Midnight || Dramione

By Ali_di_pagine

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Dal testo: «Odio» disse Hermione «lo dici con odio. Lo stesso odio che sai mettere in ogni sillaba del mio n... More

0.0 Le lacrime di una grifona.
0.1 Hermione.
1.1 Passato.
2.0 Verità.
2.1 Fuoco e ghiaccio.
2.2 Fuoco e ghiaccio pt. 2
3.0 Domani.
4.0 Impossibile.
5.0 Scoperte.
5.1 Altre chance.
5.2 Come prima.
Salve.
6.0 Lo so e basta.
7.0 Incredibilmente reale.
7.1 Chiarire.
7.2 Troppe sfumature.
8.0 Complicato.
9.0 Istinto.
10.0 Lontano.
Sempre.
11.0 Scomparsa.
11.1 Ordine.
12.0 Oppugno.
12.1 Follia.
13.0 Giusto.
13.1 Peccato.
14.0 Sensazioni.
OWL AWARDS
14.1 Odio.
14.2 Intuizione.
15.0 La Regina Grifondoro.
15.1 Sono qui.
16.0 Vita.
17.0 Veleno e cura.
18.0 Un'altra persona.
18.1 Cento punti.
18.2 Buonasera, Riccioli d'Oro.
18.3 Il sapore di un'ossessione.
19.0 Chiudi gli occhi.

1.0 L'ultima speranza di Draco.

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By Ali_di_pagine

Non era stato facile, negli ultimi mesi. I Malfoy possedevano una casa sicura in Italia, ed era lì che avevano provato ad andare. Draco sapeva sin dall'inizio che la sua vita non era normale. Non lo era mai stata, a partire dalla sua educazione. Ma c'era qualcosa, dentro di lui, alla quale non era mai andato bene.
La vita del giovane serpeverde era fatta di doveri, pregiudizi ed onore. Ma l'onore, lo sapeva, lo avevano perso ormai da tempo. Erano stati pochissimi a non abbandonare il Signore Oscuro, mesi prima, dopo la scoperta che Harry Potter non era morto e, sinceramente, era contento di essere stato tra quelli che se ne erano andati. Perché, seppur non valesse molto, alla sua vita ci teneva. Peccato che però fosse ugualmente in pericolo.
Ora era solo. I suoi genitori lontani, qualsiasi suo conoscente irraggiungibile. Gli era venuto spontaneo tornare ad Hogwarts, erano giorni che si rifugiava nella Foresta Proibita, sperando di trovare il coraggio di fare ciò che doveva. O che voleva. Fatto stava, che era la sua ultima speranza.

Non era mai stato il migliore dei maghi, nelle capacità quanto nello spirito. Ma forse non era colpa sua.
Una cosa, però, era certa: era un uomo alla deriva.
Uomo, perché cresciuto come non mai in così poco tempo.
Alla deriva, perché la speranza non era più del suo mondo.
Non viveva, sopravviveva. Forse sarebbe dovuto andarsene, scappare e rifarsi una vita, ma dov'era che il suo nome non lo avrebbe preceduto? Ironico. Lui che era sempre stato abituato a giudicare solo attraverso il nome che qualcuno portava, adesso avrebbe voluto non possederne alcuno. Tanto, non avrebbe fatto differenza.
Ripensò alle parole che il padre gli aveva rivolto, una volta che si era permesso di mostrarsi.

"Sii l'uomo che io non sono mai stato. Il mago che meriti di essere. La persona che tu vuoi diventare... E non crollare mai."

Lo aveva detto durante un momento di debolezza, sapeva che non lo avrebbe mai sentito di nuovo. L'orgoglio Malfoy, era quello il punto. Ma di quell'orgoglio Draco non vedeva nemmeno l'ombra, da quando il Signore Oscuro era tornato, e si era restaurato solo in parte quando era stato sconfitto.
Una cosa era certa, c'era un motivo se era lì.

Con un verso di frustrazione, tirò un pugno ad un albero lì vicino. Era almeno un'ora che usciva e rientrava dall'ombra che gli offriva la Foresta Proibita, indeciso sul da farsi. No, non indeciso, timoroso. Si trovava al limitare degli alberi, ad una decina di metri dalla capanna del mezzogigante.
Si guardò la pelle diafana della mano destra, ora arrossata sulle nocche per il colpo sferrato. La bacchetta giaceva a terra, non lontana da lui.
L'aveva presa ad un mago inesperto, incontrato in un paese babbano in Germania, dove era riuscito ad arrivare con la madre e il padre. L'aveva ottenuta disarmandolo, ma il legno di agrifoglio si addiceva poco a lui, tanto lontano dal biancospino. Il nucleo, che aveva scoperto essere di crine di unicorno, era diverso da quello della sua adorata, prima bacchetta. Certo, questa gli obbediva, ma non era la stessa cosa.
Alla fine, si decise. Fece l'ennesimo, definitivo passo verso il castello, e si preparò a ciò che lo aspettava.

Ultimamente la McGranitt restava fino a tardi nel suo ufficio, quello che era stato di Silente e di tutti gli altri presidi prima di lui. Draco lo sapeva grazie ad ore di osservazione, quando pensava ai suoi propositi riguardanti la strega Minerva.
Attento a non farsi vedere e con precauzioni ben superflue, dato che erano più o meno le 23:30 e il coprifuoco era già scattato, il biondo strisciò nel castello che tanto conosceva. Sembrava un fantasma, pallido e smunto com'era, mentre sgusciava nella notte di Hogwarts.
Arrivato davanti alle porte, tentennò ancora. Non aveva incontrato nessuno, nei corridoi della scuola. Quasi aveva sperato che non fosse così, ma sapeva bene di non doversi far vedere, fino a che non sarebbe stato sicuro che avrebbe potuto. Impugnò la bacchetta, e strinse le dita attorno ad essa talmente forte che le nocche diventarono bianche. Doveva. Non c'era altra soluzione, era la sua ultima speranza. Merlino, tremava come una foglia per qualcosa che poteva apparire così semplice... Ma chiunque di lui avesse conosciuto più del nome, sapeva che non era così.

Udì delle voci attutite da dietro la porta, e raggelò, riconoscendone subito una.

«Minerva, davvero non trovo nulla che non vada.» disse Silente. La sua voce era molto pacata.

«No, Albus, lei non capisce... È tutto diverso.» rispose la McGranitt, la voce stanca.

Il giovane Malfoy, adesso, era il ritratto di uno spettro. La differenza era che se un fantasma doveva fare paura, lui era terrorizzato. Silente? Ma come? Era morto, deceduto, defunto. Da tempo. Una fitta di rimpianto lo attraversò quando ripensò al ruolo che aveva avuto nella morte del mago che aveva infestato molti dei suoi sogni tempo prima, a cosa fatta.
Era impossibile, si costrinse a pensare. Assolutamente impossibile. La sua mente doveva avergli tirato un brutto tiro.
Era lì ad interrogarsi sul perché il preside defunto stesse parlando, a dividerli solo una porta. Certo, il suo aguzzino non era propriamente Draco, e Silente aveva resa chiara la sua inclinazione al perdono, soprattutto nei confronti di chi non sapeva ciò che faceva. Era stato Piton, il suo vecchio insegnante, ad ucciderlo. Ma cosa avrebbe pensato Silente, vedendolo entrare lì? Cosa avrebbe fatto?
Queste e altre mille domande vorticavano nella mente del povero ragazzo, quando venne risvegliato dal suo stato dalle parole del vecchio mago.

«Minerva, c'é qualcuno per te. È impaurito, ma fallo entrare. Ricorda, Hogwarts offre sempre un aiuto.»

«Certo, Albus, io...»

A quel punto, Draco spinse le pensanti porte di legno dell'ufficio, la bacchetta ancora stretta nella mano sudata.
Nello spazio illuminato da candele, si trovava la professoressa McGranitt, con il naso adunco sollevato all'insù, a guardare con interesse qualcosa alla parete.
Il ragazzo si fermò sui suoi passi: era da sola.
Fu allora, che la testa della preside scattò dal quadro di Albus Percival Wulfric Brian Silente, a lui. Draco capì in un momento. Nella tela del dipinto, c'era il vecchio mago, che lo guardava con aria curiosa e consapevole, da sotto gli occhiali a mezzaluna. Era con il quadro, che parlava la strega.
Il ragazzo non poté sostenere quello sguardo azzurro e sincero, quindi lo riportò sulla McGranitt, che ora lo puntava con la bacchetta.

«Cosa ci fa qui, signorino Malfoy?» la voce della donna era dura, ma anche spaventata. Gli occhi verdi impercettibilmente sgranati, e la mano che teneva la bacchetta leggermente tremante.
Draco la guardò sconvolto. Poteva davvero fare ciò che si era ripromesso?

«Risponda!» tuonò la McGranitt.

«Io...» tentò Draco, ma le parole gli morirono in gola. Solo allora si accorse di star a sua volta puntando la bacchetta contro la strega, le dita che stringevano convulsamente l'agrifoglio. La sua mano era bianca, come il suo volto, in netto risalto con gli abiti neri del ragazzo.

Riportò lo sguardo sulla professoressa. I suoi lineamenti erano severi, gli occhi ingranditi dagli occhiali squadrati sul naso. Lui notò che era molto più vecchia di quanto ricordasse, come se lo fosse diventata prima del tempo. Il verde dei suoi occhi era stanco, ma eterno come una forza inesauribile.
Fece un passo, titubante, verso di lei.

«Signorino Malfoy! Cosa ci fa qui?!» lo sollecitò ancora una volta, spazientita, la donna.

«Io... Sono qui...» la sua abilità nell'assemblare le parole, sembrava averlo abbandonato.
«Devo...»

Terrorizzato, vide che la McGranitt sollevava impercettibilmente la bacchetta, come a volergli fare una fattura, o peggio. Allora il ragazzo fece l'unica cosa che gli venne in mente.
Cadde in ginocchio, le mani giunte in grembo, e il capo abbassato.

«No! La prego....» non osava alzare lo sguardo, ma sentì il sussulto della strega. Con un unico, lento gesto, come ad arrendersi e ad alzare le mani, allungò la mano destra, e gettò la bacchetta ai piedi della donna che, sconvolta e sulla difensiva, lo guardava dall'alto.
Malfoy era sempre stato un ragazzo spregevole, non lo aveva mai sopportato, a dire il vero. Sin dal suo primo giorno ad Hogwarts, aveva riconosciuto in lui le vere doti di un serpeverde. E, detto da una grifondoro, non poteva denotare qualità.

Grato, Draco vide che la McGranitt raccoglieva dal pavimento freddo la bacchetta.

«La prego...» la guardò, le iridi che supplicavano «...deve ascoltarmi.»

-

Hermione si svegliò, urlando. Era tutta sudata, e piangeva. Non di nuovo...
Se non avesse fatto un incantesimo al proprio letto dalla prima notte che era successo, la sua compagna di stanza, la prefetta Camille Poreil, sarebbe stata già sveglia a dare l'allarme come era successo quella volta.
Si portò una mano alle guance bagnate, poi all'attaccatura del naso ed infine alle tempie. Prese un lungo respiro, poi si alzò, e andò alla finestra. La pallida luce della luna, che filtrava attraverso il vetro con decorazioni a forma di rombo, illuminava debolmente la stanza, occupata da due letti a baldacchino. In uno di quest'ultimi, dormiva Camille, che, a quanto pareva, poteva farlo beata.
Poggiò una mano chiusa a pugno contro il vetro freddo, poi la fronte, tentando di fermare le lacrime. Il sollievo del freddo era futile contro il calore dentro di lei.

Con rinnovata rabbia, colpì il vetro e prese il mantello pesante.
Sgattaiolò nella sala comune Grifondoro, facendo attenzione a non fare rumore, e, varcato il ritratto della Signora Grassa, prese a correre verso la Foresta Proibita.
Le lacrime le offuscavano la vista, mentre si dirigeva il più velocemente possibile verso il bosco. Arrivata allo spiazzo dove andava quasi sempre, si lasciò cadere a terra, contro il tronco che tante volte era stato testimone delle sue lacrime.
Pianse, pianse ed urlò, non riuscendo a togliersi le immagini dalla testa.
Si mise le mani tra i capelli, li strinse tra le dita quasi a volerli strappare, e pianse. Tra un singhiozzo e l'altro quasi non riusciva a respirare, ma non poteva smettere. Le lacrime scendevano copiose, bagnandole il volto e il collo, scendendole sul petto calde e soffocanti.
Il peggio, però, era che era anche arrabbiata. Arrabbiata con se stessa per essere così debole, per cedere così facilmente, dopo tutto ciò che aveva affrontato.
Prese la bacchetta e, con un sussurro, pronunciò un incantesimo. A qualche centimetro da lei, su terreno coperto di neve, apparve un calice d'argento.

«A-aguamenti.» disse, e il calice si riempì di acqua. Lo prese in mano e bevve, ma questo non le portò il sollievo che aveva sperato.

Altre lacrime le bagnarono le guance, calde come non mai. Il peso nel petto sempre più schiacciante.
Ad un tratto, si alzò in piedi, e cominciò a camminare torcendosi le mani e facendo dei lunghi respiri.
Calmati, calmati... È tutto finito... provò ad auto convincersi. Nulla.
Crollò di nuovo a terra, ormai sfinita e incapace di lottare ancora contro il suo essere umana.
La stanchezza era tale, che la grifondoro chiuse gli occhi e si lasciò andare.

Si svegliò di soprassalto, la guancia gelata e il corpo che sentiva solo il freddo costante. Ci mise qualche secondo a ricordarsi dov'era, e a capire che il freddo era dovuto al fatto che era distesa sul suolo innevato.
Frenetica, si frugò in tasca, cercando la bacchetta. Nulla, non poteva avere nemmeno il sollievo di averla in mano.
La sua angoscia crebbe e crebbe, più non la trovava. Ad un tratto, si fermò, rendendosi conto di una cosa.
Sulle sue spalle, oltre al suo solito mantello pesante, ce n'era un'altro, molto più grande, e nero. Odorava leggermente di muschio.

«Cerchi questa?» domandò una voce fredda e maschile, dall'ombra. Hermione trasalì, spaventata. Quella voce...

«C-chi parla? Vieni fuori!» disse.

«Non credo tu voglia.» la sua voce, ora, più dolce. Era convinta di conoscerlo.

«Come fai a sapere ciò che voglio?»

«Ti conosco, Granger.» non poteva essere...

«Chi sei?» disse, la voce più stridula del solito.

«Ha importanza?»

«Ma certo che ce l'ha!» disse lei, ovvia. La persona non rispose. Decise di cambiare approccio.
«Questo mantello...» strinse tra le dita il tessuto «...é tuo?»

«Si...»

«E come mai ce l'ho io?» domandò, perplessa.
Ci furono vari secondi di silenzio, prima che la voce le giungesse dall'ombra di nuovo.

«Saresti congelata.» rispose, semplicemente. Nella sua voce c'era una sfumatura indecifrabile.

«Oh. Io... Grazie.» disse in un sussurro.
«Hai visto la mia bacchetta?» chiese retoricamente «non riesco a trovarla.»

«Si, be'... Forse perché ce l'ho io...» il tono vagamente ironico.

«Ridammela.» provò ad ordinare, ma ricevette solo una risatina.

«Dici che dovrei? Mah, non so...»

«Certo che si!» la sua voce echeggiò senza risposta, solo il silenzio.

«Perché non ti fai vedere?» chiese allora, un po' offesa.

«Perché non saresti contenta di sapere chi sono, Mezzosangue...» sussurrò l'insulto con la voce di chi é abituato a disprezzare.
Hermione sgranò gli occhi e si irrigidì talmente che sarebbe potuta sembrare soggetta all'incantesimo Pietrificus Totalus. Ora sapeva perché quella voce era così familiare.

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