22 - The Truth

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Che cosa potevo fare in quel momento? Dovevo cominciare a urlare, dicendo a tutti che Matt, in realtà, si chiamava Brian ed era un impostore? Che era il ragazzo che mi aveva rintracciata a New York perché voleva rimediare a un errore che aveva fatto in passato?
“Kim?” Mi chiamò Cassie. Com’era possibile che non l’avesse riconosciuto? Eravamo andati a scuola insieme. Ma, effettivamente, Brian era cambiato tantissimo da quando eravamo adolescenti e lei non l’aveva più visto. Anch’io non l’avevo riconosciuto quando l’avevo incontrato alla caffetteria. Non finché non mi aveva chiamata con l’odioso nomignolo che mi aveva affibbiato a scuola.
“P-piacere mio.” Mi costrinsi a dire.
Non potevo rimanere in quella situazione. Dovevo andarmene. Dovevo avvisare Elle e dirle che stava uscendo con un pazzo.
Mi scusai e raggiunsi la camera che condividevo con Cassie. Cos’avrei potuto fare? Il mio primo istinto fu quello di chiamare Harry, così cominciai a cercare il suo numero.
Prima che potessi premere il tasto verde, Brian si intrufolò nella stanza e richiuse silenziosamente la porta alle sue spalle.
“Cosa cazzo fai qui?” Domandai, indietreggiando. Lui appoggiò un dito sulle sue labbra e mi fece segno di stare zitta.
“Ho detto che sono venuto in bagno, quindi ho solo pochi minuti.” Mormorò.
“Mi metto a urlare se solo ti avvicini di un altro passo. E non so come ti sia venuta questa idea geniale, perché tra dieci secondi andrò a dire a Elle che razza di essere inquietante e bugiardo sei.” Lo avvisai.
“Oh no.” Disse lui, assumendo una finta espressione triste. “Oh no.” Ripeté. “Vedi, tu non dirai nulla a nessuno, altrimenti ti rovinerò. Sai, ho fatto una piccola ricerca sulla tua vita e ho scoperto che la tua datrice di lavoro odia quando le sue dipendenti frequentano i clienti del suo studio. E… ops, a quanto pare la band di quel clown di Harry Styles è proprio cliente della Warden!”
Abbassai lo sguardo. Non ero mai stata una di quelle persone che entravano in panico facilmente, ma in quel momento stavo quasi per sentirmi male dall’ansia.
“Come fai a sapere tutte queste cose?”
“Sono uscito a cena con la tua cara amica Amber, che lavora allo studio.” Replicò lui con naturalezza. “Non hai nemmeno idea di quante cose mi abbia confessato dopo un paio di bicchieri.”
“Tu sei pazzo.” Dissi. “E rivoltante.” Aggiunsi. “Cosa speri di ottenere facendo questo gioco? Uscendo con una delle mie coinquiline?”
“Accesso al tuo appartamento, tanto per iniziare.” Rispose lui. “Così potrò vederti più spesso e riuscirò a farti cambiare idea su di me. Staremo insieme, saremo felici.”
Deglutii. Brian era completamente folle. Mi stava spaventando e non avevo la minima idea di quello che avrei potuto fare.
“Sei malato.” Dissi.
“Mi hai reso tu così.”
Chiusi gli occhi e voltai il viso verso la parete. Non volevo nemmeno più guardarlo. Come avrei fatto a resistere a una cena intera? Dovevo proteggere Elle in qualche modo.
Senza aggiungere altro il ragazzo uscì dalla stanza e raggiunse le mie coinquiline.
 
Durante la cena dissi più o meno tre parole e mangiai pochissimo. Mi era venuta la nausea, mi faceva male lo stomaco e il cibo piccante non faceva altro che peggiorare la situazione.
Avevo escogitato un piano e dovevo metterlo in atto. Non solo per salvare me stessa, ma anche per riuscire ad evitare che Elle facesse uno degli errori più grandi della sua vita.
“Sei sicuro che non vuoi rimanere dopo cena?” Disse la ragazza, guardando “Matt” con un’espressione persa, tipica di chi si stava innamorando di qualcuno. Mi costrinsi a fissare il contenuto del mio bicchiere per non cominciare a urlare.
“Vorrei ma non posso, amore. Domani mattina devo alzarmi presto per studiare. Credimi, vorrei passare tutto il mio tempo con te, ma il dovere prima del piacere, giusto?”
“Come diceva il grande Shakespeare, giusto?” Domandai, incapace di trattenermi.
“Esattamente.” Rispose lui con un sorriso finto. Dio, quanto lo odiavo. Non riusciva nemmeno a fingere di sapere qualcosa sull’argomento che diceva di studiare all’università.
Scossi la testa e aspettai di vederlo uscire dall’appartamento. Mi veniva voglia di aprire le finestre e di disinfettare tutto l’ambiente. Avrei voluto lavare via ogni traccia della sua presenza, perché il solo pensiero della sua esistenza mi faceva venire il voltastomaco.
Ma sapevo cosa fare. Dovevo solo trovare il coraggio di farlo.
 
Appena “Matt” lasciò l’appartamento raccontai tutto ad Elle, che dapprima mi guardò semplicemente con aria confusa. Non riusciva a credere a quello che le stavo raccontando. Non voleva crederci, perché lei si stava innamorando di quel ragazzo, come era possibile che fosse solo un pazzo e un bugiardo?
Dopo vari tentativi la mia amica cominciò ad accettare che sì, c’era qualcosa che non andava in quel ragazzo. Non era possibile non poter parlare di nulla insieme a lui.
Piper ci aiutò a fare una piccola ricerca su Internet, e il risultato fu la prova finale che convinse definitivamente Elle.
Non esisteva nessuno con quel nome e quel cognome iscritto all’università e in rete non si trovavano informazioni su di lui, a parte il profilo Facebook falso.
Elle si lasciò andare a un pianto liberatorio, poi assunse un’espressione spaventata e infine si infuriò.
“Tu vai a fare quello che devi fare. Io, nel frattempo, raccolgo tutte le prove possibili e poi andiamo a denunciarlo.” Disse, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. “Quel maledetto psicopatico… mi stava usando per intrufolarsi nella tua camera! Per farti del male, magari!” Esclamò dopo qualche secondo.
“Kim, dammi il numero di Amber.” Disse improvvisamente la mia gemella. La guardai con aria confusa. “Matt… Brian ha detto di essere uscito a cena con lei per ottenere informazioni su di te. Possiamo farci raccontare quello che si ricorda e magari la sua testimonianza ci sarà utile per ottenere l’ordine restrittivo.” Aggiunse.
Annuii e scrissi velocemente il numero della mia collega su un foglietto.
 
Harry passò a prendermi in auto mezz’ora dopo la cena con “Matt”. Gli avevo detto che c’era stato un cambio di piani e che non volevo andare al suo appartamento. Invece gli chiesi di accompagnarmi a casa di Sophia.
Sapevo dove abitava, perché spesso mi spediva là all’ora di pranzo per portare il suo cane a fare una passeggiata. Sapevo anche che non aveva piani quella sera, perché aveva il vizio di farmi gestire anche la sua agenda personale, oltre a quella di lavoro.
“Sei sicura di voler fare una cosa del genere?” Mi chiese Harry dopo aver parcheggiato davanti a casa di Sophia.
No, non ero sicura di niente. Sapevo solo che dovevo porre fine a quella situazione prima che facesse stare male qualcuno.
“Sì.” Dissi con voce tremante. Gli avevo raccontato della cena e di tutto quello che era successo con Brian e lui aveva ascoltato attentamente, stringendo i pugni e scuotendo la testa. Era furioso.
“E sei sicura che non vuoi che io venga con te?”
Inspirai profondamente ed espirai un paio di volte prima di rispondere.
“È una cosa che devo fare da sola. Tu… tu aspettami qui. Sapere che ci sei mi aiuta, davvero.” Risposi.
“Kim, sai cosa dobbiamo fare dopo, vero?”
Annuii lentamente e mi morsi un labbro. Mai, in tutta la mia vita, avrei pensato di trovarmi in una situazione del genere per colpa di un ragazzo. Per colpa di Brian. Era sempre stato uno stronzo, uno a cui piacevano le ragazze e che ci provava un po’ con tutte. Ma non avrei mai immaginato che potesse arrivare a quel punto. Cosa gli era successo? Perché era diventato così? Mi spaventava. Anzi, mi terrorizzava.
“Lo devo denunciare.” Dissi. Non avevo molte prove. Solo il fatto che avesse creato un profilo di Facebook falso, impossessandosi dell’identità di una mia amica, e la testimonianza di Harry, che l’aveva visto davanti al mio appartamento e che mi prendeva per un polso. Speravo davvero che quello che avevo, più il racconto e le prove che avrebbe raccolto Elle, fossero abbastanza.
“Ed io sarò con te, d’accordo?”
“D’accordo.” Risposi.
Guardai fuori dal finestrino e notai la luce accesa alla finestra del salotto di Sophia. Era davvero in casa. In pochi minuti sarei andata davvero a parlarle. Speravo che le mie gambe non mi avrebbero tradita proprio durante i pochi passi che mi separavano dal suo appartamento.
Aprii la portiera dell’auto che aveva affittato Harry e, lentamente, uscii dalla vettura e percorsi la poca distanza fino alla porta. Sentivo un nodo in gola che mi rendeva difficile deglutire e gli occhi stavano cominciando a bruciare.
Fantastico, ci mancava solo che scoppiassi a piangere davanti alla mia datrice di lavoro. Quella giornata non avrebbe potuto andare peggio di così.
Fissai il citofono davanti a me per parecchi minuti prima di decidermi a pigiare il tasto. Non era tardi, erano da poco passate le otto e trenta. Fortunatamente la cena con Brian era cominciata presto e finita dopo poco.
Aspettai una quantità indefinita di secondi, poi sentii la voce metallica di Sophia.
“Chi è?” Domandò. Già me la immaginavo con gli occhiali da vista, i capelli spettinati, un bicchiere di vino in una mano e un buon libro in un’altra.
Perché avevo pensato che quella fosse una buona idea?
“S-Sophia, sono Kimberly.” Dissi. “Fletcher.”
“Kim?” Chiese lei. Aveva assunto un tono sorpreso e non la biasimavo. Anch’io, al suo posto, mi sarei chiesta che cosa ci facesse la mia assistente personale a casa mia a quell’ora. Di venerdì sera.
“Sì, sono io.” Dissi. “Sophia, devo parlarti urgentemente di una cosa importante.”
“Okay, sali pure.” Replicò lei. Il cuore cominciò a battere più velocemente quando la donna aprì il portone e guardai nella direzione in cui aveva parcheggiato Harry per darmi coraggio.
 
“Vuoi qualcosa da bere?” Mi domandò la fotografa dopo avermi fatta accomodare nel suo salotto. In quel momento una bottiglia di vodka non suonava male.
“No, grazie.” Dissi invece. L’alcool non avrebbe risolto nessuno dei miei problemi. “Scusa se sono piombata a casa tua a quest’ora, ma… non sapevo che altro fare.”
“Sei sicura di star bene? Sei pallida, mi stai facendo preoccupare.” Sophia si avvicinò leggermente a me e mi guardò per qualche secondo.
Io ormai stavo per piangere, lo sapevo. Avevo gli occhi gonfi di lacrime e bruciavano.
“Ho fatto una cazzata e, se deciderai di licenziarmi, capirò.” Cominciai a dire. Ora la fotografa aveva cambiato espressione, mi stava guardando con curiosità mista ad apprensione.
“Okay, ti ascolto.”
“So che mi avevi dato solo due regole quando ho cominciato a lavorare per te e… ne ho infranta una, Sophia. Mi dispiace tantissimo.”
“Che cos’hai fatto?”
“S-sto uscendo con uno dei tuoi clienti.” Mormorai e abbassai lo sguardo. Non potevo guardarla negli occhi. Non volevo vedere la sua espressione delusa e infuriata. “Ho cercato di dirtelo tante volte, ma non ho mai avuto il coraggio. Io… so di aver sbagliato e mi dispiace.”
“In che senso stai uscendo?” Chiese la donna.
“Stiamo insieme da poco più di due mesi.” Dissi a bassa voce, sempre rifiutandomi di alzare lo sguardo per incrociare il suo. Le lacrime cominciarono a scorrere sul mio viso. Io, Kim Fletcher, prima di trasferirmi a New York, piangevo raramente. Non credevo nell’amore e non pensavo che mi sarei mai trovata in una situazione del genere.
Sentii Sophia sospirare.
“Perché hai sentito il bisogno di dirmelo adesso, dopo due mesi?” Domandò. C’era curiosità nel suo tono di voce. Non mi sembrava arrabbiata. Ma potevo sbagliarmi, ovviamente.
“Beh, le cose tra di noi sono serie e volevo dirtelo io prima che tu lo scoprissi in qualche altro modo.” Dissi. Non volevo dirle che Brian mi stava minacciando. Quella era una situazione che dovevo risolvere da sola. E l’avrei fatto quella sera, ma prima volevo essere onesta con Sophia.
“Capisco.” Replicò lei dopo qualche minuto. “Sai come la penso, Kim. Non voglio che la reputazione del mio studio fotografico venga compromessa in nessun modo e quello che hai fatto è stata una mancanza di rispetto nei miei confronti. Ti avevo dato solo due regole, Kimberly. Ascoltami sempre e non uscire mai con uno dei miei clienti. Ti ci è voluto poco per fare di testa tua, vero?”
Finalmente mi decisi a guardarla negli occhi. Non era furiosa, ma era delusa. Si capiva dalla sua espressione.
Provai una stretta allo stomaco e chiusi gli occhi per qualche secondo. Quel discorso non avrebbe avuto un lieto fine, lo sapevo. Mi avrebbe licenziata. Era arrivato il momento di tirare fuori le unghie e combattere. Asciugai le lacrime sulle mie guance e cercai di calmarmi.
“So di averti delusa e credimi, è una sensazione orribile. Ma non ho fatto apposta a innamorarmi di lui, Sophia. Ho cercato con tutte le mie forze di resistere e di ignorare i sentimenti che provavo per lui, perché per me questo lavoro conta più di qualsiasi altra cosa, ma non ce l’ho fatta. Non volevo mancarti di rispetto.”
La donna mi osservò a lungo, senza dire una parola, e dentro di me la tensione continuò a crescere. Arrivai a sperare che mi licenziasse in fretta, perché almeno sarei riuscita a uscire da quella situazione.
L’incertezza, il non sapere quello che sarebbe successo (non di sicuro, almeno) mi stavano distruggendo.
“Se ti dicessi che per non essere licenziata dovresti lasciare il tuo ragazzo, cosa diresti?” Domandò infine.
La guardai, incredula. E pensai anche alla risposta, ma come avrei potuto scegliere? Da una parte l’idea di lasciare Harry mi sembrava completamente assurda. Avrei fatto prima a strapparmi il cuore dal petto e calpestarlo. Ero sicura che avrebbe fatto meno male. Dall’altra… come avrei potuto rinunciare al mio sogno? Essere licenziata da Sophia significava praticamente non lavorare mai più nel mondo della fotografia. Ed io sapevo che essere una fotografa era quello che volevo fare per il resto della mia vita.
“Non puoi farmi scegliere tra il mio cuore e il mio sogno.” Risposi alla fine. “Probabilmente è egoista e sbagliato, ma io non posso rinunciare a nessuna delle due cose.”
Dove era finita la Kim che aveva giurato che nulla avrebbe potuto mai mettersi tra lei e il suo lavoro? Dov’era finita la Kim che pensava che l’amore fosse una cosa inventata dagli umani per giustificare la voglia di andare a letto con qualcuno?
Con quella risposta mi ero appena assicurata un calcio nel didietro e tanti saluti. Avevo appena distrutto il mio sogno con le stesse mani.
Cassie mi aveva fatto guardare “Il Diavolo Veste Prada” almeno quindici volte, perché era uno dei suoi film preferiti. Ed io, tutte le volte, le dicevo che non capivo perché la protagonista si era licenziata per tornare da quello sfigato del suo ragazzo. Aveva tutto quello che poteva desiderare. La sua carriera stava andando benissimo. E lei aveva buttato via tutto per amore. Beh, per quello e perché non le piaceva la persona che era diventata.
Io non avevo le idee chiare. Per niente. Ma sapevo che non avrei mai potuto scegliere tra Harry e il mio lavoro. Era impensabile perdere uno dei due.
“Sei davvero sicura della tua risposta?” Mi domandò la donna, scrutandomi da sopra gli occhiali.
Quello era il momento in cui avrei potuto cambiare idea. Avrei potuto dirle che avrei lasciato Harry per non farmi licenziare, ma non sarei mai riuscita a farlo davvero.
Annuii, rendendomi conto di aver fatto una scelta, in fin dei conti. Avevo scelto Harry al posto del mio lavoro.
“D’accordo, allora parliamoci chiaro.” Cominciò a dire la donna. Ero così agitata che mi accorsi di stare tremando leggermente.

The Butterfly Effect || [One Direction - Harry Styles]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora