Capitolo 35

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Londra, Regno Unito

Passo tutto il pomeriggio, chiusa in camera, poi quando sento i tuoni di un temporale scivolo fuori dal letto. Mi metto davanti allo specchio e accendo la luce. Non trovo subito il coraggio di guardarmi attentamente allo specchio, forse per paura o per timore di vedere quello che sono diventata. Alla fine mi decido di sollevare la maglietta e di guardarmi di profilo. Il grosso cerotto nella zona pelvica si sta incominciando a scollare e mostrarmi la piccola cicatrice. Il leggero rigonfiamento nella parte bassa dell'addome è la prova della mia deficienza. Devo urlare a voce alta quelle parole ed iniziare ad affrontare un problema alla volta.

-"Sei una deficiente" dico guardandomi appena.

-"Guarda" grido. "Guarda che cosa hai combinato, con la tua voglia di aiutare gli altri" mi ripeto.

-"Cosa credevi veramente? Che Lando potesse amarti per tutta la vita?" mi urlo in faccia, esasperata. Scoppio a ridere, e rido per molto tempo. Mi arresto d'un tratto quando rimango spaventata dagli occhi con cui mi guardo. Questo che sto facendo non ha alcun senso, sto diventando pazza. Riabbasso la maglietta e mi sento improvvisamente vuota. A Silverstone avevo avuto sempre la nausea, ma ero convinta di avercela per lo spavento dell'incidente di Lando.

Inizia così la mia agonia, non ho il coraggio di chiamare Lando per raccontargli cosa mi sia successo. Incomincio realmente a pensare che tutto questo sia successo solo per colpa mia. Non ho avuto la forza e la grinta per fermare tutto quello che mi stava accadendo. Ma ogni giorno che passava io avevo bisogno di lui, dei suoi sorrisi, dei suoi baci, del suo corpo e delle sue parole prima che entrasse in pista. Delle volte mi accontentavo anche solo vederlo intorno a me.

Prendo la felpa arancione di Lando dal cassetto del mio armadio, l'aveva dimenticato una sera quando si sera fermato a dormire da me e non glielo più restituita. La stringo forte a me, immaginando di averlo accanto. Non riesco a dimenticarlo, lo amo troppo. Amo le sue le guance che arrossivano quando gli dicevo che lo amavo e quel piccolo neo vicino alla bocca. Ogni particolare è come stampato nei miei occhi, come se fosse qui accanto, invece mi ritrovo completamente sola. Lando è un ragazzo strano ma perfetto, o almeno così credevo. Era tutto quello che ogni donna avrebbe voluto, tranne quando entrava in pista. In quel caso, Lando si calava nei panni del solito ragazzo odio. Ma avevo incominciato ad accettarlo così com'era. Mi manca! Ho il suo sguardo impresso davanti ai miei occhi e ogni volta che ci penso è una sofferenza. Una terribile agonia.

Sono stata una stupida, ad anche a pensare che tra di noi ci fosse stato un amore vero e sincero.

Riuscirò mai a dimenticarlo?

Se continuerò a lavorare con la McLaren credo proprio di no. Ho riflettuto parecchio sull'argomento "Lavoro". Penso di essere arrivata alla conclusione che lascerò la McLaren. Ho solo bisogno di tempo per decidere. Questo lavoro per me è come l'aria che respiro e, devo ammetterlo, mi stavo anche ambientando piuttosto bene, ma non riuscirei più a guardare Lando con gli stessi occhi di prima.

Forse è arrivato il momento di tornare a casa, a casa in Italia. Dovrò raccontare tutto ai miei genitori, ho il timore di averli delusi, di non essere quella figlia o nipote che pensavano di avere. Essermi allontanata da loro mi fa sentire malissimo, la vita senza loro è stata più difficile di quanto pensassi.

I miei pensieri prendono una brutta direzione. Devo confessare a qualcuno quello che mi sta succedendo, perché ho il presentimento che non riuscirò ad affrontare tutta da sola. Non voglio sbagliare un'altra volta, vorrei avere un consiglio dall'unica persona che in questo momento può capirmi. Colei che non mi giudicherebbe mai: mia nonna.

Prendo il telefono sul comodino, con l'intenzione di chiamarla. Il telefono squilla due o tre volte e poi risponde.

-"Piccola mia, che ti è successo?" ha capito fin da subito che qualcosa non andava in me.

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