Patto infrangibile

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Hermione  aveva messo in funzione il suo cervello che ora lavorava a pieno regime, per la prima volta dopo tanto tempo pensò alla possibilità di una fuga.

Quanto tempo era che non lo faceva? Quanto tempo era che non agognava la libertà?

Sospirò.

Chiuse gli occhi e lasciò la mente vagare, si vide libera con suo figlio mentre si rincorrevano su una collina, lui rideva felice, i suoi ricci biondi sobbalzavano intorno alla sua testolina.

Poi il piccolo si fermò girandosi a mezzo busto, con i suoi grandi occhioni grigi la fissò.

Vide le sue braccine protendersi in alto, verso il cielo, quasi a voler afferrare il sole, e la chiamò:
"Mamma!" Quella alle sue orecchie fu come una melodia.

Il suo cuore perse un battito, quello era il suo bambino, e lei l'avrebbe stretto tra le braccia, proteggendolo da tutte le brutture del mondo.

Perle salate presero a scendere lungo le gote come a voler lavare via quel "malessere", che ora si stava impossessando di lei.

Un desiderio, una illusione.

Veder crescere suo figlio da donna libera.

Una effimera chimera, ma sognare non costava nulla.

Sfruttare quella situazione a suo vantaggio, una flebile speranza, che da tempo si era sopita, ora eccola riaccendersi.

Unico punto debole di tutto quel suo alambiccarsi, era non possedere una bacchetta e senza di essa la fuga rimaneva fuori dalla sua portata.
Tuttavia non demordeva, instancabile vagliava ogni possibilità alla ricerca di un varco sfruttabile in quella sua prigione.

Spiluccava distrattamente il cibo nel piatto, mentre rifletteva.

La forchetta sembrava rovistare nella portata davanti a lei senza realmente infilzare i bocconi.

Il suo rapitore sembrava conoscerla bene, per cena aveva fatto servire le sue pietanze preferite, il suo guardiano le aveva poggiato i vassoi colmi in silenzio, per poi sparire.

Non aveva risposto a nessuna delle sue domande, dopo le poche parole scambiate al suo arrivo sembrava aver perso la parola, o semplicemente la ignorava.

Forse la seconda ipotesi era quella più giusta. Doveva avere avuto ordini ben precisi dal suo padrone che non contemplavano la conversazione con lei.

Allontanò il piatto, non aveva molta fame, per poi alzarsi spostando la sedia senza far rumore.

Voleva rendersi conto del luogo in cui era tenuta prigioniera.

Perchè alla fine questo era, aveva solo cambiato "padrone". E non era ancora certa che quel cambio le convenisse.

Dopo cena girovagò per il pianterreno, ma la maggior parte delle porte era chiusa con la magia.

Nessun indizio che le svelasse chi fosse il suo rapitore.

Le pareti erano spoglie, nessun quadro.

Sbuffando ritornò nel salottino, prendendo un libro dallo scaffale disse a voce alta

- Beh, mi vorrei riposare, se possibile. -

Poco dopo apparve l'uomo barbuto, che le fece segno di seguirlo, e la condusse in una camera da letto con bagno annesso.

Le aprì un armadio dove c'erano diversi abiti e della biancheria, niente di vezzoso, solo giusto l'essenziale, sobrio ma di gusto.
Di certo non era il guardaroba di una amante, nè quello di una serva.

Serva di un solo padrone || dramioneWhere stories live. Discover now