5. Il peccato del sinistro mietitore [II]

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Fleur abbracciava le sue fragilità, non cedeva al desiderio di sangue e riscatto; ormai Dio l'aveva resa come voleva che una donna fosse: remissiva.

Debole. Sottomessa a qualcuno di più grande e malvagio.

E questo le faceva schifo.

Un tempo era stata forte, abbastanza da uccidere per salvarsi. 

Era tutto buio. Sentiva le tempie pulsare per il colpo che Azael le aveva sferrato, quasi provocandole un trauma cranico, e poi l'aveva rinchiusa nel bagagliaio stretto dell'auto. Si era svegliata una volta, lì dentro, e la claustrofobia era stata soffocante. Non aveva urlato per il timore di consumare l'aria rimasta, i pensieri sfrecciavano veloci e disordinati. Il panico era più dilagante e fastidioso che mai.

Abbassò le pupille sulle sue gambe, ancorate ai piedi di una sedia di legno con delle spesse corde. Sollevò poi lo sguardo fino alle braccia, sempre intrappolate fra nodi e caos.

Cercò Azael con le iridi pallide, vetro etereo, inumidite dalle lacrime che tratteneva solo per orgoglio. Solo perché in fondo Fleur non voleva essere come Dio la voleva. Non voleva sottomettersi a nessuno. Non più, non ancora. Si era spezzata.

Doveva essere forte, combattiva. Doveva uscirne viva. 

Solo per non odiarsi ancora. 

«Perché non vuoi capirlo? Ho fatto tutto questo solo per te. Per noi.»

Azael era instabile. Lo era sempre stato, da quando era entrato in casa sua per la prima volta e sua madre le aveva detto che erano fratello e sorella, che lui era stato nella stessa pancia in cui si era formata anche lei. 

Al tempo era attaccato in modo morboso a sua madre. 

Quando non era ancora in grado di leggere, la costringeva a raccontargli le fiabe finché non si addormentava, e non le permetteva di smettere finché non scivolava nei sogni.

Poi aveva imparato a leggere da solo e sua madre si era allontanata, dava più attenzioni a Fleur e questo lo faceva stare male. Si sentiva abbandonato, inferiore rispetto a sua sorella. E così le leggeva le fiabe, ma quelle spaventose, e amava terrorizzarla, amava guardarla immersa nel buio, tremolante e traumatizzata. Distrutta e debole. 

Iniziò così ad architettare piani sempre più rancidi per farla soffrire, ormai corrotto dal sadismo. 

Uccise il gatto della mamma, una volta, e poi lasciò il coltello – e il corpo – in camera di Fleur. L'accusò e sua madre gli credette. Anche allora Fleur era troppo spaventata per affermare il contrario. Fra loro non c'era mai stata dolcezza. Azael la odiava, l'aveva sempre odiata, e al tempo stesso aveva sempre cercato di convincerla del contrario, e c'era perfino riuscito. 

Fleur era caduta troppe volte in quel tranello. Tanti anni prima scelse di cedere la sua esistenza a Dio, al rispetto di ogni comandamento, allontanandosi da ogni peccato. Smettendo di essere forte, perché era così che la Bibbia la voleva. In quel momento qualcosa si ruppe dentro di lei. Le tornò in mente la zia Marcy, lei che mai si faceva remissiva di fronte a un uomo e che, anzi, era forte, indipendente, felice e fiera di se stessa. La zia Marcy sorrideva sempre e si beava della sofferenza richiesta dai suoi schiavi, che pagavano per essere trattati male.

Secondo Dio era sbagliato che un uomo risultasse inferiore a una donna.

Per la zia Marcy no, era normale.

Per suo padre, le parole scritte sul quel libro del cazzo avevano un senso. Lui era d'accordo con quelle stronzate. Anche se era come la maggior parte dei credenti: falso, ipocrita. Pregava Dio, poi nella vita non rispettava niente e nessuno. Per questo una notte aveva picchiato sua madre così forte da ucciderla, era arrivato al punto di prendere il coltello per distruggerla. 

I peccati dei martiriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora