-Maghi
- 5 - Primo Settembre
- 6 - Lo Smistamento
- 7 - Serpeverde
- 8 - Primo Giorno
- Orario -
- 9 - Triplo Strato al Cioccolato
- 10 - Manufattologia Magica
-11- La Serpe di Famiglia
-12- Tutto Fumo e Niente Intruglio
-13- D.R.A.G.O.
-14- Via le Bacchette!

- 4 - Buste, provette e un paio di baffi

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By PrincipessaNatalia

Il pigro Sole di luglio sfilava lentamente attraverso i vetri lucenti delle finestre di Casa Noblineage.

L'estate, stagione che Daniel detestava con ogni grammo del suo corpo, trasformava Londra in una chiassosa cappa di caldo e umidità.

Il ricevimento aveva adempiuto al suo scopo, qualunque esso fosse, ed era stato quello che, a detta di suo padre, si poteva definire un completo successo.

Inoltre, per una fortunata serie di eventi, la breve e impacciata conversazione con Neville Paciock aveva messo Damon Noblineage così di buon umore che a Daniel fu infine perdonata la fuga fuori programma.

«Complimenti, Daniel, sono colpito. Possiedi un'arguzia notevole» gli aveva detto la sera successiva all'evento, attardandosi alle spalle del divano per lasciargli qualche rara e gentile carezza sul capo «mettere una buona parola per me col Signor Paciock è stata una mossa da vero stratega. Ero in compagnia del Signor Potter quando è passato a riferirmi ciò che avevi detto, deve aver sicuramente apprezzato il buon gesto. Sapevo che in fondo avevi a cuore la felicità di tuo padre!»

Daniel aveva inscenato un sorriso, ben conscio che nessun tipo premeditazione lo aveva spinto a rivelare quelle cose al suo futuro insegnante.

Nonostante le buone intenzioni, le gentili parole di Albus Potter continuavano a risuonargli nella mente e, oltre la cadenza ipnotica, trascinavano con loro anche una discreta dose di ansietà. Il desiderio di ricevere la lettera si era fatto più intenso che mai e Daniel non vedeva l'ora di poter dare un taglio a quel supplizio.

La sua trepidante attesa ebbe vita breve perché, la tiepida mattina del 12 luglio, l'oggetto del suo desiderio gli fu ironicamente servito assieme ai pancakes della colazione. 

O quasi.

Devoty infilò il naso appuntito nella sala da pranzo al primo piano, guardandosi bene dal far cigolare il legno della porta a doppia anta. Sopra di lei, il vassoio argentato che di solito accoglieva la corrispondenza nell'atrio, galleggiava placidamente a mezz'aria come un palloncino nella brezza.

L'elfa si avvicinò alla Signora Noblineage, intenta a sorseggiare parsimoniosamente il suo tè, dei biscottini di pasta frolla ancora intatti sul piattino. Un'ammiccante rivista degli eventi mondani in programma per quella settimana era aperta lì davanti.

Il Signor Noblineage invece, era già uscito di casa presto per lavoro.

«Sono arrivate, Signora, le lettere di scuola di maghi.»

Con un guizzo agitato, Daniel e Matthew smisero di spiluccare nei loro piatti per sbirciare il contenuto del vassoio che stava dolcemente sorvolando la tavolata.

Ma prima ancora che Daniel avesse modo di leggere il proprio nome impresso con l'inchiostro smeraldino sul fronte della busta, questa si librò in volo alla volta della madre. 

La donna la ricevette direttamente sul palmo niveo della mano dischiusa.

«Sapevo fosse solo questione di qualche giorno» sorrise deliziata, l'altra mano che adagiava con grazia la bacchetta accanto al tovagliolo ricamato.

Matthew, nel frattempo, era riuscito in qualche modo a recuperare la propria busta dal piatto galleggiante e stava già lacerando la pergamena per arrivarne dritto al contenuto. 

Nel vedere i suoi occhi saettare emozionati tra le righe, Daniel provò un naturale moto d'invidia.

Anche lui voleva leggere la sua lettera!

«Dunque, direi che non c'è tempo da perdere.»

Sua madre si era alzata da tavola, delle movenze armoniche a scivolare tra le pieghe di un lungo abito amaranto.

Daniel, così come Devoty, dovettero trotterellarle al seguito mentre questa spalancava decisa le porte delle stanze, elargendo ordini a destra e a manca.

«Devoty, conferma l'appuntamento con i McDonovan per questo mese. Ho bisogno che le divise siano fatte rigorosamente su misura!»

«C-certo, Padrona!»

«E poi ricordami di mandare un messaggio a Serenity per le misure... voglio essere certa che non ci siano errori.»

«Mamma...» Daniel incespicò oltre la soglia del salotto, l'impressione di essere intento a correre una maratona.

«I contanti qui in casa non sono molti, sarà senz'altro meglio prelevare, non si sa mai quanto possano venire a costare le tariffe preferenziali al giorno d'oggi. Farò un salto alla Gringott prima di passare al Ghirigoro per i volumi, spero riescano a recapitare tutto a domicilio in un'unica consegna» stava riflettendo la Signora Noblineage ad alta voce, la lista che pendeva dalla busta come una lunga lingua di carta.

Devoty schioccò le dita per indurre un raffinato soprabito grigio betulla ad adagiarsi sulle esili spalle della padrona.

«Mamma...»

«Inoltre, dovrò mandare un gufo ad Algernon per il set di provette in cristallo. Mi stupirei se non avesse già tenuto da parte i nuovi design per i suoi nipoti, con tutte le farmacie che gestisce in Inghilterra.»

La bacchetta di Rafflesia sventolò rapida verso l'alto e Daniel vide lo scrittoio in fondo alla sala animarsi, l'affilata penna di un gallo cedrone stava già mettendo per iscritto la richiesta indirizzata allo zio paterno.

Quando l'intricato ricamo del tappeto color crema si tinse con il bagliore delle classiche e urgenti fiamme verdastre, avvampante di colpo nel camino, il ragazzino perse la pazienza.

«Mamma!!!»

Sia Devoty che la Signora Noblineage si voltarono, quest'ultima ancora indaffarata a infilare il braccio nel manico di una lustra borsetta di velluto avorio.

«I-io...» ben conscio di aver alzato la voce, Daniel esaurì in un soffio tutto il suo coraggio «posso leggere anche io la mia lettera?»

Il delicato collo della madre si mosse in un cenno eloquente.

«Non ora, tesoro. Non vedi che la mamma si sta occupando da sola di tutti i preparativi?»

«E quando... quando potrò riaverla?» riprovò, forzando lo sguardo a non retrocedere sul pavimento.

Vide qualcosa passare fugace attraverso le iridi vitree di quegli occhi così ben truccati, l'ombra di un pensiero. Poi, le tenere labbra tinte di rossetto si dischiusero in un tenue sorriso comprensivo.

Le pupille di Daniel si allargarono quando la madre mosse la bacchetta in un gesto leggiadro e la luce naturale del Sole parve improvvisamente rifuggire la busta di pergamena, dividendosi da essa come il riflesso confuso di una seconda pelle.

Una nuova lettera si staccò dalla precedente e venne intrappolata prontamente tra le dita della donna.

«Tieni.»

Daniel prese l'oggetto, avvicinando curioso la punta del naso alle righe. Ci mise qualche istante per capire cosa fosse.

«Quando pot...» tentò.

«Ti restituirò l'originale più tardi, quando avrò finito» fu la sentenza finale della Signora Noblineage.

Per il momento, Daniel dovette farsi bastare la copia della sua ammissione.

Le settimane successive riportarono in casa un assaggio amaro di quella che era stata la frenesia dei preparativi per il ricevimento.

Se da un lato l'improvviso bisogno di fare qualcosa rese i pomeriggi di Daniel meno oziosi, dall'altro gli ricordò quanto la sua opinione contasse poco lì dentro.

Quel pomeriggio, era reduce da una seduta piuttosto dolorosa con il sarto, convocato dalla madre per prendere le misure delle nuove uniformi.

Lui e Matthew erano stati costretti a salire su due piccoli sgabelli nel salone al pianterreno, tornato magicamente alle sue originali e più modeste dimensioni, mentre un uomo scontroso con due baffetti arricciolati infilava spilli nelle tuniche nere che stavano provando.

Zia Serenity supervisionava severa il tutto e passeggiava avanti e indietro alle spalle del poveretto, le mani con le unghie smaltate di rosso ferme sui fianchi. 

Un metro da sarta, srotolato in spire concentriche sul pavimento, inarcava l'estremità millimetrata verso l'alto, sibilando minaccioso come un cobra pronto all'attacco.

Parecchie cuciture più tardi, Daniel pestava rumorosamente i piedi su per i gradini, nelle braccia ancora la sgradevole sensazione degli aghi che gli pungevano la pelle.

A metà strada, la colossale pancia di zio Algernon per poco non lo travolse, sbarrandogli la strada sul primo pianerottolo.

«Oh, Dany, eccoti qua! Sono appena stato da tua madre per lasciarle il set di pozioni che ti servirà quest'anno» lo informò gioviale, un pollicione sollevato a indicare le scale «abbiamo degli ottimi cristalli anti-macchia che mi sono appena arrivati dal Nord Italia...»

«Grazie molte, zio.»

«Ovviamente, non devi preoccuparti per gli ingredienti: rifornisco interamente io!» aggiunse nascondendo un vivace occhiolino dietro le dita della mano.

Per Daniel fu impossibile non ritrovare almeno un briciolo di buonumore.

«Stai cercando qualcuno?» domandò allora, notando come le pupille dell'uomo finivano per scappare nella direzione opposta «papà non sarà di ritorno prima di cena.»

«Sì, beh... naturalmente lo so. Volevo solo...» zio Algernon spostò il peso da un piede all'altro, oscillando come un grosso elefante «Non è che per caso c'è una fetta di quel delizioso dolce che la vostra elfa prepara sempre con così tanta maestria?»

Daniel si stupì non averlo previsto.

«Devoty è in cucina» disse semplicemente in un implicito 'via libera'.

«Non so come farei senza di te, Dany, sei il mio più fedele alleato. Mi raccomando...» zio Algernon tamburellò il dito indice sulle labbra prima di abbassare le mani grassocce sul tessuto rigonfio del gilet scozzese «tu non mi hai mai visto qui.»

«Ho le labbra sigillate.»

Lasciò il pianerottolo mentre la voce dell'uomo ancora lo accompagnava rimbombando lungo la scalinata.

«Se te lo chiede, non dire nulla a tuo nonno del calderone in peltro, penso che mi ucciderebbe. Il nipote del grande Saevio Noblineage che distilla intrugli in una foglia di latta, roba da non credere! Ma tua madre è stata irremovibile, nossignore! Dice che la Scuola ultimamente è piuttosto rigida circa l'equipaggiamento dei suoi studenti... peltro...bah, che storie!»

Quando Daniel mise piede in soggiorno, vi trovò sua madre, indaffarata a riordinare parecchi fogli di carta da pacco.

Sul tavolino al centro della sala, dove solitamente brillava l'antico servizio da tè della bisnonna, c'era una costruzione traballante di provette e bocce panciute dall'aspetto delicato.

Ma ciò che catturò maggiormente la sua attenzione, fu la pesante piramide di libri, foderati in cuoio variopinto, che occupava interamente la superficie del tavolo rotondo vicino alla vetrina dell'argenteria.

«Sono i libri? Quelli che useremo a Hogwarts?!» domandò emozionato spiccando una piccola corsa.

Stava già assaporando il profumo inebriante dell'inchiostro caldo di stampa, quando il tappeto gli giocò un brutto scherzo, riportandolo indietro di qualche metro.

«Daniel, non puoi avvicinarti ai libri, devi portare ancora un po' di pazienza» fece perentoria la madre, riponendo la bacchetta.

«Cosa? E perché?!» Daniel stava litigando con il tappeto vorticante ai suoi piedi.

«Perché prima voglio assicurarmi di averli incantati uno per uno» la Signora Noblineage sollevò in aria il naso con praticità «Non posso permettere che si macchino prima ancora che mettiate piede a scuola, non dopo tutto quello che ho speso per le versioni integrali! Sono quasi certa che l'incanto 'impervius' dovrebbe bastare a coprire i danni maggiori, ma voglio comunque consultarmi con tuo padre, quando tornerà dal lavoro. Da Auror, avrà sicuramente molta più dimestichezza di me con i contro-incantesimi di contaminazione per questioni d'integrità legati alle prove delle indagini e quant'altro...»

Al ragazzino girava la testa per tutti quei paroloni, o forse era solo il ballo forsennato a cui lo costringeva il pezzo di stoffa sotto le suole.

«Che barba!» sbottò.

In segno di protesta, assestò un piccolo calcio alla gamba del divano. La valigetta, in bilico lì vicino, si rovesciò sul tavolino, mandando all'aria la stabilità del set di provette.

«Cielo, avevo detto ad Algernon di riporre tutto nel contenitore prima di andarsene! Guarda qua che disastro!»

Mentre uno stormo di schegge vetrose impazienti di tornare al loro posto si librava in aria, Daniel approfittò della distrazione della madre per sgraffignare un volume a caso dalla pila e fuggire a perdifiato in camera sua.

Non era molto, ma rimaneva pur sempre un inizio.

Agosto non gli era mai parso più lungo in vita sua. Daniel avrebbe tanto voluto poter tracciare una linea netta sull'intero mese del calendario, balzando così a piè pari al giorno d'inizio dell'anno scolastico.

Certo, il libro di Trasfigurazione per principianti, che in quelle giornate custodiva di contrabbando sotto il letto, si era trasformato nel suo piccolo rifugio letterario preferito. 

Sua madre non gli aveva ancora dato il permesso di maneggiare gli altri volumi liberamente.

A lungo andare però, l'assenza di una bacchetta magica e il bellicoso ostacolo lessicale di termini incomprensibili, avevano fatto sfumare parte dell'originario interesse. 

Era un po' come cercare di tradurre un testo senza conoscerne veramente la lingua.

Anche suo fratello Matthew era di scarsa compagnia, dal momento che trascorreva intere giornate chiuso nella sua stanza, probabilmente intento a scribacchiare lettere indirizzate al suo amico Emmett.

Gli unici messaggi che Daniel riceveva, invece, erano le sporadiche missive da parte di Christian Blood, le quali venivano recapitate da un pomposo gufo reale tutto piume.

Nella maggior parte dei casi, comunque, si trattava solo di assurde lamentele circa la lista di oggetti proibiti agli studenti del primo anno. Christian continuava a sostenere che per introdurre a scuola il suo manico di scopa personale avesse ideato un piano che coinvolgeva un baule a doppio fondo e una fattura occultante. 

Daniel, in ogni caso, non credeva a una singola parola.

A circa metà del mese, sua madre lo mandò a chiamare ad un orario in cui le ombre scure degli alberi lungo Nitora Road disegnavano forme contorte sui muri cocenti delle abitazioni.

Matthew si aggiunse a lui nel scendere le scale, segno che rendeva più concreta la possibilità che si trattasse di una ramanzina.

Le tende di velluto scuro del soggiorno erano state tirate e nel caminetto ardeva un ambrato fuoco di fiamme fredde. 

Il profilo delicato della Signora Noblineage si stagliava proprio là, dove la perpetua lotta di luce e ombre imperversava, irradiandosi sulle superfici circostanti.

«Voglio mostrarvi una cosa» la cadenza severa trasformò in un punto fermo ciò che sarebbe dovuto essere un inizio.

Nella penombra soffocante, Daniel lanciò un'occhiata a Matthew, il quale replicò con la stessa linea sorpresa delle sopracciglia.

Sul tavolo davanti a loro c'era una piccola cassa, il lato lungo non doveva superare la trentina di centimetri. Il legno era graffiato e in alcuni punti la lacca nero pece era stata scrostata via dall'usura e dal tempo. 

L'unica a brillare era la grossa serratura d'argento, così smagliante da sembrare un'aggiunta successiva all'insieme.

La madre alzò la punta della bacchetta.

Il cuore di Daniel perse un battito nel brusco scatto di un ingranaggio metallico che risuonò come un colpo di pistola.

Il coperchio si sollevò, rivelando un dolce letto di velluto impolverato, dello stesso colore di un cielo al crepuscolo. 

Tra le pieghe, era adagiato qualcosa.

I due ragazzini piegarono il collo in avanti.

Una bacchetta magica.

Aveva un'aria antica, era sicuro di averne viste poche di quel tipo. L'impugnatura presentava dei solchi nel legno, come un intricato disegno senza fine e un sottile anello metallico fissava l'estremità al corpo centrale.

«Quella la prende Daniel!!!» esclamò suo fratello tutto d'un fiato, quasi si trattasse di una gara.

«Cosa? no!» replicò lui svelto dopo aver realizzato di essere appena stato battuto sul tempo.

Guardò la madre mentre la paura di aver perso la partita di uno stupido gioco si concretizzava.

«Tuo fratello ha ragione, questa bacchetta è per te.»

«Perché?» chiese a corto di parole, ancora convinto che si trattasse di un brutto scherzo.

«Perché è già tua» la risposta della madre lo lasciò di sasso «Circa nove anni fa, fu la prima cosa che estraesti dal cesto di giocattoli, che ti proponemmo, in mezzo ad alcuni cimeli di famiglia. Fa parte di una pratica secolare molto in voga tra le antiche famiglie di maghi, il modo più semplice per sondare le attitudini innate dei giovani stregoni. Confidiamo che la bacchetta ti abbia guidato in quella decisione.»

Il tutto risuonò così assurdo che Daniel fu costretto a scuotere il capo, scompigliando la frangia di capelli corvini. Il suo sguardo cadde di nuovo sulla scatola.

«Ma è vecchia!» protestò, alludendo alle ragnatele.

Sua madre gonfiò impettita il petto.

«Questa bacchetta ha attraversato i secoli, tramandata tra le mani di illustri maghi appartenenti alla famiglia di tuo nonno. Fino a un decennio fa, apparteneva a Demeteo Noblineage.»

«Il prozio?» il disgusto di Daniel non faceva che aumentare.

E ci teneva a precisare di non aver nemmeno mai conosciuto il fratello maggiore del nonno. L'ombra cinica e incancellabile che aveva lasciato intrisa nella tela magica dei dipinti, tuttavia, era sufficiente.

«Proprio così.»

Lui scoccò un'occhiata incredula prima alla madre e poi alla malefica stecca adagiata sul velluto.

«Io non voglio la bacchetta di un morto.»

Ed era la verità più assoluta.

«Sapevo che avresti reagito così. Motivo per cui stiamo affrontando questa conversazione mentre tuo padre si trova ancora al lavoro» le sopracciglia della donna palesarono con eleganza la semplicità di quel ragionamento «immagina la delusione di tuo padre nel sentirti parlare così dei suoi antenati più eccelsi. Ti sto dando una possibilità, Daniel, non renderla vana.»

Nella cecità della sua cocciutaggine, il ragazzino riconobbe comunque la mano che sua madre gli stava implicitamente porgendo.

Già immaginava il viso rosso del Signor Noblineage urlargli contro invettive sul disonore bruciante, mentre le vene si gonfiavano ribollenti sul collo, pompando sangue inviperito.

«Non è giusto» borbottò infine, rilassando le braccia lungo i fianchi «e Matthew quale avrà, allora?»

La calma della donna non mutò.

«Tuo fratello non ha mostrato alcun tipo di affinità né per la bacchetta del trisavolo Alfius, né per quella della bisnonna Obelia. Io e tuo padre abbiamo già organizzato un incontro con un fabbrica-bacchette per risolvere la questione.»

Matthew rivolse a Daniel un mite sguardo di scuse, le spalle sollevate in un silenzioso invito a lasciar perdere.

Ma era chiaro che non capiva. Lui almeno una scelta ce l'aveva e il suo futuro non si basava su uno stupido gioco orchestrato a sua insaputa quando era solo un neonato.

Arreso, Daniel mosse una falcata in avanti e prese in mano quella che sarebbe dovuta essere una fedele compagna di vita.

Rigirò la bacchetta tra le dita, avvertendo sulla pelle un profondo senso di estraneità.

Il legno era talmente scuro che non si sarebbe sorpreso se gli avessero detto di averla appena recuperata dalle ceneri del camino.

L'eco secco delle sue pantofole sul marmo duro turbava la quiete dell'ingresso. 

Daniel aggirò la curva sinuosa delle scale, imboccando uno stretto arco piastrellato in nero che si apriva direttamente sul pannello di legno.

Se c'era una cosa che non sopportava dello studio privato del padre, in casa, erano proprio quei due minacciosi avvoltoi impagliati affissi agli angoli della porta.

Batté qualche colpo sull'uscio, ignorando i becchi a uncino e gli artigli spiegati, prima di sgattaiolare dentro senza attendere un permesso.

«Papà, Devoty mi ha detto di venire qui...»

«Daniel, vieni, avvicinati.»

Dietro una grandiosa scrivania in legno riflettente con le gambe levigate a forma di zampa di leone, sedeva suo padre.

Daniel si avvicinò, sfregandosi nervoso le mani sulla maglia del pigiama.

Il Signor Noblineage, come capitava spesso in quegli ultimi giorni, gli apparve piuttosto stanco. I capelli neri in disordine e la pelle appesantita sotto gli occhi erano sintomi di una prolungata assenza di riposo.

«Mi dispiace di averti svegliato» incominciò con un'insolita gentilezza «sono rientrato solo poco fa e tu già dormivi.»

Le dita cercarono l'asticella degli occhiali che portava per leggere. Se li sfilò con un sospiro per posare un leggero massaggio sulle palpebre affaticate. Le maniche della camicia erano arrotolate fino ai gomiti e la pelle dei grossi avambracci si indorava alla fiammella tremula della candela.

«Comunque, volevo darti questo.»

La punta di una bacchetta fendette l'aria per un istante.

Qualcosa strisciò ai piedi di Daniel, scivolando dolcemente dall'ombra allungata che la scrivania gettava sul pavimento

Una gabbia.

Daniel sgranò gli occhi, indeciso su cosa lo stupisse maggiormente. 

Erano senza dubbio un paio di baffi.

«Papà, non ci credo! Mi hai preso un gatto?!» si piegò emozionato sulle ginocchia, infilando un dito curioso attraverso la reticella.

Il Signor Noblineage aveva allungato il collo per godersi la sua reazione.

«In realtà mi è capitato in ufficio, nessuno sapeva da dove fosse arrivato, una vera baraonda. Così ho pensato... dal momento che non hai ancora un animale e Matthew ha già Zefiro...»

Zefiro era il simpatico barbagianni che zio Algernon aveva regalato a Matthew per il suo compleanno. 

A Daniel era capitata una rara pianta carnivora, pena l'infortunata intromissione di suo nonno, che gli aveva morso un dito appena dieci minuti dopo averla sistemata in camera sua.

«Davvero? È fantastico! Grazie, papà!»

«Sono contento che ti piaccia, puoi portarlo in camera tua, se lo desideri.»

Incapace di credere che proprio suo padre gli stesse concedendo tutte quelle libertà, il ragazzino si caricò la gabbietta sulle braccia e procedette impacciato verso la porta.

«Ah, Daniel...»

Nel voltarsi, oscillò un poco sui talloni, appesantito dal carico ingombrante.

Trovò uno strano sguardo ad attenderlo, un'assordante nostalgia. 

Nei due freddi blocchi di ghiaccio che erano sempre stati gli occhi del Signor Noblineage, qualcosa sembrava sciogliersi, colando impercettibilmente come la cera del lume.

Vide l'indice affusolato dell'uomo tamburellare indeciso sull'orlo di un bicchiere mezzo pieno, una bottiglia di Whisky Incendiario stappata lì accanto.

Damon scosse il capo e mandò giù goccio di bevanda.

«Cerca di riposare, tra pochi giorni ti aspetterà un lungo viaggio.»

«Oh...» chissà perché ma si era aspettato qualcosa di diverso «Va bene. Buona notte, papà.»

«'notte, figliolo.»

***

Daniel osservò rapito la luce dei lampioni riflettersi sul manto scuro del felino acciambellato sul suo letto.

Malus, così l'aveva chiamato dopo che la gabbia aveva fatto cadere il libro di Trasfigurazione dalle coperte, scoprendo una pagina con quel titolo.

A lui piaceva, era un ironico contrasto con il carattere docile e affettuoso della bestiola. Appena liberato, si era subito messo a fare le fusa contro il suo palmo.

«Non abituartici troppo, questa non sarà la tua casa ancora per molto» disse piano al gatto dormiente, alzando la mano per l'ennesima grattatina.


***Angolo Autrice***

Salve, salvino!

In questo capitolo volevo mostrare i preparativi per la partenza verso Hogwarts secondo un'ottica diversa da quella a cui siamo abituati nei romanzi della saga. 

Chiaramente, il comportamento di una stirpe di purosangue si discosterà molto da quello di un orfano Harry Potter o di una casata con evidenti mancanze economiche come i Weasley, anche le emozioni in ballo non sono le medesime.

Volevo che Daniel fosse semplicemente trascinato da una corrente di faccende e tradizioni molto più grandi di lui. 

Spero di aver sortito l'effetto desiderato.

Fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti 😊

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