Quarto

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Erano passati quattro giorni da quell'incontro sconvolgente.

Non avevo fatto altro che pensare.

Non avevo dormito assolutamente nulla.

E alla fine non ci ero nemmeno stata in campagna.

Avevo passato i giorni sul divano, ignorando le telefonate dei miei genitori e dei miei amici con le scuse più assurde: "Scusa papà, sto per entrare in doccia", "Mamma, sto studiando" e così via.

Riflettevo e rimuginavo sulle parole di Andi.

Insomma, aveva detto una marea di stupidaggini, e oltre a questo non sembrava in grado di reggere un rapporto con un essere umano normale, ma su una cosa aveva ragione.

Lo zio Ilvo sapeva che sarebbe morto.

Aveva il biglietto da visita del notaio nella tasca.

Insomma, era un tipo strano certo, ma non così strano da girare equipaggiato come fosse il suo ultimo giorno di vita.

Frotte di domande si accalcavano nella mia testa.

Avevo bisogno di riordinare i pensieri.

Stavo sfogliando un album di fotografie di famiglia, quel pomeriggio. Giravo le pagine una alla volta, con delicatezza, per paura di scalfire con le mie mani quei ricordi fragili e lontani.

L'ultima fotografia mi riempì il cuore di commozione.

Ero io, da bambina, tra le braccia della nonna.

Gli stessi capelli rossi e arruffati, gli stessi occhi scuri.

Ero proprio io. Avrò avuto circa 4 anni allora, sembravamo felici.

"Cosa gli hai messo in testa a quel pazzo, nonna?"

Sorrisi.

La nonna, nella fotografia, teneva tra le mani un oggetto molto particolare, con il quale intratteneva la piccola bimba che sedeva sulle sue ginocchia. Si trattava di un grazioso carillon, che ricordava per la forma uno scrigno.

La nonna me lo aveva regalato il giorno del mio 13esimo compleanno, poco prima di lasciarci.

Era un oggetto di scarso valore: i materiali non erano affatto preziosi, il legno era consumato dall'uso. Nonostante questo, però, era la cosa più preziosa che possedessi. Lo tirai fuori dalla scatola dei ricordi, girai la piccola chiave nella serratura e lo feci suonare per un po'.

Quella canzone mi tranquillizzava sempre.

Accarezzai con le dita l'incisione che la nonna aveva fatto sul dorso: "KIM" diceva.

Anche Andi mi aveva chiamata così.

Chissà che stava facendo quel pazzo in quel momento?

No, no, basta. Non volevo saperne nulla di lui e delle sue imprese.

Cercavo di concentrarmi sul carillon quando notai qualcosa di strano. Proprio sotto l'incisione della nonna c'era un disegno, sembrava un logo.

Avevo sempre dato per scontato fosse il logo della ditta produttrice o qualcosa del genere. Ma adesso mi diceva qualcosa di nuovo.

Era un cane a tre teste. Cerbero.

Cerbero?

Non era la prima volta che sentivo il nome di quella creatura in quel periodo. Sì ma dove? A lezione, forse? In tv?

No. Ora ricordavo.

Andi, prima che lo cacciassi, parlava di una certa Compagnia di Cerbero.

Non mi ricordavo cosa fosse, non lo ascoltavo già più in quel momento.

Non poteva essere solo una coincidenza. Doveva significare qualcosa.

Ecco perché lo zio era venuto qui.

Forse voleva dirmi del carillon, della nonna, della compagnia, di tutto.

Quelle poche volte che lo avevo visto mi aveva detto che somigliavo alla nonna Pisana in maniera impressionante. Che avevo il suo stesso spirito.

Ecco perché era lì quella mattina.

Aveva scelto me. Non solo lo zio Ilvo, ma anche la nonna.

Dovevo trovare le perle, per loro.

Era giunto il momento di chiamare Marino.

Afferrai il telefono e tirai fuori dalla tasca il biglietto da visita, sul cui retro era scritto un numero di telefono. Ma non era il suo cellulare, come avevo pensato ( e come qualsiasi persona normale avrebbe pensato ), era un telefono fisso.

Digitai i numeri sul tastierino e aspettai; dall'altro capo della cornetta rispose una voce di donna con tono svogliato.

< Hotel La Marchesa, stanze di lusso, come posso esserle utile? >

< Sì, salve. Vorrei parlare con uno dei vostri ospiti >

< Temo che questo non sia possibile. Non rientra nelle mie mansioni di base >

< Vuole dire che non ha intenzione di dirmi in che stanza si trova mio marito?! >

Facevo la voce indignata e singhiozzavo di tanto in tanto, la mamma diceva sempre che se al telefono pronunci le parole "marito" e "stanza" le persone fanno quello che vuoi.

< No, certo. Mi scusi. Come si chiama suo marito? >

< Andi Marino, è lì da voi da ieri sera >

< Ma certo, guardi, il signore è già qui... signor Marino, c'è sua moglie al telefono..>

"Merda".

< Moglie? Oh. Ma certo. Mia moglie... Beh, ciao, moglie>

< Senti non rompere, ok? >

< Sapevo avresti chiamato, ma non avevo previsto il gioco di ruolo, mi piace >

< Sei assolutamente disgustoso, Sherlock >

< Sì sì d'accordo insultami quanto ti pare, rossa. Vediamoci al bar dell'hotel tra mezz'ora. Porta il carillon >

< Cosa? Come fai a sapere del...>

Troppo tardi. Aveva attaccato. 

Maledetto. 

Sapeva sempre tutto, prima di me.


CHIMERA- The last inheritanceWhere stories live. Discover now