Parte 4.

2.8K 97 5
                                    

Quando il rumore di qualcuno che bussava alla porta mi svegliò dal mio stato di dormiveglia, non mi feci nessuna domanda. Aprii la porta e ritrovai Max. L'unico momento in cui potevo vederlo sorridere, era proprio quello post podio. Riuscivo a riconoscere due persone diverse in lui, una sempre arrabbiata, l'altra invece era quella che veniva fuori mentre guidava e – soprattutto – quando vinceva. Quando veniva fuori la sua seconda personalità – forse anche quella più vera – anche i suoi occhi cambiavano, erano molto più limpidi e non sembravano pronti per fulminarti e gelarti con un'occhiata, ma pronti per avvolgerti e raccontarti come era riuscito ad arrivare a quel punto.
Lo lasciai entrare, lasciando a lui il dovere di chiudersi la porta alle spalle mentre io mi riavvicinavo al letto per recuperare la felpa che mi era sfilata qualche ora prima. Quella volta il mal di testa mi aveva davvero bloccato sul letto della mia camera e non avendo niente che mi spingesse a vedere l'ultima gara, ero rimasta comodamente nel mio hotel.

«Qualche problema?» chiese ironico, alzando poi una tavoletta di cioccolato davanti ai miei occhi. Gliela sfilai dalla mano, pronta a scartarla, ma lui la recuperò dalle mie mani. «È per me.»

«Ma zitto, non ti piace nemmeno.» commentai, recuperando la barretta di cioccolato. Presi posto sul divano ed attesi che lui dicesse qualcosa. Ovviamente, ancora mi doveva dire come mai ogni sera preferisse entrare nella mia camera anche dopo quello che ci eravamo urlati contro. Ma non mi aspettai niente del genere, lo vidi camminare per la camera, poi prese posto accanto a me. Gli porsi la barretta di cioccolata, ma lui – come mi aspettavo – scosse il capo rifiutando. Non gli piaceva, lo sapevo. «Bella gara.»

«Ho concluso la stagione con una vittoria, secondo posto al mondiale. Diciamo che si, è stata una bella gara.»

«Secondo posto al mondiale ma come se fosse il primo, Hamilton non lo sposti da lì. Almeno finché non si ritira.» commentai ovvia, strappando un'altra striscia dalla barretta. Rimanemmo in silenzio per qualche minuto, forse anche più di qualche minuto, l'unica cosa che riuscivo a sentire era il suo respiro calmo ed il rumore della carta della barretta che veniva stracciato via. «Perché sei qui?» domandai, aspettando che cambiasse discorso. 

«Al Gala cosa metterai?» domandò lui, evitando come sempre la mia semplicissima domanda. Alzai le spalle, ancora non avevo scelto l'abito che avrei indossato. Mi portai una mano sulla fronte per cercare di calmare il mal di testa che da quella mattina mi stava tormentando, poi sospirai scegliendo la coda che mi stringeva i capelli. 

«Forse blu scuro.» risposi stanca, giocando con il codino nero. Max annuì, anche se sapevo bene che la sua domanda era volta solo a farmi dimenticare di quella che gli avevo posto io. Mi voltai verso la scrivania dove vi era l'unico orologio digitale della camera, segnava le dieci di sera. Di nuovo, la stessa identica domanda mi piombò nella mente. Perché era qui? Non mi avrebbe mai risposto. Lasciai perdere e poggiai il viso sul cuscino del divano, stendendomi. Guardai il soffitto in cerca di darmi da sola una risposta a quella domanda, poi allungai le gambe per posarle su quelle di Max. Inizialmente non si mosse, il suo sguardo era fisso sul muro proprio difronte a noi proprio come aveva fatto con Grace la sera precedente. Passò qualche secondo, poi il suo sguardo si posò sulle mie gambe nude.

«Sono fidanzato.» mi ricordò lui, quasi prendendomi in giro mentre la sua mano gelida entrava in contatto con la mia pelle.

«Grace mi ha detto che non state insieme, ma che vi divertite.» dissi io, ritirando subito le gambe. Quasi mi sentii in colpa per averlo toccato. Lui sorrise, perché si divertiva a vedermi in imbarazzo.

«Divertiamo? Puoi dirlo che scopia-»

«Si Max, quello. Va bene.» lo interruppi, alzandomi dal divano. Buttai la carta della barretta di cioccolata e mi avvicinai al letto per sistemare le lenzuola che – come mio solito mentre dormivo – avevo aggrovigliato verso la fine del letto. «Io ho sonno e mal di testa, a meno che tu non voglia renderti utile e-» mi bloccai. Come poteva rendersi utile? Avrebbe potuto abbracciarmi, accarezzarmi i capelli, forse pure stringermi per farmi passare quel maledetto mal di testa, ma poi ricordai che era Max. «Va via, Max.» conclusi.

Paradise; Max Verstappen.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora