L'atmosfera, dapprima tesa, si allentò un pochino e ricevetti alcune pacche sulla spalla da una guardiana più grande di me di due anni che pensava stessi soffocando da quanto ridevo.

«Guardiani e guardiane, è ora!» annunciò allegro il cronista. La sua voce era stranamente familiare.

Le risate si spensero e la competitività ritornò come se non fosse successo nulla nonostante dalla stanza stesse ora arrivando l'assolo vocale pazzesco di uno di loro che dopo cantò "players gonna play play play play play. And the haters gonna hate hate hate hate hate".

"Ok, boys will be boys, ho capito ora che significa" pensai soffocando una risata.

Presi un grosso respiro cercando di tranquillizzarmi e infilai la spada nel fodero che mi ero messa a tracolla dietro la schiena come mi avevano consigliato di fare alcuni guardiani più piccoli e gentili.

Uscita dallo spogliatoio dovetti camminare in un corridoio abbastanza largo dove alla sinistra c'erano dei piccoli archetti da cui si poteva intravedere l'arena e vedendo un percorso pieno di ostacoli mi mancò il respiro.

"Michele, dammi la forza" pregai con vasta ironia ma con anche una punta di disperazione e sincerità.

Appena uscimmo dal corridoio sotterraneo venimmo accolti dagli applausi di centinaia di guardiani che si erano radunati nell'Arena per vederci, o meglio, per vedermi fallire perché a quanto ne sapevo io non c'era mai stato un pubblico così ampio e mi era stato anche confermato da dei guardiani prima che entrassi nello spogliatoio.

Posai uno sguardo sulla tribuna d'onore e lì vidi con mio grande stupore Federico Flores impugnare un microfono e sorridere facendo commentini ironici su tutti noi partecipanti.

Indossava una simpatica camicia hawaiana rossa con una collana di fiori finti colorati e sulla testa aveva un cappello da cowboy nero.
Signore e signori, quelli erano i tipici vestiti che si potevano trovare nel magazzino perché là dentro era quasi impossibile trovare qualcosa di normale o comunque di poco colorato.

Osservai quel che avrei dovuto affrontare.

Davanti a noi c'era un percorso lineare formato da tre livelli: il primo era una piscina lunga e profonda da attraversare, il secondo era un percorso dove si dovevano evitare delle enormi asce che andavano su e giù in un moto pendolare e le cui lame erano state coperte da delle protezioni in gomma e il terzo era un enorme torre con delle aste cilindriche conficcate all'interno dove potersi arrampicare. Il problema del terzo livello era che le aste si potevano spingere e tirare, il che avrebbe reso molto difficile la salita.

Si sentì il suono acuto di un microfono che veniva acceso. «Salve a tutti, guardiani! Sono Federico Flores, il vostro amato presentatore! Siete pronti ad assistere al torneo!» si levò un  "sì" da parte di tutti. «Non sentooo! Siete pronti?» il "sì" diventò sempre più forte finché Flores non ne fu soddisfatto.

Dopo una breve pausa annunciò i partecipanti uno, compresa me. Quando disse il mio nome e la folla si zittì improvvisamente invece di applaudire come aveva fatto con gli altri mi sentii così a disagio che mi pentii subito di avere accettato.

«Mettetevi sulla riga di partenza!» ordinò il presentatore e noi obbedimmo. «Al mio segnale partite! Pronti... partenza... VIA!»

Venne suonata una trombetta da stadio e automaticamente tutti i partecipanti scattarono in azione, io compresa.

I Grandi 7Where stories live. Discover now