Il Viaggio (IV Pagina)

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Varcarono la soglia della villa, questa volta non con l'intento di presentarsi o di fermarsi per un tè.
Vecchio: "Da oggi Takemizu, tu allogerai nella camera di fianco a quella dei miei due nipotini, la seconda al secondo piano." (in giappone il primo piano è il nostro piano terra)
Takemizu: "Non sapevo tenessi dei nipoti, vecch.." In quel momento gli passò davanti uno dei due nipoti correndo per abbracciare il nonno. Takemizu si dovette scansare per non andargli addosso.
Nipote: "NONNINOO!! Cosa hai fatto di bello oggi? E chi è quest'uomo che è venuto con te?"
Vecchio: "Ohh, Sai-chan! Quanto mi sei mancato! (Lo strinse in un abbraccio e lo sollevò da terra non senza sforzo, per poi rimetterlo giù) ...Certo che sei diventato pesante! Quanti anni hai ora? 11? 12?"
Sai: "Ne ho quasi 13! Quando mai ti ricorderai la mia età... Uffa!"
Vecchio: "Eh eh, la vecchiaia è una brutta bestia... Piuttosto, Takemizu, questo è Sai, il maggiore tra i due fratelli.
Sai, questo è un uomo davvero molto forte e che, forse, potrebbe farci riottenere ciò che da tempo abbiamo perduto... Ma ora non dilunghiamoci in chiacchiere! Andiamo a mangiare qualcosa. Tuo fratello si è rimesso abbastanza in sesto da stare con noi a tavola?"
Sai: "La temperatura si è abbassata da questo pomeriggio, perciò ora riesce a riposare serenamente, ma penso che gli porterò la cena in camera senza svegliarlo. Ha avuto una brutta febbre."
Vecchio: "Ah, capisco. Prenditi cura di tuo fratello da bravo fratello maggiore, mi raccomando." Il ragazzino fece "sì" energicamente con la testa, poi corse su al piano superiore. Si voltò dicendo: "Spero ti troverai bene qui da noi, forestiero, la nonna fa degli Udon squisiti! Ja ne! (A dopo!)"

"Cosa ci hai preparato di buono, Moglie?"
Vecchia Togashi: "Per te proprio un bel niente! Non ricordi?" Disse tuonando con aria indispettita.
"Takemizu-san, siediti pure a tavola, spero che tu possa apprezzare il cibo che ho preparato, anche se di umile quantità. Di questi tempi..."
La serata passò in tranquillità, almeno finchè il vecchio Togashi se ne uscì con: "Oggi ho portato Takemizu alla nostra armeria, sai? Ti ricordi quando ci lavoravamo insieme, che bei tempi eh?"
Vecchia Togashi: "Wow, da quanto tempo ormai abbiamo abbandonato i lavori... E dimmi, cosa avete fatto una volta là?"
Vecchio: "Siamo scesi nella cripta segreta e gli ho regalato la Spada Togashi!"
Vecchia: "... C-COOOSA!? Ma cosa ti è saltato in mente di fare!? Sai quanto sia importante quel simbolo per noi ultimi armaioli... non capisco..."
Vecchio: "Certo che non capisci. Sei una Donna, e ovvio hah, ha!"
"Rincitrullito di un vecchio bacucco! Ma perchè ho sposato proprio lui..."
"Comunque, ho deciso di affidargli quella katana non senza valide ragioni.
Primo, credo proprio che in tutta Sekigawa, siano ben pochi coloro con qualche possibilità di batterlo.
Secondo, questo ragazzo è la nostra speranza! Dopo tutti questi anni passati nell'ombra, lui, con questa spada, io credo che posso davvero riuscire a divenire luce!"
"Sei il peggior sconsiderato e impulsivo al mondo, un pessimo esempio per i nostri nipoti... però... però quando prendi decisioni così importanti, solo tu sei sempre riuscito a capire cosa era giusto per tutti. Perciò anche a me va bene. Anche io crederò in te, Takemizu."

La serata proseguì tra pietanze e sakè, riesumato per dare il benvenuto all'ospite.
A Takemizu, tacito osservatore, fu strappato qualche piccolo aneddoto sul suo passato, ma tenendo sempre molto distanti i dettagli dai fatti che narrava.
Presto si fece tardi e la stanchezza prese il sopravvento sui corpi scavati dagli anni dei due Togashi.
Takemizu si diresse, come indicato dal vecchio, nella seconda camera una volta salita la rampa di scale.
Al chiarore delle candele poste nel corridoio, riuscì a vedere due distinte fasce di segni incisi nella trave della porta dei due fratellini Togashi. Il fratello minore doveva essere davvero piccolo a giudicare dall'altezza delle incisioni. (È antica usanza giapponese fare segni su travi in legno per misurare periodiacamente l'altezza dei bambini)
Proseguendo fino alla porta della sua stanza, Takemizu scorse poco sopra le altezze dei segni visti in precedenza, inciso un nome: たけ** (Ta-ke**) con altre lettere cancellate dal tempo e dall'usura.
Non ci fece troppo caso.
Aprì la porta e si accomodò. La stanza era ben allestita e questo catturò Takemizu al punto da fargli dimenticare anche l'enigmatico nome incompleto.
Dopo tanti letti di foglie in scomodi sottoboschi, o taverne con paglia per imbottire una trave di legno marcia al posto di un vero letto; qui, finalmente, potè riposare come se il suo viaggio fosse già giunto al termine.

Il sole sorse puntuale come ogni alba.
La casa cominciò prograssivamente a ravvivarsi, con rumori e sporadiche voci lontane. La quotidianità aveva ripreso il suo incessante ripetersi.
Takemizu non era ancora sveglio. Ma tantomeno stava ancora dormendo; anche se lo aveva appena fatto con gusto, dopo giorni interminabili di necessaria semi-veglia.

Uno spiraglio della porta scorrevole in legno si aprì manualmente. Nessuno portò a termine l'apertura o volle farsi avanti.
Degli occhi erano puntati su Takemizu. Occhi guardinghi che lo analizzavano ripetutamente in ogni suo dettaglio.
Takemizu aveva imparato per crude necessità a percepire gli sguardi puntati dall'ombra, come fari di luce, su di lui. Pronti a saltargli addosso con fredde lame sguainate al fine di essere irrorate da caldo sangue.
Ma questi occhi erano molto diversi nel loro osservare, nascosti nell'ombra. Apparivano completamente estranei a Takemizu, quasi da scuoterlo più di taglienti occhi omicidi, seppur, allo stesso tempo, non scatenando in lui alcun tipo di istinto di difesa.

Aprì leggermente l'occhio in direzione del suo misterioso osservatore.
Sembrò accorgersene, ma ciò lo rese solo ancor più timido.
Takemizu, per non farlo desistere, risigillò l'occhio.
Osservata la stanza e non intenzionato a farsi sfuggire la sua preda, balzò con uno scatto sfuggente, quanto inaspettato, verso la porta, aprendola in un sol gesto.
Il geso repentino fece perdere equilibrio alla gracile preda, facendola finire con il sedere in terra. Lo sguardo del predatore appena predato, si lanciò fugacemente a cercare lo sguardo di Takemizu e, prendendo paura una volta incrociato occhi truci, si diede alla fuga senza badar ad inscenare gesti dall'efficace coordinazione.
Takemizu si portò una mano dietro il collo, con fare sospirante. Era chiaro che fosse il fratello minore tra i due ed era ancor più chiaro, tanto quanto scarsamente gradito, d'essersi accorto di incuter timore agli animi che solo innocenza hanno vissuto.

Compiuto un sonoro sbadiglio, si richiuse alle spalle la porta con l'intento di conciarsi in maniera presentabile, così da scendere ed incontrare i suoi ospitanti, al piano di sotto.

Con il suo tipico cupo tenore, di chi ha ucciso più di quanto ha visto vivere, Takemizu scese uno scalino cigolante dopo l'altro; già in veste da combattimento, pronto per eseguire le sue ordinarie commissioni.

Con il suo tipico cupo tenore, di chi ha ucciso più di quanto ha visto vivere, Takemizu scese uno scalino cigolante dopo l'altro; già in veste da combattimento, pronto per eseguire le sue ordinarie commissioni

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Takemizu, il Samurai ErranteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora