Capitolo 29 - Davis

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Non avrei mai pensato che l'equilibrio che avevo tanto cercato un giorno si potesse spezzare. Sarà stata colpa di Cinzia che mi ha lasciato cinque anni fa, di Andrea che ho conosciuto due anni fa? Delle numerose donne che ho incontrato nei luoghi più svariati e negli eventi più comuni? No: sono prigioniero dei miei ricordi. Qualsiasi cosa faccia mi ricorderà il mio passato nel modo più contorto e sentirò sempre quella voce nella mia testa ripetermi "e se..."

E se oggi sono qui, in questo aeroporto, è perché sono io a volere una risposta. Strano, sarà forse il Karma. Ho quasi trentanove anni e mi sento lo stesso di una volta. E' come nei film, quando incontri il quell'amore ragazzino e rimani ragazzino per sempre, legato a quel sentimento così forte. Non credevo esistesse. Tutto ciò che ho fatto in questi anni è stato desiderare di essere come tutti gli altri uomini. Perché non riesco a fregarmene? Perché ci penso ancora? Cosa mi tiene legato al suo pensiero?

Tutte queste cose mi tormentano oggi, seduto su queste sedie scomode a osservare la gente che cammina a passo spedito, confusa, incerta su dove sia la direzione per l'imbarco. Si fermano, guardano il grande tabellone, chiedono informazioni, altri aspettano impazienti i passeggeri del volo che è appena atterrato. Tutti hanno un motivo per essere qui, oggi. Partono, arrivano, hanno qualcuno che li aspetta. Io no. Non so dove andrò, se i miei vecchi amici si ricorderanno di me, se il mio accento italiano mi farà sembrare butfo. Parto con questo gesto impulsivo che potrebbe fare solo un pazzo innamorato. Incredibile. Essere in fissa per qualcuno che nemmeno ci pensa più. Ma forse è proprio questo il peggio, non accettare di essere dimenticati. E adesso non sapere come andrà. E se si arrabbiasse? E se invece fosse felice? E se mi abbracciasse, e piangesse, e mi baciasse?

E se fossi rimasto, se avessi lottato, se fossimo ancora insieme, oggi? Se quel giorno dopo il processo avessi detto qualcosa di diverso?

Il mio volo viene annunciato. Mi avvio verso la procedura di check in. Vengo controllato da capo a piedi, la mia valigia anche, mi avvio verso il bancone in cui c'è una donna che prende il mio biglietto, attua tutta la procedura, mi sorride e mi lascia passare. Percorro il lungo corridoio dietro alle altre persone, al rumore dei loro bagagli, alle chiacchiere di chi se ne andrà in vacanza e di chi parte per lavoro, ai bambini eccitati per il primo volo. Dopo dieci minuti sono già sulle scale, pronto a lasciarmi l'Italia alle spalle. A me sembra per sempre, invece è solo qualche giorno di ferie. Poche ore di pausa dal mio lavoro e dalla mia attuale vita per lanciarmi dentro qualcosa che non è sicuro.

Sono stato uno stupido a decidere di prendere un aereo anziché comporre quel numero che non ho mai cancellato e tenuto con tanto timore nella rubrica del mio cellulare. Forse ho una mentalità molto antica, ma sono convinto che certe cose dette al telefono non avrebbero lo stesso effetto. Ci vogliono gli occhi, le mani, il cuore. Ci vuole quel legame che solo l'uno di fronte all'altro è possibile vedere e ricordare.

Potrebbe essere sposata, avere qualcuno che ama, dei figli. Dovrei stare lontano, rispettare il nostro patto. Non è giusto irrompere nella vita delle persone in questo modo, specie dopo come è finita. Ma voglio provarci. Quello che sento è la prova di qualcosa di autentico, se per tutto questo tempo è stato acceso dentro di me.

Ci sediamo tutti, vicino a me c'è una donna molto bella con un bambino, probabilmente suo figlio. Allacciamo le cinture, spegniamo i telefoni e si decolla. Fortunatamente ho scaricato parecchi film da guardare. Se penso a tutte le ore che occorrono per arrivare fino a San Francisco mi viene voglia di lanciarmi dal finestrino.

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Poco più di un giorno. Ho la schiena a pezzi, gli occhi rossi, le orecchie stordite. Quando metto piede sul cemento mi sento un alieno appena atterrato sulla terra. Spero riuscire a ricordare la strada, dopo dieci anni non è facile riuscire a orientarsi. Non è cambiato molto da lì a ora. Tutto è uguale, caos, inquinamento, rumore, traffico, tanta gente, grattacieli.

Faccio un respiro profondo e provo a chiamare Charlie sperando che viva ancora in America, altrimenti mi toccherà alloggiare in un Hotel. Sono stato stupido a non chiamarlo prima, ma volevo rendere questa esperienza ancora più elettrizzante.

Risponde al primo squillo. «Davis?»

«Stai sempre attaccato al telefono? Non mi hai fatto attendere nemmeno un secondo.»

C'è silenzio dall'altro capo. Penso alla scheda italiana e alla chiamata che mi costerà parecchio.

«Ma perché mi chiami?» dice allarmato.

«Cosa?» chiedo incredulo. «Ma se lo faccio ogni anno per le feste!»

«Appunto! Per le feste. Pensavo fosse successo qualcosa...» la sua voce ora si è tranquillizzata.

«In effetti... qualcosa è successo.»

Inside our souls 2Where stories live. Discover now