Capitolo 7 - Rabbia

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Glielo dico o non glielo dico, s'interrogava Alec camminando avanti e indietro per la sua stanza. Aveva sognato l'appuntamento disastroso, come era da prevedersi, solo che era stato con Jace, e non si era rivelato per niente disastroso, anzi. Il solo pensiero bastò a mettergli i brividi, e si ritrovò a soppesare gli eventuali esiti di una confessione. Da una parte, poteva fallire miseramente, e addirittura perdere la sua amicizia. Non c'erano grandi indicazioni che il biondo fosse omofobo, ma non si sa mai con questo tipo di discriminazione, poteva tranquillamente essere uno di quei tipi che affermano di "non essere omofobi ma"...

Dall'altra parte, poteva andargli bene, magari Cassidy, o Clary, era solo una copertura, e forse, ma solo forse, il ragazzo avrebbe ricambiato i suoi sentimenti. Ma più probabilmente sarebbe stato un fiasco totale.

"Chi non risica non rosica, Alexander," disse una voce alle sue spalle, e quando il moro si voltò non fu affatto sorpreso di vedere il demone stante con le braccia conserte, appoggiato con la spalla sinistra al muro. Arrossì violentemente. "Magnus? Non avevi detto che non-"

"Non posso leggerti i pensieri? Certo, ma è mezz'ora che borbotti tra te e te. Tra poco anche tua madre saprà di questa tua cotta leggendaria." Alec divenne se possibile ancora più paonazzo.

"Scherzo ovviamente. Tutto merito del mio udito divino," scherzò Magnus, per poi farsi serio; stava tramando qualcosa, il ragazzo ne era convinto.

"Cosa hai intenzione di fare? Stare lì a sfottermi perché non so prendere una decisione? Molto maturo da parte tua, quanti anni hai, due?" Non era sicuro del perché stesse scherzando in modo così pesante, e francamente non gliene importava più di tanto. Quello che sapeva era che presto avrebbe dovuto affrontare l'argomento con Jace, beh, quel pomeriggio; e nonostante lui e io biondino avessero condiviso segreti e preoccupazioni da una vita, il doverlo fare lo atterriva. Si voltò verso Magnus, che era seduto sul letto con fare provocante, e sforzandosi di ignorare quella strana sensazione alla bocca dello stomaco azzardò qualche parola.

"Tu... Perché sei qui? Non ti ho chiamato."

"Mi annoiavo. E ho pensato di fare un salutino al mio essere umano preferito," ammiccò il demone con un sorrisetto. Cristo, quanto era un cliché.

Talvolta Magnus si fermava a valutare come dovesse apparire agli occhi della gente. Certamente, un diavolo con gli occhi felini e un gran fascino - la modestia non era tra i suoi pregi - non passava certo inosservato, e colpiva dritto al cuore dei più ingenui, ma nel corso dei secoli aveva imparato a conformarsi allo stereotipo di casanova che andava per la maggiore.

Era andato con donne e con uomini di ogni ceto e classe sociale, aveva affascinato grandi Lord con la sua parlantina e le Madame con i suoi piccoli servigi, aveva mutato forma nel corso delle epoche e adattato il suo atteggiamento alle mode e ai costumi di ogni momento storico. E nel ventunesimo secolo si era ritrovato ad atteggiarsi da bad boy indiscusso, un ragazzaccio, un Lucignolo tentatore per adulti che prometteva un ben più concreto paese dei balocchi.

Si alzò in piedi, stiracchiandosi in modo che la maglia striminzita si sollevasse quanto bastava a scoprire la parte bassa dell'addome, e sorrise sotto i baffi nel notare lo sguardo del moro posarcisi sopra imbarazzato, per poi voltarsi verso la finestra e tossicchiare. Avrebbero dovuto dargli un Oscar come peggior attore protagonista.

"Ti diverti a torturarmi, eh?"

"Dunque oltre ad essere bello sei anche sveglio, Alexander," gli sorrise, facendolo diventare di una sfumatura non ben definita di porpora.

"Potresti- potresti lasciarmi risolvere questa faccenda?" chiese Alec, mentre Magnus gli si avvicinava con una flemma controllata. Quando gli fu arrivato davanti, a poco meno di una spanna di distanza, gli pose una mano sulla spalla e la lasciò scivolare lungo il suo braccio sfiorandolo appena. Al ragazzo vennero i brividi.

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