Capitolo 23 - Davis

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Finalmente ho avuto la mia rivincita. Sento ancora una sensazione di euforia pervadermi per via di quel momento. Ho aspettato mezz'ora prima di essere ricevuto, ma avevo già raccontato in breve a un agente, lo avevo guardato prendere appunti, ho compilato dei fogli e poi sono rimasto seduto nella sala d'attesa, con le mani sudate e il volto accaldato.

Mi chiedevo se fosse la cosa giusta, se ci fosse un'altra strada da percorrere. Quella storia avrebbe messo in mezzo anche me? Infondo io non avevo alcuna colpa per l'esplosione, anzi, ero persino una vittima.

Improvvisamente il Commissario mi venne a chiamare con in mano una cartella gialla contenente un mucchio di fogli. Teneva anche una pagina di giornale che subito mi piazzò davanti alla faccia indicando una foto in bianco e nero. Riconobbi subito lo scenario, era casa mia avvolta dalle fiamme. Avevo visto quell'immagine così tante volte che decisi di non cercare più. Il ricordo vivido e reale davanti ai miei occhi mi impediva di essere abbastanza forte da andare avanti. Ma poi arrivò lei, con la sua determinazione e la sua curiosità, voleva spingermi a cercare, a ricordare cose che in qualche modo erano sepolte nel mio subconscio.

«E' lei?» Chiese in tono diffidente indicando il mio nome in quell'articolo.

Feci di si con la testa e mi portò in un'altra stanza. Eravamo solo io, lui, e quel caso archiviato.

Dovetti insistere per molto tempo prima di convincerlo di essere davvero io Roy. Da quanto raccontò, numerosa gente si era presentata fingendosi me, probabilmente voleva essere risarcita dai danni. Che pazzi.

Ma io avevo la prova inconfutabile. Non erano i documenti, non avevo più il mio diario e nemmeno ero sicuro che sarebbe servito, ma avevo la sua voce rotta dal dolore in cui mi chiedeva scusa. Cercarono nel database tutte le informazioni necessarie e trovarono delle mie foto che confrontarono con il me attuale. Combaciavo alla perfezione, ovviamente. Il caso era riaperto, e poco tempo dopo sarebbe stato concluso.

Sono già passati due giorni. In questo momento potrebbe già essere stata arrestata e sottoposta a un interrogatorio, proprio come ho sognato che accadesse a me durante il coma, ma stavolta sarà lei a provare quelle sensazioni orribili: debolezza, voglia di urlare, rabbia, mancanza d'aria tra quelle mura, ansia, la vita che ti scorre davanti, tutte le cose che non hai lasciato fuori da quella stanza e non puoi portare più a termine. Suo figlio.

Sicuramente Tristan sarà un bravo padre. Ricordo bene com'era da ragazzo e il suo animo buono dev'essere rimasto intatto a meno che lei non lo abbia rovinato. Per forza, che lo ha fatto. E' l'unica cosa che le riesce bene. Non avrei mai immaginato che potesse mettersi con lui, eppure. Forse anche questo era premeditato, lo ha fatto proprio per sorprendermi, per farmi soffrire di più. Ma non aveva calcolato che io avrei potuto smettere di amarla.

Smettere di amare. Lo ripeto dentro la mia testa. Sembra una frase così brutta da dire. Molte cose che hanno una fine sono brutte, tranne le cose già brutte che allora se finiscono ti fanno sentire meglio.

In questo caso, smettere di provare un amore tossico ti depura l'anima. Ti senti libero, felice, ma anche nauseato da ciò che hai provato, molto stupido, e cavia di un miracolo che ti ha restituito la vista. Qualche effetto collaterale è giustificato però.

Guardo l'ombra del mio corpo proiettata a terra, la nube di fumo che esce dalla mia bocca, densa e poi molto più chiara. E poi guardo tutto questo vuoto intorno a me, tutto questo silenzio in questa enorme casa che non mi appartiene, che marca ancora di più questo cambiamento. Sarebbe tutto più facile se Nora fosse con me, ora. Invece sono solo, ad attendere almeno che la giustizia faccia la sua parte.

E' per rivincita personale, ma anche per onorare i miei genitori, che sono stati messi da parte per tutto questo tempo. La odio per tutta la sofferenza che non ha provato. Io al suo posto sarei morto dai sensi di colpa, non sarei mai riuscito a stamparmi in faccia un finto sorriso e vivere una vita che non merito. L'ho fatto, è vero, ma almeno non ho ucciso nessuno. Questo non me lo sarei mai perdonato. E' pazza, pazza, perché non l'ho capito anni fa?

Spengo con forza il mozzicone nel posacenere e poi socchiudo la finestra per far entrare un po' d'aria pulita.

Perché non l'ho rinchiusa in un manicomio, ho creduto in lei, ho lottato, l'ho scelta? E ora chi sceglierà me, dopo questo passato drastico che mi porto dietro? Perché è vero che il passato è passato, ma è pur sempre una parte di noi. Non andrà mai via, quel che è fatto è fatto. Mi viene in mente la canzone di Tiziano Ferro, Perdono.

Io però chiedo scusa. Non a Nora, non ai miei genitori, né a Grace. Chiedo scusa a Roy, per averlo costretto a cambiare, perché anche lui desiderava solo essere scelto da un amore puro. Gli chiedo scusa perché si è innamorato della persona sbagliata, com'è giusto che accada, e perché nemmeno è colpa sua, non poteva di certo saperlo. Anzi, non voleva vederlo.

Gli chiedo perdono, se per tanto tempo è stato cieco, ma lo siamo sempre tutti quando amiamo troppo. E difendiamo l'impossibile, e ci facciamo del male. Gli chiedo perdono per averlo dimenticato, per essere fuggito, per essere diventato il nuovo Davis: bello, popolare, che non si innamora mai e avverte sempre di non affezionarsi a lui. Perché sa, infondo, anche se non ricorda quella parte che ha rinchiuso nel profondo della sua anima, che non può permettersi di essere felice con qualcuno.

Sa che nel momento in cui il suo dolore si sarebbe ripresentato, avrebbe distrutto quell'altra persona. E troppa gente si era fatta male per causa sua. Forse non direttamente, non volutamente, ma era successo. E tutte le colpe ricadevano su di lui, Davis, su di lui, Roy, perché non c'era nessun altro a cui affiliarle.

Ma poi è arrivata Nora, e ti chiedo scusa se non ti ho permesso di conoscerla. Ma era tutto così nuovo, diverso, bello, che non avrebbe potuto capire. Sarebbe scappata. Comunque sia è scappata, e chissà se per me o per te.

E poi è arrivata Grace, e poi il coma, e i miei ricordi, e ti chiedo scusa, ma so per certo che per me non esisti più. Sei libero, adesso. Ognuno può interpretarti come vuole, può descriverti secondo ciò che gli hai lasciato, almeno chi si ricorderà di te, e anch'io lo farò.

Ti descriverò come la parte fragile e insicura di me stesso, quella parte da ragazzino che non sa bene dove andare da solo. La parte troppo romantica che fa cadere la mia durezza, che si sorprende ancora nel vedere una stella cadente e senza che lo voglia si ritrovi a pensare a lei. Lei che ha amato tanto, che lo ha ferito, che lo ha reso così dipendente da dimenticare se stesso, lo ha reso schiavo del suo essere.

Quella parte non c'è più, ed è una sensazione che non si può descrivere. E' come vivere ogni giorno con l'ansia e un macigno sul petto, un tempo lunghissimo che sembra non voglia passare mai e poi a un tratto ti fermi a pensare e ti accorgi che quel peso è sparito, che respiri di nuovo. Ti sembra surreale, perché eri così abituato a far fatica nel respirare, un gesto così naturale poi, che ti eri dimenticato com'è farlo liberamente.

Ti viene voglia di sorridere, di raccontarlo a qualcuno, oppure meglio di no, hai paura che possa alterare questa sensazione. Ti tocchi il petto per esserne sicuro, e quando te ne accerti...

«Nora...» dico piano.   

Inside our souls 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora