Mirror.

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19 novembre.

Ben Barnes fu svegliato bruscamente dal suono della sveglia sul comodino alla destra del suo letto. Dalla grande finestra della stanza entrava un unico timido raggio di sole, che Ben riuscì a cogliere con un solo occhio aperto prima che le nuvole tornassero a coprire il cielo. Si voltò di malumore, dando le spalle alla finestra, per controllare l'orario: le sei di mattina. Man mano che prendeva conoscenza, iniziavano ad affollarsi nella sua mente tutti gli impegni che lo aspettavano quella mattina, così si fece forza e si alzò stiracchiandosi. Si passò una mano fra i capelli spettinati, gli occhi ancora socchiusi, mentre fissava un punto indefinito della camera da letto. La cosa che più odiava di prima mattina, dopo il suono della sveglia e le persone che gli davano a parlare, era la stanza piena di luce. Ben era sempre stato un amante del buio; nel buio doveva addormentarsi ogni notte, riuscendo a stento a sopportare la piccola spia luminosa del televisore, e nel buio doveva svegliarsi al mattino per evitare di essere accompagnato dal mal di testa tutto il giorno. Per non parlare delle numerose notti in preda all'insonnia, passate a vagare per i corridoi dell'albergo o a contemplare il panorama londinese dai tetti.

Il primo ostacolo della giornata, ovvero la sveglia, era stato superato. Ora bisognava pensare a tutti gli altri. Decise di non perdere tempo cucinandosi la colazione e iniziò subito a prepararsi, scegliendo accuratamente il completo più adatto da indossare prima di infilarsi in doccia. La sua modesta suite era ovviamente dotata di una grande cabina armadio sempre immacolata, grazie all'aiuto delle domestiche, con scompartimenti separati per giacche, cravatte, pantaloni, camicie, scarpe e quant'altro. Guardò i cassetti dove vi erano contenute tutte le cravatte che, dai diciotto anni in poi, gli erano state regalate o era stato obbligato a comprare. Non ne andava pazzo. Sicuramente preferiva scattare da un lato all'altro del Bittersweet senza un "collare", bensì tenendo sempre i primi tre bottoni della camicia rigorosamente aperti. Nonostante la sua vena ribelle, anche Ben era in grado di riconoscere le occasioni importanti per le quali valeva la pena mettersi in tiro. "Tanto da domani sarà già abolita", pensò afferrando una cravatta scura a caso.

Una volta pronto, scese al piano terra e si intrufolò in una delle sale ristorazione per rubare qualcosa dai buffet e bere un caffè al volo, poi andò alla ricerca di Daniel.

«Buongiorno, Ben». Dan arrivava alle sue spalle con una pila di cartelle tra le braccia, pronto a buttargli di sopra tutto quel lavoro, nonostante fossero ancora solo le sette del mattino. «Nesbitt e il suo team saranno qui tra un'ora, bisogna revisionare e firmare tutti questi documenti».

«Diamoci da fare, allora» rispose, facendo un bel respiro e ignorando la prima fitta alle tempie della giornata, «ma prima di tutto viene il rituale». Scoccò uno sguardo d'intesa al suo collega, sfilando dalle sue braccia tutte le cartelle per posarle sul bancone della reception, e iniziò a camminare verso l'uscita, sicuro che Daniel lo stesse seguendo.

All'esterno dell'hotel, che dava su una strada molto popolata, vi era una panchina anonima in cemento che doveva esistere da prima della sua nascita o, a giudicare dai segni del tempo e dalle dediche degli innamorati incise sulla superficie, da prima della nascita del suo albergo. Si sedette insieme a Dan, allentando un po' la cravatta, e dal taschino interno della giacca estrasse un pacco di sigarette Winston blu. La strada, solitamente affollata, era ancora deserta. Strinse la sigaretta tra le labbra e la accese, poi fece il primo tiro chiudendo gli occhi e un brivido gli percorse la spina dorsale. La sigaretta dopo il primo caffè della mattina era per lui un rituale fondamentale, quello che gli permetteva di proseguire la giornata con serenità. Quando questo momento veniva a mancare, si sentiva irrimediabilmente nervoso.

«Dovremmo smettere» disse Daniel, più a se stesso che al suo capo, accendendo la sua sigaretta, «un giorno di questi Abbie mi butta fuori casa».

Bittersweet Hotel || Ben Barnes #ilsaporeditecontestDove le storie prendono vita. Scoprilo ora