Quello sguardo

By disastroaereo

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Tre mesi dopo l'incidente Simone deve fare i conti con la realtà, il costo è di dover reprimere i propri sent... More

Tre mesi dopo l'incidente.
"In che senso hai conosciuto uno?"
"E tu hai voglia di vederlo?"
"No, Manuel è impegnato, giusto?"
"Cosa c'è tra te e Manuel?"
"Vengo con te."
"Ero spaventato."
"Mi dispiace ma ho altri piani."
"Cinque minuti in paradiso per Manuel e Simone!"
"Ti porto in un posto."
"Chi se ne frega della legge morale."
"Scusami, non volevo dire questo."
"Che ci fai qui?"
"Digli che lo aspetto."
"Questa volta non interrompermi."
"Ci siamo solo io e te."
"La Manuel e Simone associati."
Un mese dopo l'appuntamento in stazione.

"Piacere, Alex."

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By disastroaereo

Questa è la mia prima partita seria dopo l'incidente, mi ci è voluto un mese di allenamento intensivo per poter riprendere a giocare come una volta. Non mi è importato nulla del caldo asfissiante di metà luglio, è l'unico posto in cui riesco a sfogare tutto il macigno che mi trascino dietro

Proprio per questo quando l'arbitro fischia l'inizio, il macigno si sgretola in innumerevoli granelli di sabbia che si innalzano in un tornado di ferocia, e dopo essersi materializzati nella mia massa corporea prendono a giocare senza tregua.

Mi sento invincibile, una forza inarrestabile che riesce a placcare chiunque, permettendo alla mia squadra di totalizzare punti su punti in soli quaranta minuti.

"Pulce mò ce penso io a te, non te la faccio passà liscia."

Così esordisce il mio avversario, ma guarda te questo manco è entrato e già si sente chissà chi. Se lui pensa di non farla passare liscia a me, non ha capito nulla, mi sa che è proprio il contrario.

"E fammi vedere stronzo!"

Per gli altri quaranta minuti lui si occupa solo di me ed io mi occupo solo di lui, dandoci tanto filo da torcere.

Forse lui me ne dà un po' di più.

Sembra che stia nel mio cervello, che
conosca perfettamente il mio corpo e le sue azioni. Prevede ogni mia mossa e la anticipa, arriva prima di me in qualsiasi posizione in cui avevo previsto di collocarmi, mi placca prepotentemente anche solo quando sto solo pensando di avanzare.

Nonostante il mio evidente fallimento finale vinciamo, e per la prima volta dopo tanto tempo sono felice.

Mi sento ancora più felice quando una volta rimasto da solo in spogliatoio sento bussare alla porta, ed in quel momento non mi maledico più per esser lento a fare la doccia.

"Simone giusto?"

Fa capolino dalla porta uno dei ragazzi più belli che io abbia mai visto prima. Sembra più alto di me, il che è tutto dire, ha folti capelli lisci di un castano tendente al biondo a cui sinceramente non saprei associare un colore preciso, e degli occhi verdi che se mi dicesse che l'hanno partorito gli smeraldi non mi stupirebbe.
Mi avvicino per presentarmi e soprattutto per guardarlo meglio.

"Ci conosciamo?"

"Non mi hai riconosciuto pulce? Sono lo stronzo di prima"

No che non l'ho riconosciuto, tra la divisa, la fascetta, il sudore, e la vista appannata dai placcaggi, chi se n'era accorto che giocavo contro un adone.

Si passa la mano tra i capelli e si lascia andare ad una breve risatina, certo che mi deride questo prima mi ha fatto il culo.

Ma cosa è venuto a fare, ad umiliarmi? Se non avesse un sorriso del genere, fuori da ogni parametro di normalità, già gli avrei spaccato il muso.

"Embè che vuoi?"

"Piacere, Alex." mi porge la mano.

"Piacere, il mio nome già lo sai. A proposito come fai a saperlo?" gliela stringo.

"Ti ho visto prima che iniziasse la partita, ho chiesto ai miei compagni."

"Per rompermi le palle durante il secondo tempo?"

"Per romperti le palle durante il secondo tempo e per dirti che adesso ci andiamo a prendere una birra insieme."

Simone togliti st'espressione da furetto rincoglionito dalla faccia e pensa ad una risposta nel giro di due secondi altrimenti il primo ragazzo che hai rimorchiato nella vita ti piscia ancora prima di averci provato!

D'altronde non posso avere grandi pretese, l'unico ragazzo con cui ho interagito fino ad adesso è stato un ricciolino eterosessuale che con me si è solo divertito una notte, per cui proprio un Casanova d'esperienza non sono e me ne esco con un insensato:

"Ma lo sai che stai istigando un minore a bere?"

Sono un coglione, ma questo fa pure bene se mi ride in faccia e se ne va. Ma facevo meglio a star zitto piuttosto che sparare sta cazzata. Devo ringraziare il cielo e chi ci vive perché mi risponde come non mi sarei aspettato.

"Allora ti offro un'aranciata."

"Ma chi ti ha detto che ci vengo?"

Ma certo che ci voglio venire, ma si fa così no? Bisogna farsi desiderare giusto? Madonna devo smettere di pensare sennò va a finire che muoio zitello, e nella tomba mi porto la sola esperienza con cui ho dato prova a Manuel della sua eterosessualità indiscussa.

"Ti aspetto fuori, fai con calma."

E' proprio con calma che mi preparo,
perché inaspettatamente, e con uno sconosciuto, non temo che ad aspettarmi non ci sarà nessuno. Quando esco fuori dal campo infatti lo trovo li, appoggiato alla macchina mentre fuma una sigaretta con una busta verde tra i piedi.
Cazzo se è bello.

"Ho preso un paio di birre per me e qualche bibita per te, non so quello che ti piace quindi ho pensato di prendere un po' di tutto, e anche qualcosa da sgranocchiare, mi sono basato sui miei gusti per questo altrimenti non sarebbero bastati cinquanta euro"

Ride ancora, e di rimando lo faccio anche io. L'imbarazzo potrebbe tagliarsi con un coltello, o quanto meno il mio.

"Quindi che ne dici di fare aperitivo in un bel posto? Però dobbiamo arrivarci in macchina, che qui non la posso lasciare."

"Ci sto, tanto se mi porti in un posto losco te le suono."

"Te? Ma se sei una pulce! Andiamo và."

Le ore insieme le passiamo parlando di noi, senza i particolari filtri dettati dalla timidezza iniziale, scherzando sulle parti ridicole, ridendo per le espressioni buffe, punzecchiandoci con un pizzico di malizia, ed io sto così bene che il tempo mi scivola dalle mani.

Alessandro che è sempre stato chiamato Alex mi racconta di lui, che è nato e cresciuto a Roma come me, ma da una famiglia unita e affettuosa composta dalla mamma Carla, un'infermiera che dopo venti anni di carriera ha ancora terrore del sangue; il padre Alfredo un ortopedico che conobbe Carla proprio perché divertito dalla sua fobia, affascinato talmente tanto da scegliere per venti anni di fare ogni prelievo al posto suo; il fratello maggiore Leonardo che è anche il suo migliore amico e la sorellina Ginevra arrivata quando nessuno se lo aspettava.

Mi racconta gli anni del liceo che non sono stati facili poiché coincidenti con quelli della presa di consapevolezza della propria omosessualità. Non riusciva ad accettarsi e temeva che non sarebbe stato accettato da nessuno. Ed in parte le sue paure si erano realizzate, una volta essersi dichiarato aveva perso tutti gli amici tranne Giacomo e Lavinia, i suoi compagni di banco e di vita dal primo giorno delle elementari. Invece la sua famiglia lo sapeva già, stava solo aspettando il momento per accoglierlo.

Infine mi racconta del suo presente, di quanto sia spaventato e allo stesso tempo eccitato dai vent'anni che compie a dicembre, della facoltà di medicina che lo fa dannare ma di come gli allenamenti di rugby lo aiutino a scaricare la tensione dopo aver studiato o mentre ha l'ansia per le sessioni d'esami; della passione per la musica rock e dei concerti, che lo hanno spinto ad imparare a suonare la chitarra senza successo; dei romanzi di fantascienza che lo coinvolgono tanto ma è costretto a leggerli prima di andare a dormire per cui molto spesso si addormenta senza accorgersene.

Io maneggio con cura ogni singola parola, non mi perdo nemmeno una virgola.

Rido alle peripezie di mamma Carla e papà Alfredo, comprendo il suo percorso di accettazione asserendo ad ogni analogia, mi appassiono alle sue passioni e un po' lo prendo in giro.

Poi arriva il mio turno, gli racconto che durante i miei primi tre anni di liceo sono stato uno stronzo, ho illuso una ragazza a cui ho voluto e voglio tutt'ora un grande bene, ho commesso atti di bullismo, ho detestato tutti perché mi sentivo un diverso.
Che probabilmente ho fatto tante cazzate perché a differenza sua io una famiglia unita e affettuosa l'ho avuta solo quando non avevo l'età per poterlo ricordare.
Mi apro sulla morte di Jacopo di cui ho saputo solo tre mesi fa, del rapporto conflittuale con mio padre Dante che è anche il mio professore di filosofia e di quello stabile con mia mamma Floriana che adesso lavora in Scozia.
Insomma un disastro di famiglia che però mi ha accolto.
Pavoneggio poi il mio talento nella matematica, la dedizione per il rugby, e spolvero i ricordi della mitica paperella e i viaggi al mare.

Non nomino Manuel né tanto meno faccio riferimento a tutto quello che abbiamo combinato insieme. Nemmeno ci penso, per la prima volta in cinque mesi.

L'atmosfera è costituita da un flusso incessante di domande, siamo curiosi, vogliamo esplorare tutte le strade che ci hanno portato da perfetti sconosciuti a questa domenica sera sul Gianicolo insieme.

La magia finisce davanti al portone di casa mia, la fine del mio primo appuntamento, che non lo avevo mai immaginato fino ad ora perché impegnato a farlo per altro, ma se mai lo avessi fatto lo avrei immaginato proprio così.

"Visto pulce, ho fatto bene a chiederti di uscire, certe cose te le senti."

"Alex tu non me l'hai chiesto, me lo hai imposto. Ma sono contento che tu lo abbia fatto."

"Mi piacerebbe rivederti, ma non ho
intenzione di chiederti il numero di telefono o darti il mio altrimenti finiremmo più a messaggiare che a vederci, tanto io so dove trovarti e tu sai dove trovarmi."

"Allora appena avrò voglia di vederti verrò a trovarti."

"Buonanotte Simone."

"Buonanotte Alex."

Mi sento talmente libero che temo mi esploda il cuore.






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