Raving. Ladro di Cuori

fiorexstories tarafından

137K 8.4K 5.7K

#2 SOSPESA PER IL MOMENTO È difficile comprendermi. Spesso, nemmeno io ci riesco. Sarà perché sono perenneme... Daha Fazla

Prologo
Capitolo uno.
Capitolo due.
Capitolo tre.
Capitolo quattro.
Capitolo cinque
Capitolo sei.
Capitolo sette.
Capitolo otto.
Capitolo nove.
Capitolo undici.
Capitolo dodici.

Capitolo dieci.

8.2K 512 432
fiorexstories tarafından


Qualcuno mi stava soffiando sulla faccia.
Qualcuno stava seriamente rischiando la morte.

Mugugnando, senza aprire gli occhi, girai la faccia dall'altro lato. Sentii una risatina in risposta. Forse anche più di una.

Mi capitava di rado di farmi delle dormite tranquille e quelle poche volte volevo soltanto godermele senza rotture di palle. Questa era una di quelle.

A quanto pareva però nessuno sembrava essere della mia stessa opinione, perché delle dita presero a solleticarmi la pianta del piede destro mentre altre mani provvedevano a spogliarmi delle lenzuola, lasciandomi al freddo.

«Nooo», piagnucolai. «Via, andate via!».

«E tu dovresti compiere ventun anni?», la risatina di Rora mi si conficcò nelle orecchie.

Quindi intrufolai la testa sotto al cuscino per proteggermi e tenerli lontano da me. «Sciò, lasciatemi dormiree!».

«Spiacente, permesso negato». Riconobbi la voce di Drew, prima che mi venisse strappato via anche il mio ultimo appiglio. «Forza, apri i tuoi begli occhietti e fatti cantare tanti auguri».

«Fottetevi».

Risero entrambi, mentre io continuavo a piagnucolare come una poppante. Forse più tardi mi sarei vergognata di me stessa, ma al momento non me ne fregava proprio un bel nulla.

Emisi un verso stridulo e isterico, capendo che non mi avrebbero mai dato pace e che ormai il mio sonno era stato compromesso del tutto. Dopo tanti sforzi, mi tirai a sedere infastidita. Schiusi appena le palpebre, soltanto per trucidare tutti e due.

Erano entrambi seduti sul mio letto, uno per ogni lato, e avevano sorrisi spaccaguance.

«Il primo che si azzarda a cantarmi quella canzoncina di merda lo lancio fuori dalla finestra», borbottai, stropicciandomi gli occhi.

«Che palle», sbuffò Drew. «Sei la solita antipaticona».

«Disse la bestia di Satana. Almeno mi hai fatto un regalo?».

Lui mi fece la linguaccia. «Non te lo meriti».

A palpebre assottigliate, allungai un piede per spingerlo giù dal letto. Quando cadde, neppure mi preoccupai di controllare se si fosse fatto male o meno, e non diedi modo di farlo nemmeno a Rora.

«E ora veniamo a te». Le puntai un dito contro. «Sei stata tu a farlo entrare. Me ne ricorderò, diciannovenne».

«Ancora per poco». Lei ridacchiò, e poi si lanciò su di me per stringermi in un abbraccio soffocante. «E comunque tanti auguri, stronzetta! Adesso puoi finalmente usare la tua vera carta d'identità e buttare quella falsa».

«Grazie, amore». Le schioccai un bacio umido sulla testa rossa. «E ah, vero, dimenticavo che sei di marzo. Che schifo, sei Pesci». Così dicendo, mi alzai in piedi e finii per calpestare Drew, che mugolò sofferente. «Ops».

Lui borbottò che l'avevo fatto fatto apposta, e Rora mi lanciò il cuscino addosso, intanto che aprivo l'armadio per cambiarmi. «Disse l'Aquario di turno».

«Tutta invidia».

Avrei fatto la doccia più tardi, dopo gli allenamenti di nuovo, quindi mi spogliai in un attimo per indossare un paio di jeans neri e un top del medesimo colore. Mi vestivo sempre in base al mio umore.

«Programma di stasera?».

«Stasera?», aggrottai la fronte e le rifilai un'occhiata da sopra la spalla. «Ma se non so nemmeno cosa farò tra cinque minuti, Rora».

Lei inarcò il suo sopracciglio rossastro «Beh, di sicuro festeggeremo».

«Se vi aspettate cocktail offerti a volontà, sappiate che siete sulla strada sbagliata».

«Da quando sei così tirchia?».

«Da quando il mio conto in banca è pari alla mia voglia di vivere. Cioè, zero». Feci una pausa, quell'istante necessario a infilarmi gli anfibi. Ovviamente neri. «Anzi, sotto zero».

«Per fortuna che esisto io, allora», si intromise Drew.

Per poco non gli scoppiai a ridere in faccia. Sollevando di scatto la testa, finii incastrata nel suo sguardo verde bosco e colmo di una convinzione ridicola. Lo adoravo.

«Tu?», ridacchiai, indicandolo. «L'ultima volta che ho controllato quella stronza di tua madre ti aveva sbattuto fuori casa e tagliato i fondi, Drew».

Lui emise un verso di puro oltraggio. «Primo: non mi ha sbattuto fuori casa, ma me ne sono andato io. Secondo: sto per diventare un McDravhion, il che fa di me un ragazzo ricco».

Drew non era mai andato d'amore e d'accordo con Karen Dumond, la stimatissima senatrice della California, nonché una delle donne più prive di umanità che avessi mai conosciuto.

Il motivo per cui il mio amico la ripudiava era molto semplice: lei non aveva mai accettato la sua decisione di cambiare corpo, di farsene uno che sentisse più suo. Continuava a chiamarlo Diana, nonostante quest'ultima fosse morta tanti anni prima lasciando spazio al giovane e arguto ragazzo che era adesso.

Drew stava molto meglio lontano da lei e dalla sua mentalità pericolosa.

E comunque non avevo dubbi che fosse ricco. Non dopo aver visto l'uccello di Hamish.

«Sta' zitto, per favore», mugugnai disgustata, sebbene dentro stessi morendo per trattenere una risata. Mi spruzzai addosso una nuvoletta di profumo, poi inforcai la porta. «Sentite, facciamo quello che volete, decidete voi. A me non cambia niente, sul serio. Adesso, però, devo correre a lezione. Ci sentiamo dopo, okay?».

«Quindi sapevi benissimo cosa avresti fatto tra cinque minuti».

Avevo cambiato idea. Non adoravo più Drew.

Sbuffai. «Sei più fastidioso di tua sorella, lo sai?».

«A proposito di Kris», intervenne Rora, ancora ben seduta sul mio letto sfatto. «Ti va bene se la invitiamo?».

«Come vi pare», cantilenai, con un piede già fuori. «Io vado, e grazie per stamattina!»

«CeCe, aspetta!»

Voltandomi verso Drew, sospirai. Il suo sorrisetto beffardo non prometteva a nulla di buono, ciononostante ebbi l'ardire di chiedere: «Sì?»

«Il mio regalo», squittì, e l'istante a seguire cacciò via dalla tasca una card per lanciarmela. L'afferrai al volo e mi crucciai nel rendermi conto che si trattava di un buono per la palestra. «Per il tuo culo appiattito!».

Spalancai la bocca. «Vaffanculo, Drew!».

Mi sbattei la porta alle spalle, facendo scoppiare a ridere entrambi quei due stronzetti. Intascai comunque il regalo, però. Lo avrei riciclato per il suo prossimo compleanno.

E non era vero che avevo il culo piatto... semplicemente Dio non mi aveva fatto dono dello stesso mappamondo di Rora.

Ognuno aveva i suoi punti forti. Il mio di sicuro era la faccia.

🍁🍁🍁

Mi sarebbe piaciuto poter dire che seguii la lezione di neuropsichiatria infantile e adolescenziale, uno dei miei corsi preferiti, con l'attenzione a mille, ma la verità è che il mio cervello quel giorno non ne voleva proprio sapere.

Mentre il professore spiegava a macchinetta lo sviluppo psicomotorio dei bambini, io me ne stavo con la testa china sul quaderno dove avevo trascritto i quadri clinici... di Raving. E Ander.

Vai alla grande, Chandra. Già inizi con le preferenze.

Bruh. Non era questione di preferenze, è solo che loro due si distinguevano. Ander per il suo carattere chiuso, Raving per la sua complessità.

Per il primo necessitavo di trovare il giusto approccio, uno schema preciso che avrebbe potuto sbloccarlo, e per il secondo dovevo seguire i semi che mi stava lasciando e farli germogliare. Più facile a dirsi che a farsi.

A labbra contratte e con il tallone a tamburellare sul pavimento, buttai giù un paio di ipotesi. Avevo una mezza idea per quanto riguardava Rave, ma era ancora troppo presto per verificarne la veridicità. Avevo bisogno di più materiale su cui lavorare. Così non andava.

Ormai il professore era passato a parlare di Mead e le fasi di strutturazione dell'identità personale, quando compresi che non avevo la testa quel giorno e tanto valeva andarmene. Avrei riletto le slide l'indomani.

Chiusi di botto il quaderno e, scrollando la testa, mi diressi direttamente all'allenamento di nuoto.

Soltanto in piscina, colmata dal silenzio oppressivo dell'acqua, riuscivo a distendere i nervi. L'acqua spegneva tutto. Era sempre stato così.

Schiacciata da quell'insieme di particelle disordinate non sentivo gli squilli del mio cellulare. Mi lavava via le macchie dal corpo, estirpava via voci che ancora mi rimbombavano nelle orecchie.

I secondi diventavano minuti, i minuti diventano ore e nemmeno me ne accorgevo. Andava e basta. Vivevo nella mia convenzione puntiforme laggiù, protetta da una superficie illusoria.

Bracciata dopo bracciata, coi muscoli portati al limite della sopportazione, il bruciore mi faceva da anestetizzante dal resto del mondo, perfino dalle urla della coach per cui non ero mai abbastanza.

Beh, non importava. Avevo capito da tempo ormai che non valeva la pena essere all'altezza delle aspettative. Tanto era impossibile. Tanto le persone trovavano sempre il modo per demolirti.

Mi concentrai sulla respirazione per tenermi lontana da reminiscenze che non volevo più toccare, che dovevano restare lontano dalla CeCe per cui avevo lavorato sodo.

Resta sott'acqua, che il tuo cuore qui lo puoi far battere.

«Non ci siamo ancora, Sanders!», mi urlò dietro la coach, nel momento in cui uscii dalla vasca col fiato corto e gli arti consumati. «Sei lenta».

«Ci lavorerò sopra», mi limitai a dire, prima di avviarmi verso lo spogliatoio per cambiarmi senza lasciarle il tempo di aggiungere altro.

Non ero una a cui piaceva sentirsi dare addosso. Non ero nemmeno una che litigava. Sì, a volte punzecchiavo Kris e di certo non mi facevo mettere i piedi in testa da nessuno, ma non era mai stato da me sbraitare come una pazza o alzare la voce.

Io... ero più quella che ti piantava un coltello nel sonno e poi si lavava le mani nel tuo bagno. In silenzio.

Ma vabbè.

Mi lavai e cambiai alla svelta, lessi i messaggi di Rora che aveva organizzato la serata e poi spensi del tutto il cellulare all'ennesima chiamata di mia madre. Non avevo voglia di parlare con lei e permetterle di rovinarmi il mio compleanno. Era già successo troppe volte.

Dal momento che volevo ubriacarmi e che avevo iniziato a darci dentro già dalla mia stanza, fu Rora a guidare la mia macchina perché col cavolo che avrei permesso a Drew di farlo. L'ultima volta ci eravamo persi nel parcheggio della Brenner.

Seduta sul sedile del passeggero, frastornata dalla mia giornata trascorsa nell'apatia rassicurante, abbassai il volume dello stereo per parlare. Mi voltai appena per inquadrare Drew mezzo sdraiato sui sedili posteriori.

«Ci sarà anche Hamish?».

Rora ridacchiò, concentrata sulla strada. «Mi fa ridere il fatto che sia tu a chiedere a noi chi abbiamo invitato».

«Voi volevate festeggiare».

A me non cambiava granché cosa facevamo. Mi bastava che di fatto facessimo qualcosa. Per il resto mi andava bene di tutto. L'importante era staccarmi dalla realtà.

Lei annuì. «Oddio, devo scalare la marcia?».

Già, Rora non aveva la patente. Però aveva il foglio rosa e di sicuro la ritenevo una scelta migliore a Drew. Chiunque sarebbe stato una scelta migliore.

«Sì, tesoro, quella è una curva. Frena e scala».

Mi assicurai che non finissimo in un burrone o contro un tir, poi tornai a voltarmi verso il nostro amico che proprio non riusciva a starsene zitto per una volta.

«Anziché divertirti a saltellare sul cazzo del tuo dilf, potresti farti dare qualche lezione di guida ogni tanto».

«Tu non hai diritto di parola, Drew». Assottigliai le palpebre. «Ancora non sei capace ad abbassare il freno a mano da solo».

«Non è colpa mia se è tostissimo!», strillò, la bocca schiusa in una smorfia offesa. «E, giusto perché lo sappiate, questa coalizione di voi due contro di me inizia a stancarmi».

«Okay, quella è la portiera. Sentiti libero di aprirla quando vuoi».

«Sapevo che avrei dovuto venire con il mio ragazzo. Siete due arpie».

Alzai gli occhi al cielo. Non avevo idea di chi fosse più melodrammatico tra lui e Kris. D'altronde erano fratelli, non avrebbe dovuto sorprendermi più di tanto la cosa.

«Quindi ci sarà?», tornai alla domanda iniziale.

«Sì, ma resta poco perché domani mattina tornano Nike e Cruz per un paio di giorni e deve andarli a prendere in aeroporto», rispose, quindi diede un colpetto sulla spalla a Rora. «Ehi, a proposito, perché Athos non può?».

«Mitch ha la tosse e deve portarla dalla pediatra. Infatti anche lui resta poco».

Ai loro discorsi, la nausea mi bloccò la respirazione. Avvertii la bile risalirmi su per gola, fu una gran fatica rimandarla giù al suo posto.

«Ew, parlate come due coppie sposate. Che schifo», borbottai. Non esitai un attimo a spalancare la maniglia nel momento in cui Rora fermò l'auto. «Menomale che siamo arrivati, non avrei retto un secondo di più».

«Sei solo invidiosa!», mi urlò dietro R.

«Sicuramente».

Non vedevo l'ora di ritrovarmela con un pancione enorme e gli ormoni schizzati a mille. Poi avremmo potuto riparlarne su chi invidiava chi.

Il mio entusiasmo durò poco, comunque. Bastò entrare nel locale notturno e raggiungere il tavolo prenotato per notare Kris ed Eloise in compagnia di un Athos infastidito e un Hamish alquanto in imbarazzo.

Quest'ultimò sembrò illuminarsi non appena scorse le nostre figure avvicinarsi. Non attese neppure un secondo prima di alzarsi e correre da noi. Mi fece gli auguri, poi si gettò su Drew come se fosse la sua ancora di salvezza.

Poverino. Un po' lo capivo. Era stato abbandonato a quelle due. E non è che il fratello fosse mai stato di questa gran compagnia.

Athos si limitò a farmi un cenno, socievole e colloquiale come al solito, dopodiché si attaccò a Rora per tirarle il bordo della gonna e abbassarlo.

Non commento.
Cavernicolo.

«Auguri, stronza», borbottò Kris, mentre Eloise tentava di risultare più dolce con due baci smielati.

Ringraziai entrambe con un bel falso sorriso, a cui Kris rispose facendone uno ancora più falso.

Il giorno in cui avrebbe capito che determinate cose gliele dicevo solo per il suo bene sarebbe cascato il mondo.

Ci accomodammo sui divanetti di pelle, cullati dalle luci soffuse e l'ambiente elegante sui toni scuri. Posto su un soppalco, c'era un dj che per il momento sparava musica soft dalle casse. Ben presto, però, gli animi si sarebbero scaldati.

Nemmeno a farlo apposta, Kris si sedette al mio fianco, quindi inclinai il capo nella sua direzione. Una ciocca scura mi scivolò sulla tempia, e mi sbrigai a raccogliermela dietro l'orecchio.

«Mi hai fatto il regalo?», alzai la voce per farmi sentire.

«Certo», disse lei, armata dal suo solito tono di supponenza che mi faceva venire voglia di prenderla a schiaffi. «Con chi credi di avere a che fare?».

«Con te».

Kris, stronzetta fino alle ossa, si guardò le unghie come se fossero più importanti di me. «Pagherò tutti i tuoi drink. Ti va bene?».

«Può andare».

Ovvio che poteva andare. Alcol gratis. Chi ero per dire di no? E difatti per il primo giro ne ordinammo un bel po'. O, almeno, io mi presi ben due triple sec, che finii per scolarmi uno dopo l'altro.

Rora invece doveva guidare. Coca-Cola per lei. Sfigata.

Kris ridacchiò, sistemandosi il suo vestitino argentato, e tornò a rivolgersi a Eloise che doveva mostrarle qualcosa sul cellulare. Io ne approfittai per lisciare le pieghe della mia gonna plissettata, dopo aver finito i bicchieri.

Fu proprio in quel momento, intanto che mi guardavo lo smalto e ragionavo se farmele blu o lilla, che Athos si sporse verso di me in tutta la sua imponenza.

«Ehi», pronunciò, il timbro basso e baritonale. «È vero che fai da psicologa a mio fratello?».

Alla menzione di Rave qualcosa dentro di me si mosse. Fu una sensazione inebriante, una brina che si appicciavano lungo le articolazioni.

Rimasi per un istante a fissarlo a bocca aperta, incerta su cosa sputare fuori. Non era di certo un segreto il mio rapporto lavorativo con Raving, non doveva esserlo, eppure fu come toccare un nervo teso. Soprattutto perché non mi ero mai sentita a mio agio nello stare al centro dell'attenzione, a raccontare di cose mie.

Perfino Hamish e Drew, che se stavano sempre per fatti loro a bisticciare o sbaciucchiarsi, si fermarono per ascoltare la conversazione.

Di getto fulminai con lo sguardo Rora. «Boccaccia larga», la rimproverai, e lei fece quel suo broncio di scuse che con me non attaccava affatto. Tuttavia, ormai il discorso era in ballo, perciò annuii rivolta ad Athos. «Sì, è vero».

Lui deglutì vistosamente, fregandosene di chiunque ci stesse ascoltando, e continuò: «E come va?».

«Non posso dirti molto, sono informazioni riservate», inizia con una premessa. «In ogni caso... va».

Ad Athos fu necessario questo per sospirare dallo sconforto e scuotere il capo, mentre sprofondava nel divano. Aveva la preoccupazione scolpita nel volto, gli scuriva le borse sotto agli occhi e dovette accorgersene anche Rora, poiché gli sfregò la mano sulla coscia in un vano gesto consolatorio.

«Già, Rave non è mai stato un ragazzo facile», affermò. «Perde le staffe troppo facilmente».

«Non ce n'eravamo accorte», a ironizzare fu Kris, tant'è che le diedi una gomitata nelle costole per intimarle di starsene zitta.

Non era il momento giusto per fare dell'ironia o la simpatica della situazione. Difatti cercai di rasserenare tutti con un basico: «Tranquillo, è tutto sotto controllo».

E in parte lo era davvero. Comprendevo che stare dietro a una persona come Raving fosse impegnativo, a tratti estenuante, ma non era nulla di così tragico o impossibile. Bisognava prendere alcune cose un po' più alla leggera.

E anche Rora doveva essere del mio stesso avviso, visto che espirò con un entusiasmo forzato. «Okay, che ne dite di andare a ballare?», propose poi, beccandosi un Athos ancora più depresso e contrariato. «Guarda che non sei mica costretto. Se non ti va, rimani pure seduto».

Lui si fece una bella risatina, che mi sapeva tanto di "bella questa", prima di alzarsi in piedi e dichiarare la sua. «Vado a ordinare un altro giro e andiamo».

«Vengo con te!», esclamò lei.

I miei occhi non poterono fare a meno di seguirli nell'atto di farsi largo fra la folla insieme. Athos che le stava alle spalle, con un braccio che la cingevano sul seno e usava l'altro per spostare chiunque le finisse addosso. Rora che ogni tanto sollevava la testa per sorridergli, sebbene lui non fosse uno da sorrisi.

In qualche modo si completavano a vicenda.

Non mi ero mai innamorata nella mia vita. Probabilmente io non ero fatta per l'amore, lo trovavo un concetto così estraneo e incomprensibile alla mia persona. Non riuscivo a immaginarmi a trascorrere la mia vita con qualcuno.

Mi si accapponava la pelle al solo pensiero. O magari era solo il suono delle mie emozioni rotte di fronte alla consapevolezza che non funzionavo bene, che c'era qualcosa che non andava in me.

A riportarmi sul pianeta Terra fu lo spostamento d'aria al mio fianco. Trasalii, soltanto per rendermi conto che si trattava di Hamish.

«Senti...», iniziò senza darmi il tempo di metabolizzare, la mano ben poggiata sul mio braccio nudo. «Lo so che non dovrei chiedertelo, che come hai detto tu sono cose riservate e quello che vuoi, ma...», tentennò un attimo, inghiottì il rospo e un po' gli traballò la voce nel continuare: «potresti parlare con Raving e convincerlo a darci il permesso per andare da lui?»

Non ero sicura di aver capito bene.

«Cosa?», farfugliai confusa, a occhi sgranati.

Hamish si strofinò il palmo sul viso, come se non riuscisse più a sopportare la situazione. Forse era davvero così.

«Sì, lui rifiuta i nostri colloqui e, sul serio, non capisco. Anche se a dire la verità, non importa nemmeno quale sia il motivo ora come ora. Vorremmo semplicemente poterlo vedere, perciò se puoi provare a parlargli, io... io...»

Lo bloccai all'istante, non appena andò in difficoltà. «Okay, va bene», concordai. «Lo farò. Non ti prometto niente, Mish, ma ci proverò».

Gli si illuminarono gli occhi di una speranza che non avevo mai conosciuto, e fu sufficiente a farmi sentire meglio.

Non avevo idea del motivo per cui Raving si rifiutasse di accettare visite dai suoi familiari, eccetto Athos. Sarebbe stato anche un bello spunto per decifrare la sua mente complessa e deragliare un pochino più in profondità.

«Grazie, Chandra».

«Figurati», sorrisi.

Hamish incurvò le labbra, la gratitudine che filtrava a ondate dalle sue iridi azzurro mare, così diverse da quelle buie e tetre di Rave che trasudavano disillusione a ogni battito di ciglia. Che mi dicevano che eravamo uguali io e lui, nel profondo, anche se non ero pronta ad ammetterlo.

Sussultai al rumore del vassoio che venne sbattuto sul tavolo. Un po' di alcol fuoriuscì, colando a picco. Mi sbrigai ad acciuffare il mio Negroni.

«Da bere per tutti!», esclamò R. «E adesso a scatenarci!»

Nessuno se lo fece ripetere due volte. Nell'aria risuonava Belly Dancer, al che ci tuffammo tutti in mezzo alla folla.

Ingollai il mio cocktail, ballando a tempo con la musica, e godetti del bruciore che mi trapassò la gola in una sentenza cruciale. Più mandavo giù, più il mio corpo si adattava nello stare in mezzo alla massa, più mi sentivo meno rotta.

Le braccia che mi sfioravano smettevano di darmi fastidio a ogni sorso, i miei nervi si rilassavano e la vocina che mi urlava che urlava nella mia testa e che io fingevo di non sentire si spegneva.

E dal momento che Rora e Athos si stavano muovendo insieme, per quanto R sembrasse sforzarsi per non farmi sentire il terzo incomodo, feci il mio dovere di amica e mi allontanai da loro per lasciarli da soli.

Raggiunsi Kris ed Eloise. «Non fate domande!».

«Lo capisco», a rispondermi fu Kris, indispettita come sempre. «Siamo accerchiati dal nemico, è ovunque. Dobbiamo farci forza».

Oddio.

«Ti prego, non dirmi che è qui anche lui».

«No, per fortuna, ma ha messo una storia poco fa. È a casa di Donna Geralt. Staranno giocando a monopoly».

«Sì, senza vestiti». Roteai gli occhi, intanto che ballavo a ritmo il meglio che potevo. «Comunque, perché diavolo lo segui ancora?».

«Io? Ovviamente lo faccio dal profilo di Eloise!».

Ero a tanto così dallo spaccarle il telefono di Eloise in faccia.

«Smettila di controllare cosa fa, gli dai solo soddisfazione. Ti devi riprendere, cazzo. Sembri una disperata!», sbottai, e che diamine. Era possibile che non si rendesse conto di quello che si stava facendo da sola? Mi rivolsi a Eloise, che non era brava nemmeno a fare l'amica. «E tu perché l'assecondi e non gliele dici certe cose?».

Non che mi aspettassi diversamente, lei se ne stette zitta a incassare e a fare la finta tonta. Stronzate.

L'unica a tirare fuori la voce fu, tanto per cambiare, Kris. «Chandra, per favore non iniziare. Non ne ho voglia stasera».

«Come ti pare».

Di già infastidita, con i nervi a fior di pelle, mi mischiai ancora di più tra la gente. Se fossi rimasta un secondo di più in loro compagnia avrei perso la testa e, come avevo già specificato, non era da me fare scenate.

Perciò mi persi. Finii il Negroni. Lo misi nella mano chissà chi.

E ballai.
Ballai.
Ballai.
Staccai la spina.

Mi piaceva lasciarmi cadere nel vuoto, dove non riuscivo a sentire le urla di tutto quello che mi ero lasciata alle spalle.

Ben presto avvertii due mani posarsi sui miei fianchi e un corpo dietro il mio. In un primo momento mi irrigidii, dilaniata da tutte le mie paranoie crudeli, poi ingoiai il rospo e finii per appoggiarmi al petto del ragazzo.

Rilassati. Rilassati.
Ti prego, Chandra, rilassati.

Inclinai la testa, solo per inquadrare i ciuffi mori, la mandibola squadrata e le labbra piene. Sembrava bello.

«Ehi!», mi salutò lui, la bocca così vicina al mio orecchio da sfiorarmi il lobo.

«Ehi».

«Sei molto bella!», gridò lui.

«Grazie», e forzai un sorriso quando spinse il bacino, schiacciandosi al mio sedere per farmi sentire quanto fosse serio.

Rilassati.
Ti prego.
Va tutto bene.

«Come ti chiami?»

«Cleo»

«Bel nome. Io sono Noah! Ti va se andiamo a prendere qualcosa da bere?»

Annuii. Avevo bisogno di qualcosa di forte, in caso la serata fosse finita come credevo.

Che paradosso. Amavo il sesso, eppure era una delle mie paure più grandi.

E, difatti, circa mezz'ora dopo ci trovavamo sui sedili posteriori della sua auto senza neanche sapere come. Le sue mani scorrevano ovunque, mi toccavano dappertutto mentre io restavo inerme con la testa annebbiata dall'alcol e la gonna arrotolata in pancia.

Non che lui fosse da meno. Era a malapena in grado di parlare e temevo che da un momento all'altro mi avrebbe vomitato addosso, tuttavia il suo pene funzionava ancora purtroppo. Lo sentivo ben dritto e prepotente nell'interno coscia.

No, no. Tu lo vuoi, Chandra. Tu lo vuoi. Tu lo vuoi sempre.

Dita fredde mi strizzarono il capezzolo. Finsi un gemito, perché non avevo mai avuto quella sensibilità che invece sembrava avere chiunque altro.

Lo toccai a mia volta quando mi prese la mano per portarsela sul suo cazzo. Lo accontentai, lo massaggiai e respirai ogni gemito che tirò fuori, chiedendomi quanto potesse durare.

Chissà. Non lo avrei mai saputo, perché decise di infilarsi di interrompermi e infilarsi il preservativo.

Chiusi gli occhi e trattenni un urlo quando entrò dentro di me con una spinta brusca. Non ero ancora bagnata abbastanza, e il dolore mi fece contrarre attorno al suo sesso.

Il mio corpo provava a respingere il suo, lo percepivo infelice di cosa gli stavo facendo, ma il ragazzo diede soltanto un colpo più forte mozzandomi il respiro.

«Cazzo quanto sei stretta», ansimò al mio orecchio.

Le onde del mare. L'acqua che spegne.

Lui mi piegò la gamba. Un'altra fitta. Emisi un verso di sofferenza, ma giuro che lo volevo. Anche se mi chiedevo quanto ancora sarebbe durato, io lo volevo.

Le mie mani, solo quelle a toccarmi.

Affondai i denti nel labbro inferiore, e intrufolai una mano tra i nostri corpi per massaggiarmi il clitoride e darmi sollievo.

Tu lo vuoi.

«Oddio, sì... cazzo, sì...»

Lo vuoi sempre.

Due labbra si attaccarono al mio collo, pronte a segnarlo, marchiarlo. E lasciai fare, cercando di rilassarmi, di adattarmi alla situazione come sempre.

E quando successe, quando le mie pareti compresero che non c'era nulla che non andava, lui si era già riversato nel preservativo.

«Sei fantastica, Cleo».

Buon sedici febbraio, Chandra.

Ci rivestimmo in silenzio. O, almeno, credo. Ho ricordi sfocati di quella notte.

Ho a mente soltanto la mia figura raggomitolata nel letto, più tardi, da sola al buio della sua consapevolezza che tediava e faceva male.

Ho a mente il cellulare riacceso, gli infiniti messaggi e le chiamate perse di mia madre.

E poi, laggiù, in quello scorcio di luce in fondo a un tunnel infinito, due messaggi da parte di un numero sconosciuto.

Aprii.
Due battiti persi.

Una foto.
Da un lato il sorriso timido e dolce di Ander, dall'altro il ghigno malizioso di Raving.

Sconosciuto:
Tanti auguri alla nostra psicologa preferita! <3

Ridacchiai.

Chandra:
Non voglio sapere come avete fatto.

Boys:
Inizia con V e finisce con Ergo.
Però guarda come siamo belli

Un'altra foto.
Stavolta erano guancia a guancia.
Ander con gli occhi rigirati, seppur divertito, e Raving con il suo sorriso da schiaffi.

Risposi inviando una mia foto, dove gli facevo la linguaccia. Per nulla professionale, lo sapevo, ma ero ubriaca ed era il mio compleanno. Potevo permettermelo.

Boys:
Cazzo se sei bella pure da questo schermo di merda del paleolitico.

Chandra:
Andate a dormire, ragazzi.

Boys:
Ti sogneremo, diavoletta!!
Baciiiii

Ero piuttosto convinta fosse Raving a scrivere.
Solo lui poteva sembrare una quindicenne dell'Upper East Side.

Sorrisi e spensi il cellulare.

Sì, siete proprio belli entrambi.
E il cuore ha battuto anche sopra l'acqua.

Ciaooo, sono di super fretta.
Sto uscendo, e non ho tempo per correggere, perdonatemi sul serio

Prometto che appena ritorno lo correggo, però intanto ve lo lascio perché non mi va di farmi aspettare ancora!

Spero vi sia piaciuto.
Vi aspetto su Instagram (Fiorexstories)

A presto!

Okumaya devam et

Bunları da Beğeneceksin

35.6K 1K 55
La storia di una ragazzina italiana, Allison, che all'età di 4anni è stata adottata dalla famiglia Yamal, una famiglia spagnola di Esplugues de Llo...
16.1K 843 39
Lavinia è una modella che si ritrova a trasferirsi a Torino per via di un lavoro, inizialmente sembra un trasferimento temporaneo......ma potrebbe ca...
46.9K 1.6K 38
Noemi è laureata in ingegneria meccanica a Bologna, la sua città natale; si è appena trasferita a Monaco, dove i suoi genitori si incontrarono per la...
10.2K 1.6K 10
Olivia Harper è una wedding planner impeccabile, una vera maniaca del controllo che pianifica matrimoni da sogno senza mai lasciare nulla al caso. Pe...