«Che ti aspettavi?»

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«Non mi piace che hai pagato tu» dissi a Tonno appena usciti dal locale, riprendendo a camminare affiancati, non sapendo bene dove stessimo andando.

«Dai, era solo un cocktail. La prossima volta offri tu, va bene?» propose lui.

«Stai dando per scontato che ci sia una prossima volta» dissi seriamente e lui si zittì un attimo, colto alla sprovvista dal mio tono di voce. Poi vide il sorriso che spuntava dalle mie labbra e capì che stavo scherzando.

«Soccia, per un attimo ho pensato fossi seria» e mi spinse leggermente, appoggiando una mano sul mio braccio e facendomi ridere mentre sbandavo sotto la sua spinta. «Pensavo di essere stato l'unico ad essersi divertito» continuò mentre ci riavvicinavamo uno all'altro, come calamitati.

«Anch'io mi sono divertita» gli dissi, girandomi leggermente verso di lui e guardandolo dal basso verso l'alto. Le nostre braccia che si sfioravano casualmente una con l'altra mi facevano partire brividi leggeri; lui si voltò verso di me e ci guardammo per qualche secondo, con solo il rumore dei nostri passi sui sanpietrini a fare da sottofondo.

«Sai, non era la serata che mi aspettavo» commentò lui, guardandosi un attimo i piedi, poi tornò a guardare dritto davanti a sé, scrutando la strada come a capire dove stessimo andando: a nessuno dei due importava più di tanto, bastava camminare.

«Che ti aspettavi?» domandai incuriosita.

Lui scosse la testa ridendo, quasi a non voler rispondere, poi guardò la mia espressione determinata e capitolò. «Boh, sarò prevenuto, ma non mi aspettavo queste grandi conversazioni da una conosciuta in discoteca. Invece mi sono trovato davvero bene» disse. Ero contenta del mezzo complimento che mi aveva fatto ma storsi comunque il naso.

«Una che va in discoteca è per forza una ragazza noiosa e superficiale?» domandai diretta, testandolo.

Lui aprì la bocca per giustificarsi, poi la richiuse subito dopo, facendosi serio. «In effetti è quello che ho lasciato intendere. Evidentemente non è così, sono solo stupidi pregiudizi» rispose e io sorrisi; per il momento poteva bastarmi quella risposta. Risposi il mio animo femminista in un angolo – non era il caso di continuare quella conversazione al primo appuntamento – e ritornai ad un tono più leggero. «Ballare mi è sempre piaciuto, mi fa scaricare ed essere libera. Sono fin troppo seria e impegnata nella vita di tutti i giorni, ho bisogno di una valvola di sfogo ogni tanto».

«Fai bene, tutti abbiamo bisogno di una valvola di sfogo. Anche noi a Space Valley ogni tanto stacchiamo la testa e ci sfoghiamo in qualche modo, ne abbiamo bisogno».

«Tipo Dario che fa il pazzo o Cesare e Nicolas che fanno la lotta di continuo» commentai ridendo e lui mi diede ragione, facendomi capire che avevo colto il senso delle sue parole.

Parlammo per un po' degli altri ragazzi, del suo lavoro e di come era contento di tutti i progressi che avevano fatto in così poco tempo. Mi accorsi che a furia di chiacchierare e camminare eravamo arrivati nella strada dove avevo parcheggiato la macchina e infatti vidi la vidi poco più avanti, una macchia rossa in mezzo a tante macchie grigie e nere.

«Quella è la mia macchina» gli dissi, indicandola con la mano, poi controllai l'ora: era quasi l'1 e mezza. La serata sembrava essere volata e avrei voluto continuare a parlare con lui tutta notte ma forse era il caso di rientrare: se anche mi avessero fermato, dell'alcol che avevo assunto ormai ore prima non era rimasta traccia.

Lui si ammutolì finché non ci fermammo di fianco alla mia automobile, e io mi girai completamente verso di lui, dando le spalle alla portiera, pronta a salutarci.

«Sono stato davvero bene stasera» mi disse di nuovo; ero sicura che quella frase fosse già uscita dalle sue labbra poco prima e sorrisi, notando l'imbarazzo che si era impossessato di lui. I saluti finali non erano mai piaciuti nemmeno a me.

Bravery [Francesco Toneatti]Onde histórias criam vida. Descubra agora