Capitolo 26 - Camilla

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Sarebbe potuto essere un giorno come gli altri. Uno di quelli tranquilli, in cui vesto Leo e gli metto la merenda per l'asilo nello zaino e lo guardo correre verso i suoi compagni dopo avermi lasciato la mano. Ma stavolta l'ha lasciata per sempre. Probabilmente non lo rivedrò più.

Sento ancora addosso la sensazione orribile di quella mattina, quando ho aperto la porta pensando che Davis fosse tornato a scusarsi, e invece ho sentito soltanto: «Lei ha il diritto di non parlare. Qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei in Tribunale. Ha il diritto di nominare un avvocato in sua difesa, se rinuncerà a questo diritto gliene verrà assegnato uno d'ufficio».

Non so da quante ore sono stata in quell'edificio, troppe per poterle contare. Ho subito un tempo indeterminato di interrogatori, impronte digitali, foto, sguardi seri, buio, crisi isteriche. Da quando mi hanno arrestata fino a ora non mi sono data pace. L'uomo che amavo mi ha tradita come non avrei mai immaginato, eppure quello che meriterebbe di essere amato non ci ha pensato due volte prima di offrirsi a me.

E' incredibile quanto amare ci renda egoisti nei confronti delle persone giuste. Tutto ciò che avrei dovuto fare sin dall'inizio sarebbe dovuto essere costituirmi. Eppure ho scelto un'altra strada, quella di una vita finta accanto a qualcuno che nemmeno volevo. Ma si trattava sempre di aver preso un impegno, e quando è nato Leo, di una responsabilità. Avrei solo dovuto smettere di lottare. A un certo punto si arriva a un limite sottilissimo in cui devi smettere di comportarti come hai sempre fatto, devi metterti in pausa. Non puoi sprecare la tua vita dietro il ricordo di qualcuno che non è più come vorresti tu. La natura cambia, si evolve, e così anche l'amore.

Avrei dovuto smettere di chiedermi se fosse giusto o sbagliato, di agire di impulso. Semplicemente, capire se mi faceva stare bene o meno. Ma avrebbe davvero avuto importanza, dopo aver macchiato le mie mani della morte dei miei genitori?

Quello che provo io, non conta più. E non conta nemmeno per la gente che ho qui davanti. Ispettori, poliziotti, detective, marescialli. Ce ne sono di ogni rango. Non tutti sono interessati al mio caso, probabilmente al mondo c'è qualcosa di più importante che occuparsi di una giovane pazza. Forse non più tanto giovane.

Eppure Tristan è qui, ora. Mi dice che andrà bene, che supereremo anche questa. Vorrei vomitare. Come può voler aiutarmi ancora? Forse è lui la dimostrazione del vero amore. Forse semplicemente lo fa per nostro figlio. Poco importa, non lo merito. Non dovrebbe preoccuparsi di me.

Guardo l'ora, mancano pochi minuti e il processo avrà inizio. Ho dimenticato cosa dire, come rispondere. Sento un groppo alla gola.

«Dov'è Leo?» gli chiedo agitata.

«Sta tranquilla, per ora è con mia sorella.»



Sento le lacrime sgorgare fuori. Quanto avrei bisogno di vederlo solo per un attimo, ora. Saliamo la grande scalinata e ci sediamo nell'aula e da lì tutto si svolge troppo velocemente perché io possa metabolizzare.

Iniziano a entrare Davis con il suo avvocato, la Giuria, il Giudice, testimoni. Man mano arrivano molte persone che vogliono assistere. Cerco di restare calma e non incrociare il suo sguardo, per quanto possa far male.

«Ordine.»

Tutti smettono di parlare, qualcuno ancora sussurra. Inizia a leggere cose che non capisco, sento solo le orecchie fischiarmi. Annuncia il motivo per cui oggi siamo qui, ovvero per darmi la giusta condanna, così lo interpreto io.

Un sacco di gente che conosco è venuta ad assistere, eppure sono sicura che nessuno sia dalla mia parte. Mi giro verso Davis, è attento a ciò che viene pronunciato. Si vede dalla sua espressione che è teso.

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