Introduzione

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Per Alec, Isabelle era tutto. Era nata quando lui aveva appena due anni, e sin da subito erano stati inseparabili. Erano cresciuti assieme, condividendo momenti belli e affrontando quelli più dolorosi, come la morte del primo cane, o il divorzio dei loro genitori. Non che avessero avvertito troppo la differenza, visto l'assenza e il distacco che Maryse e Robert avevano dimostrato nei loro confronti durante la loro infanzia e poi adolescenza, ma i mesi che avevano preceduto l'atto legale erano stati talmente tanto colmi di litigi, urla e bestemmie da essere un vero e proprio inferno.

La nascita di Max era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso: per Robert, Maryse non era all'altezza di crescere un figlio maschio, non dopo aver "fallito a tirar su Alexander". Il povero ragazzino non aveva fatto nulla di male, era solo un po' cagionevole di salute e più gracile del padre. Praticava tiro con l'arco, disciplina che era vista come più "femminile" da Robert rispetto al pugilato, di cui era stato campioncino in gioventù. A nulla era servito che il giovane si fosse segnato anche ad un corso di Muai Thai: ai suoi occhi, restava un effemminato.

Del resto, per Maryse era Robert a non sapere come farsi rispettare, e per questo i primi quattro anni di vita del terzogenito erano stati campo di battaglia tra i due.
Per tutto questo tempo, Alec e Isabelle si erano sostenuti a vicenda: lui faceva di tutto per proteggere la minore, accollandosi le colpe che i genitori scaricavano sulle loro spalle e facendo del suo meglio per adempiere sempre e comunque al proprio dovere. Lei lo supportava in ogni momento, gli dava man forte contro le strigliate ingiuste, e complessivamente riusciva ad essere sempre lì per lui, comprendendolo meglio di quanto non facesse lui stesso.

Quella mattina, Alec stava uscendo per recarsi in palestra, quando all'improvviso gli squillò il cellulare.
"Pronto?"
"Pronto, Alec, sono io, Izzy."
"È successo qualcosa?" chiese il ragazzo allarmato, "Sembri preoccupata."
"Io... beh, sono appena uscita dall'ospedale e..." la ragazza scoppiò in lacrime.
"Izzy? Cosa ti hanno detto?"
"Dicono che quella che sembrava soltanto una ciste ovarica è in realtà un tumore. Maligno, ovviamente." Tirò su col naso. "Non sanno ancora se è curabile o meno. Mi... mi ricoverano a partire da domani."
"Cristo, Izzy. L'hai già detto a nostra madre?"
"No, pensavo di farlo stasera. Guadagno un po' di tempo per... metabolizzare meglio l'intera faccenda, ecco."
"Farei qualsiasi cosa per aiutarti, Isabelle". Non la chiamava quasi mai così, se non nei momenti più disperati. Rinunciare ai vezzeggiativi era il loro modo per dirsi "ti voglio bene" senza abbassarsi a certe smancerie.
"Alec. Andrà tutto bene. Me lo sento." disse la ragazza, cercando di ostentare una sicurezza che non aveva, nel disperato tentativo di non far preoccupare troppo il fratello maggiore.

Non fu così. I dottori si stupirono davanti allo stadio così avanzato del cancro, e le diedero solo qualche mese di vita. Pur provando la chemio, Isabelle diventava ogni giorno più simile allo spettro di sé stessa, e superato lo shock e il trauma iniziale, Alec la convinse ad affidarsi a curatori alternativi di ogni genere, a dispetto delle sue proteste iniziali.

"Non posso perderla," si sfogava con Jace, suo migliore amico da sempre. "Finché c'è anche solo la più remota possibilità che la sua situazione migliori..."
Il biondino sospirò. Non sopportava di vedere l'amico in quelle condizioni, ma del resto non aveva la più pallida idea di come aiutarlo. Lo abbracciò, e Alec dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per restare concentrato su sua sorella: c'era qualcosa nel ragazzo che lo faceva andare fuori di testa, lo confondeva e... lo ammaliava? Poteva dire così? Non gli succedeva con nessun altro, ma per nulla al mondo si sarebbe mai confessato che si trattasse di una cotta. Perché non lo era. Erano soltanto migliori amici, inseparabili da quando Jace lo aveva investito con la bicicletta a sette anni, al parco giochi. D'un tratto, il ragazzo si tirò via dalla presa. Alec sospettò di aver fatto qualcosa di terribilmente sbagliato, e balbettò uno "scusa" mortificato; Jace nemmeno lo sentì.

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