I LOVE YOU, OLIVIA

By SilviaVancini

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OLIVIA E' ALLA DISPERATA RICERCA DI UN COINQUILINO. Ha solo venticinque anni, dovrebbe divertirsi, invece pas... More

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CORRERE COI TACCHI
MANI SCONOSCIUTE
FONDOTINTA SULLA COSCIA
CHIAMATE PERSE
SORPRESA
E SE TI DICESSI CHE SONO INCAPACE DI TOLLERARE IL MIO STESSO CUORE?
IL BILOCALE
COSA PENSI DI ME?
TRE MESI DI AFFITTO
MI SEI MANCATA
RIMPATRIATA
TI AMO MA
ASSAI PALPITASTI
PUOI FARMI UN FAVORE?
CI SIAMO INCONTRATI IN BIBLIOTECA
UN UOMO BUONO
IL PICCOLO PRINCIPE
VOGLIA D'ESTATE?
I LOVE YOU, OLIVIA
TEAM
MERDA, MERDA, MERDA!
OCCHIO PER OCCHIO
CENA DI MEZZANOTTE
SOLTANTO IO, SOLTANTO TU
SEPARAZIONE
DEPRESSIONE POST-SPETTACOLO
MADRE E FIGLIA
E MI PIACI PER DAVVERO ANCHE SE NON TE L'HO DETTO
CAPODANNO
QUANDO SARANNO FUGGITI I GIORNI ESTIVI
SILENZIO RADIO
E VERRÀ UN GIORNO, PERCHÉ VERRÀ, SÌ, VERRÀ...
Parte 2 - E VERRA' UN GIORNO...
TI PIACEREBBE RESTARE PER SEMPRE?
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LETTO A CASTELLO

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By SilviaVancini

Il cuscino profumava di casa sua. Enzo ci aveva sprofondato il viso ed era un po' a corto di fiato, ma non voleva spostarsi. Il tempo avrebbe portato via quell'odore. Forse sarebbe bastata la notte per non fargliene trovare più traccia e lui doveva inspirarlo tutto, finché c'era.

Con ancora indosso gli abiti con cui era fuggito a gambe levate da Olivia Cuoghi, Enzo si trovava a casa di sua madre. Nella cameretta in cui lui ed i suoi fratelli erano stati prima bambini e poi adolescenti permalosi. C'erano due letti a castello ed i materassi erano stati avvolti nel cellofan per evitare che si ricoprissero di polvere, ma quello su cui era sdraiato lui era pronto per la notte. Era strano vedere un uomo fatto e finito con le lenzuola di Paperinik, ma non era l'accoppiata più bizzarra presente nella stanza.

Gli scatoloni pieni di giochi facevano a pugni con le pile di compiti da correggere con cui aveva invaso la scrivania. La carta da parati con gli orsetti disapprovava la presenza della cartella da professore. Le stelle adesive che brillavano sul soffitto squadravano dall'alto in basso le cravatte, i maglioncini e le camicie appoggiate su qualsiasi superficie.

In quella stanzetta in cui il suo passato ed il suo presente si mescolavano in combinazioni dolceamare, restare abbracciato al cuscino che gli aveva portato Catia rendeva tutto ancora più irreale. Non dormiva bene senza, per questo le aveva chiesto se poteva averlo, ma vedere come cozzava con tutto il resto provava quanto sia Enzo che il cuscino si trovassero nel posto sbagliato.

Enzo inspirò per la centesima volta quel profumo familiare.

Si rendeva conto di essere una contraddizione vivente. Voleva delle cose, poi voleva il loro esatto contrario. Nel dubbio, non faceva nulla per ottenere né le une né le altre. Per questo, quando sua madre lo chiamò a gran voce perché la cena era pronta, fu grato per tutte le scelte che non aveva dovuto compiere al solo scopo di sfamarsi e allo stesso tempo si irritò perché non sapeva nemmeno se voleva mangiare. Fatto sta che si alzò in piedi, tolse qualche piega dalla coperta di Paperinik ed uscì dalla sua stanza.

La madre di Enzo era una donna sola. Non le era rimasto nessuno da quando i figli erano diventati grandi ed il marito aveva perso la battaglia contro un tumore, ma lei era rimasta la personcina squisita e gentilissima che tutti nel quartiere conoscevano.

Amici e parenti avevano sempre detto che Enzo era il figlio che le assomigliava di più. Enzo non capiva perché, dato che in se stesso vedeva solo la stazza e le mani del padre, ma da quando era tornato a vivere lì cominciava a vederla in ogni abitudine che credeva propria. La vedeva quando erano seduti a tavola e mangiavano in silenzio. Quando erano super d'accordo sul film da vedere in TV alla sera. Quando sua madre cercava le parole e balbettava.

Enzo cenò con lei. Sparecchiò con lei. Lavò i piatti con lei. Sua madre insaponava e sciacquava, lui asciugava e metteva via. Avevano quasi finito, quando lei iniziò a fare conversazione.

«Come è andata oggi?»

«Bene. Ho visto tre appartamenti.»

«Intendevo con Catia.»

Enzo sospirò. Asciugò un paio di forchette e le ripose in un cassetto.

«Doveva solo darmi il cuscino, ma. Nulla di più.»

«Non le hai detto niente? Non ne hai approfittato per parlare?»

«Cosa c'era da dire?»

La domanda di Enzo era retorica, ma non per sua madre. Sapendo benissimo cosa avrebbe detto lei se fosse stata al posto del figlio, finì di lavare l'ultimo pentolone rimasto nel lavandino e si girò verso Enzo.

«Non puoi arrenderti così. Devi impegnarti di più, se vuoi tornare insieme a lei.»

«Non devo fare proprio nulla, mamma. Mi ha lasciato per un altro. Io devo solo rispettare la sua scelta e andare avanti.»

«No che non devi. Cioè, sì, ma voi due siete sposati. Non sei un fidanzato qualunque che può prendere e mollare, sei suo marito.»

«Questo non cambia le cose.»

Sua madre fece un gesto esasperato. Tolse dalle mani di Enzo la pentola che stava asciugando e gli disse di togliere il grembiule. Enzo protestò, disse che voleva finire lì, ma lei non accettò scuse. Andò a sedersi sulla poltrona del salotto, la poltrona che un tempo era stato il trono di suo marito, ed indicò il divano finché Enzo non ci si accomodò, anche se di malavoglia.

«Io non so cosa abbiate voi giovani. Cosa è successo che vi ha fatto diventare così fragili? Avete le crisi di mezza età a vent'anni. Siete depressi. Non avete il coraggio di sposarvi e quando lo fate rovinate un matrimonio alla prima difficoltà. Alla tua età io e tuo padre avevamo già finito di far figli. Sapevamo che i nostri unici compiti erano crescervi e lavorare e ci andava bene così. Era normale. Forse è questo il problema, adesso volete tutti essere speciali.»

«Io non voglio essere speciale.»

«Ma tua moglie sì. E la cosa si sta riversando su di te.»

Enzo non commentò. Pensò a quello che aveva appena detto sua madre, ma non capiva come tutta quella tirata sui giovani cambiasse la situazione tra lui e Catia. Vedendo che da solo non ci arrivava, sua madre fu più esplicita.

«Non ci si lascia così all'improvviso, Enzo. Prima ci si confronta e si fanno dei tentativi per far funzionare le cose, poi si decide che fare. Devi parlare con Catia.»

«E se non torniamo insieme?»

«E se invece succede?»

Enzo non era convinto. Sua madre si spostò sul divano e gli mise una mano sulla spalla.

«Va' da lei, Enzo. Ora.»

«Ora?»
«Ora. Non far passare un'altra notte.»

Enzo allora andò

* * *

Enzo stava guidando nel buio della campagna. La strada era piena di buche e l'illuminazione scarsa invitava a procedere con cautela, ma lui conosceva quel tragitto talmente bene che poteva farlo senza mai togliere il piede dall'acceleratore.

Stava tornando a casa. La sua vera casa, quella in cui viveva con Catia. Enzo la vedeva in lontananza ed il suo cuore ruggiva nel riconoscerne i contorni. Era una villetta di proprietà della famiglia di Catia e lui si era sempre sentito un po' in soggezione a vivere in un posto palesemente fuori dalla portata del suo stipendio da professore, soprattutto sapendo quanto scatenasse l'invidia della gente, ma in quel momento l'affetto gli strizzava lo stomaco.

Per fortuna ci pensò la memoria muscolare a farlo arrivare a destinazione tutto intero. Enzo si ritrovò davanti al cancello della villetta e fermò l'auto. Quello era il momento in cui doveva aprire il cancello ed entrare, come aveva fatto almeno due volte al giorno negli ultimi cinque anni, ma quella sera non c'era nulla di automatico.

Non era sicuro di quello che stava facendo. Credeva di averci pensato bene a casa di sua madre, quando aveva passato almeno dieci minuti a mettere e togliere le scarpe, ma essere lì rendeva tutto più sbagliato.

Catia lo aveva invitato, ma non quella sera. Enzo non aveva nemmeno provato a farle uno squillo, si stava palesando nel suo giardino come nelle peggiori storie di mariti gelosi. E se ci fosse stato Alessandro?

Enzo inserì la retro. Era a tanto così da premere sul gas e andarsene, ma le parole di sua madre echeggiarono fra i suoi pensieri.

Se amava Catia, doveva provarci. Se c'era una minuscola possibilità di farla ricredere sulle sue scelte e tornare insieme, doveva coglierla in quel momento.

Enzo scese dall'auto ed aprì il cancello della villetta, poi entrò guidando a passo d'uomo. La ghiaia scricchiolava sotto le ruote, ma nessuno si affacciò dalle finestre e lui parcheggiò nel primo spiazzo d'erba che trovò. Ignorando il modo in cui gli sudavano le mani, Enzo camminò fino al portone d'ingresso e suonò il campanello, anche se aveva le chiavi di casa in tasca.

Dall'interno non giunse nessun rumore, anche se le luci del piano terra erano accese. Prima che il suo coraggio potesse evaporare, Enzo suonò una seconda volta e fece un passo indietro.

Avrebbe contato fino a dieci, poi se ne sarebbe andato.

«Amore? Sei tu?»

La voce di Catia giunse da dietro di lui. Enzo trasalì dalla sorpresa e si girò a fronteggiarla.

Catia era già in pigiama e teneva fra le braccia una cassa di vino rosso. Quando vide Enzo restò a bocca aperta, ma non sembrava arrabbiata.

«Enzo! Che ci fai qui?»

«Ciao. Io...»

«Sei arrivato con un tempismo perfetto! Vuoi mangiare qualcosa? Alessandro tornerà a momenti con la spesa.»

«Veramente...»

«Se hai già cenato puoi bere con noi. O mangiare il dolce. Ho imparato a fare il gelato senza latte.»

«Non sono qui per mangiare il gelato. E nemmeno per conoscere Alessandro.»

Catia non si aspettava quell'improvvisa ondata di spontaneità. Ammutolì ed Enzo cominciò ad avere caldo, ma ora che aveva preso la rincorsa non poteva fermarsi.

«Dobbiamo parlare, Catia. Lo so, oggi ci siamo già visti, avrei potuto tirare fuori questo discorso al ristorante cinese, ma io non voglio che fra noi sia finita. Siamo sposati. Stavamo bene. Non puoi... Non puoi darmi una possibilità, prima di scegliere?»

Catia rimase in silenzio. Enzo poteva rimangiarsi quello che aveva detto e toglierla d'impaccio, ma non voleva vanificare così i suoi sforzi. Tenne la bocca chiusa e alla fine Catia dovette rispondere.

«Enzo...» disse. Era un lamento. Un ammonito. Uno di quei versi che si fanno ai bambini quando macchiano la tovaglia con il sugo. «Non fare così. Io voglio davvero che restiamo amici.»

«Ti amo. Te lo dirò più spesso.»

«Mi dispiace. È andata così.»

È andata così.

Enzo sapeva che quelle tre parole si sarebbero scavate un posto fisso nei suoi ricordi nel momento in cui le sentì pronunciare. Per un attimo si sentì ferito, quasi arrabbiato per quella crudeltà gratuita proveniente dalla persona a cui aveva giurato amore fino alla morte, poi ebbe pietà di sé stesso.

Aveva chiesto un confronto ed era stato accontentato. Se si sentiva di merda non era colpa della sincerità di Catia, ma della speranza che era una canaglia.

Enzo abbassò la testa.

«Scusa se sono venuto senza avvisare. Non succederà più.»

«Aspetta, Enzo. Resta.»

«Scusa.»

Enzo tornò alla sua auto. Catia lo guardava con occhi dispiaciuti e continuava a dirgli di restare, ma lui salì a bordo e sgommò via. Puntò dritto al cancello, ma proprio mentre stava per immettersi in strada, si ritrovò accecato da un paio di fanali.

Fu questione di un attimo.

Enzo si ritrovò faccia a faccia con un'altra auto.

L'altro autista inchiodò con una prontezza di riflessi da non dare per scontata, ma Enzo andava troppo veloce. Pestò il freno con tutta la forza che aveva in corpo, ma per scansare l'altra auto dovette per forza sterzare a destra. Finì contro una delle colonnine del cancello e non capì nulla di quello che stava succedendo, finché non udì il versaccio metallico dei mattoni che distruggevano la sua portiera del passeggero.

Finalmente tutto si fermò. Enzo realizzò di essersi coperto la testa con un braccio solo quando lasciò andare l'aria che aveva nei polmoni.

Stava tremando. Il suo cuore batteva così forte che non si sarebbe stupito se gli fosse venuto un infarto. Desiderava con tutto se stesso farla finita con le emozioni forti, ma purtroppo aveva un'idea abbastanza realistica sulla persona con cui aveva rischiato di fare un frontale.

Alessandro, il nuovo compagno di Catia, uscì dalla propria auto e cercò Enzo con lo sguardo.

«Ehi!» urlò. «Tutto okay? Stai bene?»

Era diverso da come lo aveva immaginato. Era basso. Pelato. Con le gambe magroline e le braccia muscolose, nonostante non fosse più giovanissimo. Indossava una tuta sportiva di marca e la sua BMW era in perfetta sintonia con il suo stile. L'auto di Enzo era una carriola per nonnine, in confronto. Enzo stesso era una nonnina.

Alessandro stava ancora aspettando una risposta, ma Enzo era troppo stravolto per essere cordiale con lui. Soffrendo per il suono orribile che fece la sua portiera nello staccarsi dalla colonnina del cancello, accese di nuovo il motore dell'auto e fece retromarcia quanto bastava per lasciare ad Alessandro lo spazio necessario per entrare in giardino. Alessandro rimase in piedi fuori dalla sua BMW, ma quando capì cosa voleva, decise di non umiliarlo ulteriormente.

Alessandro salì in macchina ed entrò in giardino. Enzo ne uscì senza guardarsi indietro. In un attimo si ritrovò di nuovo in mezzo alla campagna, come se non avesse mai smesso di guidare. L'urto con la colonnina gli echeggiava nelle ossa e gli faceva tremare le braccia, ma lui si teneva ben saldo al volante.

Guidò con prudenza per i primi dieci metri, poi mise la terza, la quarta, la quinta. Anche se le buche facevano sobbalzare la sua auto, lui pestò l'acceleratore più forte di prima.

Spazio Autore:

...chi come me amava follemente Paperinik? In una vecchia versione di questa scena, Enzo trovava il salvadanaio a forma di deposito di Zio Paperone aka uno dei cimeli a cui tenevo di più durante la mia infanzia haha 

Il prossimo capitolo sarà l'ultimo di questo episodio! Finalmente si comincia ad entrare un po' più nel vivo della storia. Io comincio già a temere che la pubblicazione di questa storia volerà in un attimo quando è in cantiere da ben due anni... L'altro giorno ho ritrovato uno dei primissimi file e l'ultima volta che lo aveva salvato era dicembre 2020. Buon secondo anniversario a me.

Grazie per aver letto! Vi aspetto mercoledì prossimo 💜 Oppure sui miei social! Trovate tutti i link nel LinkTree che ho messo in bio✨

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