IGNI

By Valeroot

628K 28.8K 44.6K

[In riscrittura] Qual è il vostro posto nel mondo? Cassie non ne ha uno. Viene costantemente sballottata da u... More

Prima di iniziare
AVVISO
Prologo
1 - La festa (I)
2 - La festa (II)
3 - Comitato di accoglienza
4- La Churchill Accademy (I)
5 - La Churchill Accademy (II)
6 - Incontri (I)
8 - Il medaglione
9 - Wenham Lake
10 - Sette shots in paradiso (I)
11 - Sette shots in paradiso (II)
12 - Leggende
13 - Questione di prospettiva
14 - L'invito
15 - I Parker
16 - In maschera (I)
17 - In maschera (II)
18 - Il Sole
19 - Il preside Evans
20 - Sogni
21 - Blackout
22 - Virgilio
23 - Stevow
24 - Ricerche
25 - I Case
26 - Pessime similitudini
27 - Trick or Treat (I)
28- Trick or Treat (II)
29 - Inferno e Paradiso
30 - I mille volti
31 - Collaborazione
32 - I medaglioni
33 - La calma prima della tempesta
34 - La partita
35 - Rivelazioni (I)
36 - Rivelazioni (II)
37 - Cassie (I)
38 - Cassie (II)
39 - Il piano
40 - L'effrazione (I)
41 - L'effrazione (II)
42 - L'effrazione (III)
43 - Fratellanza (I)
44 - Fratellanza (II)
45 - Robin Hill Road
46 - Wenham Lake (I)
47 - Wenham Lake (II)
Ringraziamenti e avvisi
Alex
Sequel
Extra - Alex
Avviso 🖤

7 - Incontri (II)

13.6K 502 225
By Valeroot

Eravamo sempre stati papà ed io.

Solamente io e James, percorrendo la rotta di cinquantatré Paesi diversi. Sempre noi due, alle prese con una moltitudine di lingue incomprensibili, a montare tende nel deserto, inseguiti da una coppia di cigni inferociti nelle Alpi europee, e persino a condividere una brandina per cinque giorni interi, mentre affrontavamo la transiberiana per arrivare in Mongolia.

Solo noi due, a volare da uno scavo archeologico all'altro, con le mani ancora incrostate di terra, le ciglia appesantite dalla polvere e dal sudore, mentre il sole si divertiva a tatuare le nostre spalle e a bruciacchiare le nostre guance.

Lui ed io, sempre insieme.

Tuttavia, quando rientrai a casa Parker quel pomeriggio, fu solo il silenzio immobile della casa ad accogliermi. Distratta, appoggiai lo zaino sul divano, mentre i miei occhi perlustravano l'ampia zona giorno che conduceva al tavolo della cucina.

Ormai ero abituata a stare da sola, soprattutto nei primi periodi in cui mio padre iniziava a lavorare a un nuovo progetto. Non era mai stato un problema per me: amavo il silenzio, la tranquillità, il fatto che potessi decidere da sola a che ora cenare, quando fare i compiti e se guardare l'ennesimo episodio di Lucifer o sprofondare in qualche lettura, avvolta in un plaid colorato.

Eppure... Eppure, a volte, tutta quell'autonomia, tutto quel tempo che aspettava solo che lo riempissi, lo sentivo pesare sulle mie spalle, mentre mi chiedevo cosa diavolo stessi facendo con la mia vita. Perché mi limitassi sempre a seguire questo flusso, nel quale non facevo altro che galleggiare. Perché mi ritrovassi sempre da sola, ogni volta che dovevo prendere una decisone, ogni volta che affrontavo qualcosa di nuovo...

Presi un bicchiere dalla credenza, avvicinandolo al rubinetto per riempirlo fino all'orlo. Osservai l'acqua che scorreva torrenziale, tuffandosi nel contenitore trasparente e generando una miriade di piccole bolle effervescenti. Forse quel giorno la solitudine era esattamente ciò di cui avevo bisogno, dopo il blackout che avevo avuto a causa del ricordo di mia madre. Forse era meglio così, per non contagiare James con la mia malinconia.

Detestavo che ogni parvenza di autocontrollo bruciasse, quando qualcuno la nominava senza che io prima mi fossi preparata psicologicamente a dover affrontare il suo ricordo. Odiavo il modo in cui ero scappata da scuola una volta ancora, solo a causa di una stupida coincidenza.

Presi tra le dita il medaglione e lo scrutai attentamente. Lo osservai come se stessi cercando di incastrare l'ultimo pezzo di un puzzle complesso, perché niente in ciò che vedevo riusciva a spiegarmi la reazione che avevo avuto. Come poteva un oggetto così piccolo, avere un influsso così grande su di me?

Un'ondata di acqua gelida mi sommerse la mano sinistra, bagnandomi fino al polso. Mi ero completamente dimenticata di ciò che stavo facendo e l'acqua era traboccata ben oltre la linea del bicchiere, inondando la mia mano.

Scattai all'indietro, lasciando la collana e affrettandomi a spingere la leva del rubinetto. Ero talmente intontita che avrei alzato gli occhi al cielo per la mia stessa goffaggine. Però sentivo la testa pesante e brividi veloci che si rincorrevano sulla mia pelle, risalendo per la colonna vertebrale. Sospettavo di non essere in quelle condizioni solo a causa della chiacchierata con Alex. Probabilmente, il tuffo nella piscina dei Case mi aveva fatto beccare quantomeno un raffreddore. In ogni caso, indipendentemente dalla causa, non avevo smesso un secondo di tremare da quando avevo lasciato la mensa.

Deglutii un generoso sorso d'acqua, prima di lasciare il bicchiere nel lavello e tornare in salotto. Il computer portatile di mio padre era appoggiato sul tavolino in ardesia nera da almeno due giorni, e quel dettaglio mi portò a chiedermi da quanto non tornasse a casa. Non che fossi troppo preoccupata: se poteva sopravvivere a una spedizione sull'isola di Pasqua, poteva sopravvivere anche al traffico di Boston. Tuttavia, mio padre mi sembrava ancora più distratto da quando ci eravamo trasferiti lì.

Passai il dito sulla superficie liscia del portatile, avanti e indietro, accarezzando il lato lungo dello schermo, mentre un'idea malsana aveva varcato i cancelli della mia mente. Forse non c'era nulla che io potessi dire o fare per scoprire qualcosa su mia madre, tuttavia, c'era qualcos'altro che avrei potuto trovare sul database della mia scuola.

Senza darmi il tempo per pensare, mi acciambellai tra i cuscini morbidi, trascinando il portatile sulle mie gambe. James avrebbe tenuto un intero corso sulle civiltà neoclassiche alla Churchill Accademy. Corso al quale io mi ero rifiutata categoricamente di partecipare, perché non c'era nulla di peggiore di un genitore che solcava i tuoi stessi corridoi giorni dopo giorno. Ciò tuttavia non mi aveva esclusa dal dovermi occupare di tutte le pratiche burocratiche al posto suo, compresa la creazione del suo profilo docente sul sito della scuola.

Per quello adesso mi trovavo lì: a tamburellare impazientemente i polpastrelli sulla tastiera. Nella barra delle ricerche un solo nome: Alexander Case.

A nulla era valso intavolare una discussione con la mia coscienza, che mi ricordava quanto fosse eticamente poco corretto effettuare una ricerca - probabilmente illegale - su un mio compagno di classe. Avevamo infatti già appurato quanto la mia moralità facesse acqua da tutte le parti, da quando avevo raggiunto Danvers.

Fu quello il motivo per cui, alla fine, mi ritrovai a schiacciare il pulsante di invio, mossa da quella sicurezza che può darti solo la consapevolezza di star per fare una gigantesca e colossale cazzata. Un istante dopo, però, i miei occhi stavano già avidamente leggendo le informazioni riportate a video.

Non so bene cosa mi aspettassi di trovare. Magari un avviso grande come una casa, che mi dicesse di smetterla di ficcare il naso in cose che non mi riguardavano, ma quando vidi la sfilza di richiami a danno di quel ragazzo, non riuscii a impedire alla mia curiosità di farli passare a uno a uno.

Alexander Case non era esattamente ciò che avremmo definito uno stinco di santo.

Aveva una montagna di assenze, lezioni saltate, giorni di malattia che ricadevano ciclicamente sempre nello stesso periodo del mese, ed era persino stato cacciato dalla precedente scuola. Eppure tutti i suoi voti erano perfetti. Chimica, matematica, informatica... Non solo non esisteva neppure un'insufficienza a sporcare il suo curriculum scolastico, ma i punteggi dei test attitudinali facevano paura.

Adesso capivo perché non si fosse dovuto sforzare per correggere i miei bilanciamenti, mentre io cercavo di metterlo sotto torchio con le mie domande. Probabilmente, in contemporanea, avrebbe potuto tranquillamente ripetere le tabelline all'incontrario, se solo glielo avessi chiesto.

Non che per andare al college avesse bisogno di quei voti. Per ben due volte, aveva vinto il campionato di Stato con la squadra di football e una sezione intera del suo fascicolo riportava gli innumerevoli meriti sportivi. Sempre suoi, quando il suo nome non era intervallato a quello di un altro Case, Christian. Era il fratello, trovai il suo nome associato a quello di un'altra ragazza, Alison, la sorella che risultava però trasferita a New York. Con loro due nella formazione d'attacco, la Churchill sembrava essere rimasta praticamente imbattuta. Eppure, per quell'anno, nessuno di loro risultava in squadra. Anzi, a dire la verità sembrava proprio che Alex non seguisse alcuno sport, quel semestre.

Continuai a premere il pulsante per far scorrere la pagina, andando a cercare le annotazioni manuali che avevo visto aprendo il fascicolo. Se non ricordavo male, aveva detto di essere appena tornato a Danvers, quindi forse non aveva ancora superato i provini per essere inserito nella squadra. O magari aveva capito che correre, schiantandosi contro altri energumeni per trascinare un pallone ovale lungo il campo, non avesse nulla di eccezionale.

Quelle illazioni vennero però spazzate via di colpo, quando trovai proprio quell'annotazione che ricordavo aver visto prima. Non so perché non l'avessi letta subito, nella foga probabilmente le avevo dato poca importanza. Tuttavia, ogni richiamo a suo carico era stato cancellato con la scusa di un lutto famigliare.

Fu quello il momento in cui mi accorsi di aver superato il limite. Mi sentii impallidire, quando vidi il riferimento a un articolo di giornale, che era stato allegato insieme alla decisione del consiglio amministrativo di pulire il suo curriculum. Non ebbi bisogno di cliccarlo, per capire a cosa facesse riferimento. Un'incidente d'auto e il nome di una donna con il cognome "Case" bastò a farmi capire cosa fosse successo. Alex doveva aver perso sua madre all'incirca tre anni prima.

Il senso di vergogna che provai mi fece rimanere per alcuni lunghi secondi con le braccia inermi accanto al busto, senza avere il coraggio di uscire da quella pagina. Se qualcuno lo avesse fatto a me... Se qualcuno avesse sbirciato nella mia vita in quel modo, come avrei reagito? Non volevo neppure pensarci.

Chiusi tutto. Le ricerche, i file che ancora erano aperti... Chiusi tutto e spinsi il computer lontano da me, in un moto di rifiuto. Cosa speravo di ottenere con quel gesto? Cosa mi aveva dato il permesso di comportarmi così?

"Ci siamo già incontrati?"

Era quella domanda... Quella maledetta domanda che, per una qualche ragione a me sconosciuta, non riuscivo a far uscire dalla mia testa. Lei mi aveva spinta a muovermi così.

Ero sicura di non aver mai visto quel ragazzo in vita mia. Non avevo avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, ma niente mi avrebbe fatto dimenticare il suo viso, quell'espressione d'indifferenza mortale, o il modo in cui spingeva l'angolo della bocca verso la fossetta incastonata sulla guancia destra. Niente mi avrebbe mai fatto dimenticare il taglio secco dei suoi occhi.

I miei pensieri deliranti s'interruppero quando sentii il catenaccio della porta fare il consueto rumore gracchiante, che preannunciava l'ingresso di mio padre.

No, non di mio padre, realizzai, una volta ruotato il capo alle mie spalle. L'ingresso di mio padre, mano nella mano con una donna.

Mi si ghiacciò il respiro in gola, quando i miei occhi sbucarono da dietro lo schienale del divano, dove ero nascosta, incontrando una valanga di capelli rossi.

Rossi, esattamente come quelli di mia madre. Rossi, esattamente come la sfumatura che in parte avevo ereditato. Rossi, come tutto ciò che James aveva sempre rifiutato in qualsiasi altra donna.

E in quel momento, mentre vedevo le loro figure congelarsi all'ingresso di casa Parker, mentre lo sguardo turbato di mio padre incontrava il mio incredulo, e l'espressione della donna si faceva discretamente confusa, mi chiesi perché, quel giorno, avessi deciso di abbandonare il letto di camera mia. Perché non avessi deciso di girarmi dall'altra parte, continuando a dormire fino all'indomani.

«Non dovresti essere a scuola?».

«Perché sei tornato prima?».                                                        

Avevamo parlato all'unisono. Io con il mio solito tono polemico e James con un'evidente perplessità nella voce.

Mi scoccò un'occhiataccia delle sue. Quelle da "facciamo i conti dopo", anche se poi sostanzialmente mio padre si dimenticava dell'accaduto o si limitava a chiedermi velocemente spiegazioni, senza aver davvero il coraggio di sgridarmi. A James non piacevano i conflitti, e io lo sapevo fin troppo bene, per non approfittarne. 

«Credo di avere la febbre» mediai, ma i miei occhi erano concentrati solamente sulla donna accanto a lui.

Forse era il mio costante senso di protezione, che mi costringeva a guardarla in quel modo freddo e distaccato, probabilmente perché ero abituata a salvare mio padre da qualsiasi donna si avvicinasse a meno di un chilometro da noi. Ma lei invece rimaneva proprio accanto a lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Come se avessero scelto insieme che quello fosse il posto giusto in cui lei doveva stare.

Notando il mio interesse, James sollevò una mano verso la donna. «Lei è Lauren» disse iniziando con le presentazioni. «Una mia collega dell'università, insegna legge.»

Esibii il mio sorriso più esuberante. Volevo andarmene da quella stanza e volevo farlo in fretta. «Piacere, sono Cassie» mormorai, allegra. «Verrei a salutarti, ma sai, la febbre...» continuai, alzandomi dal divano e facendo un passo indietro.

Nessuno di noi tre fu sorpreso dalla mia ritirata. Lauren continuava a guardarmi con uno strano divertimento, mentre mio padre, beh, lui ero sicura che stesse rimpiangendo la decisione di portarla a casa, almeno quanto me.

Feci ancora un cenno di saluto e mi lanciai sulle scale, mentre James mi ribadiva la necessità di prendere una tachipirina, se non mi sentivo bene. Come se avessi due anni...

***

La passione di mia nonna per il cinema e per il teatro era sempre stato il filo invisibile in grado di unirci più di chiunque altro. Con il passare degli anni, la casa dove viveva a Londra era diventata un piccolo mausoleo di film indipendenti degli anni settanta, e da piccola perdevo ore a osservare le locandine in bianco e nero che tappezzavano per intero le pareti del suo salotto.

Le immagini di Radio on e di Chinese boxes avevano costellato la mia infanzia, ma c'era una frase in particolare, una specie di insegnamento, riportato su uno di questi poster, che mi aveva sempre affascinata. "Dall'inizio alla fine, la vita non è altro che una ruota della fortuna".

Non so perché quel giorno mi svegliai ripensando a lei e a quelle parole. Era da tanto che non riflettevo sul mio periodo a Londra, perché non mi piaceva ricordare quei giorni. Mi faceva troppo male l'idea che non sarei tornata in Inghilterra ancora per molto tempo.

Eppure, quell'insegnamento sembrava stampato nella mia mente come un monito. Forse perché, dopo un paio di settimane perfettamente normali e tranquille, il giorno prima era stato un totale disastro, con la fuga da scuola dopo aver visto il medaglione, con l'arrivo di mio padre e... Lauren.

Feci una smorfia e strinsi le palpebre, cercando di dimenticarmi di quell'incontro. Stranamente, fu piuttosto facile dal momento che mi ero svegliata con un cerchio alla testa che premeva sulle mie tempie e che mi rendeva impossibile concentrarmi sullo stesso argomento per più di tre secondi. Mentre un brivido freddo mi scuoteva la spina dorsale, realizzai di non aver del tutto mentito la sera precedente. Credevo che il tuffo nella piscina dei Case si fosse risolto con un banale mal di gola, ma gli occhi gonfi e il naso gocciolante suggerivano il contrario.

Non me la sentivo di uscire da quel letto. No, non per le mie condizioni fisiche, ma perché non volevo scontrarmi con la possibilità di incontrare Lauren a colazione. Non avevo alcun problema, se mio padre avesse finalmente deciso di rifarsi una vita. Egoisticamente, era un qualcosa che da piccola avevo persino sperato, quando mi ero resa conto che mia madre non sarebbe tornata. Avere una nuova famiglia era tutto ciò che una bambina avrebbe sognato pur di fermarsi, pur di smetterla di girare il mondo come se fossimo sempre inseguiti da qualcosa. Ma adesso non avevo più dieci anni. Io e James avevamo i nostri equilibri, i nostri ritmi, e l'idea che avesse portato in casa una donna dopo un solo mese in quella cittadina mi faceva venire i brividi.

Rimasi un po' in quella posizione. Con la testa che affondava nel cuscino e le coperte tirate su fino al mento. Una parte di me sarebbe voluta tornare a scuola per evitare tutti in quella in casa, ma un'altra parte era tremendamente a disagio per come ero scappata dalla mensa il giorno prima. Alex... Perché m'interessava del suo giudizio?

Il rumore di un debole bussare alla porta della mia camera mi convinse a sollevare il capo. Mio padre non aveva neppure aspettato che lo invitassi ad entrare, per varcare la soglia di camera mia, e all'istante davanti ai miei occhi si presentò la peggiore delle ipotesi: tra le sue mani reggeva infatti non una, ma ben due tazze di caffè. Dovevo essere finita in una sorta d'imboscata, perché noi non facevamo mai colazione insieme.

L'idea di battere in ritirata fingendomi in ritardo per la scuola si era materializzata con estrema facilità nella mia mente ma non appena mi sollevai, una serie di lucine ondeggianti coprirono del tutto la mia visuale. Probabilmente, stavo molto peggio di quanto credessi.

Mentre ancora sbattevo le palpebre velocemente, comprimendo il retro della nuca che tamburellava sordo, sentii il materasso sotto di me inclinarsi verso sinistra. James aveva preso posto accanto alle mie gambe e il suo braccio si era allungato nella mia direzione per offrirmi una delle due tazze di caffè.

«Ti stai trovando bene a scuola, pulcino?» mi chiese mentre mi affrettavo ad accettarla.

Per poco non lasciai la presa attorno alla ceramica. No, non per i nomignoli con i quali si ostinava a chiamarmi, ormai ero abituata al fatto che mi trattasse come una settantenne fuori forma, e poi si appellasse a me come a una bambina di cinque anni.

Quello che mi faceva venir voglia di sbuffare era la sua domanda sulla scuola. Sapevo che fosse normale, che un genitore s'interessasse ai progressi scolastici della figlia, ma il mio rendimento faceva parte di quella gamma di argomenti per i quali James sapeva di non doversi preoccupare. Viaggiando così tanto non avevo mai amici, quindi cos'altro avrei potuto fare, se non studiare?

«Tutto bene» confermai bevendo un generoso sorso di caffè. Per la foga mi scottai il palato, ma mio padre non sembrò notarlo.

Aveva buttato lì quella domanda con aria noncurante, ma adesso che lo guardavo meglio sembrava più agitato di me. Le folte sopracciglia erano incurvate in un'espressione pensierosa, mentre i capelli neri sembravano un po' arruffati, come se avesse passato le mani più e più volte. Guai, ecco cosa urlava il suo atteggiamento.

«E sei riuscita a conoscere qualcuno, questa volta?».

Dissimulai una smorfia, bevendo ancora un sorso di caffè. «Sì, ho conosciuto un paio di persone» risposi, fingendo un'immotivata concentrazione sul disegno a forma di orso della mia tazza.

Nella mia mente si erano materializzati lo sguardo furbo di Alice, l'atteggiamento esasperato di Caleb, l'espressione da cucciolo bastonato di Dean e il sorriso gentile di Matt. Due occhi, però... Due occhi si sovrapposero a quell'immagine, ricordandomi lo sguardo preoccupato di un'altra persona, che poco aveva a che fare con i nomi citati prima. Una persona alla quale erroneamente avevo concesso di vedere una parte di me, che tentavo così disperatamente di non far notare agli altri. Ma eliminai immediatamente il volto di Alexander Case dalla mia testa.

«Sicura tesoro?» La voce di James interruppe il flusso dei miei pensieri. Mi guardò scettico e in un modo talmente accondiscendente da farmi innervosire. 

Era passato un mese scarso dal nostro arrivo a Danvers, quindi esattamente, cosa si aspettava da me? Che organizzassi festini a luci rosse, lanciando cascate di alcolici dal balcone del secondo piano? Avrei potuto farlo, pur di togliergli quell'aria incredula che non stava affatto nascondendo.

«Perché, ecco...» iniziò nuovamente James, e scorsi una sorta di imbarazzo nel modo in cui aveva evitato il mio sguardo. Poi indicò con fare vago un qualcosa alle sue spalle. «Io dovrei partire per qualche giorno.»

Fu solo in quel momento che vidi il pratico zaino da Indiana Jones che portava sempre con sé, appoggiato al muro del corridoio. Borbottò qualcosa a proposito di un congresso nazionale di archeologia hawaiana a Chicago e realizzai che fosse solamente per quello che si era preso il disturbo di venire a controllarmi. James detestava lasciarmi a casa da sola e, soprattutto, odiava farlo proprio all'ultimo minuto.

Evitai di mettere in mostra il mio sollievo e annuii nuovamente, sentendo le parole che uscivano dalla mia bocca, senza neppure che le controllassi. «Non preoccuparti papà: parti e divertiti, io starò bene» lo rassicurai. «Solo... Dovrei proprio andare a scuola adesso» mentii.

Bugia. Bugia palesemente evidenziata dal modo in cui le mie dita picchiettavano irrequiete contro la ceramica; nei miei occhi verdi, fissi nei suoi grigi, per non fargli notare la mia insicurezza; nel modo in cui il mio respiro si era incagliato all'altezza della gola e adesso raschiava con violenza. Perché io, quel giorno, non sarei affatto andata a scuola.

Bugia che tuttavia lo convinse, perché un sorriso dolce trasformò il suo volto da cupo, in una maschera di gioia fin troppo eccessiva.

«Certo tesoro, io sto partendo proprio adesso» borbottò. Si avvicinò come per lasciarmi un bacio sulla testa, ma alla fine dovette ripensarci perché mi diede solo un buffetto con la mano. «Ci sentiamo per la buonanotte.»

Gli sorrisi ancora e rimasi ferma in quella posizione finché non sentii la porta di casa chiudersi e, a quel punto, sgattaiolai fuori dalle coperte in cerca di un computer portatile.

Continue Reading

You'll Also Like

3.6M 106K 67
[COMPLETA]Josh e Natalie si odiavano. Ormai litigare era un' abitudine giornaliera alla San Francisco High School. Un giorno il preside, stufo dei...
Because Of Her By

Teen Fiction

27.7K 2.2K 40
Elizabeth West ha passato tre anni a cercare di essere invisibile alla Weston High. Mentre le sue amiche si affannavano per conquistarsi un posto d'é...
2.3M 88.6K 86
Morgan ha tutto ciò che vuole nella vita: ha buoni voti a scuola, una famiglia unita ed è una delle ragazze più popolari a scuola. È gentile e sempre...
158K 10.2K 35
Le vacanze estive sono finalmente arrivate, ma che cosa succederà quando Kate andrà in campeggio per due settimane e Cameron rimarrà a Los Angeles? S...