Capitolo 6: Il dolore della solitudine

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Quando mi risvegliai ero fuori dall'edificio.
Era andato distrutto e tutto era avvolto nelle fiamme.
Doc non c'era, era morto per davvero.
Alzai lo sguardo e vidi una pistola puntata contro di me: era Reda.

R:"Chi cazzo sei davvero?!"

Z:"cosa è successo?"

R:"È successo che tu sei uno di loro, ecco perché volevi salvare la ragazza."

Ero steso a terra, poggiando la mia schiena contro un muro, tutto intorno a me era devastato dal fuoco.
Alla mia sinistra c'era anche Astra, che ascoltava intimidita le parole di Reda.

Jaker intervenne cercando di placare i roventi spiriti.

J:"Calmatevi tutti, ci sarà una spiegazione logica a questo, deve..."

La ragazza dai capelli rossi, ormai ricolma di rabbia non fece nemmeno finire di parlare Jaker.

R:"La spiegazione me la darà questo bastardo, altrimenti gli pianto una pallottola in testa, a lui e alla sua amica corrotta.
Come posso aver fiducia di qualcuno che è mio nemico."

In quel momento capii ciò che si era verificato. Era il momento di raccontare il mio oscuro passato. Ciò che ha dato vita alla mia solitudine.

Z:"Se vuoi spiegazioni te le darò, ti prego solo di non perdere la fiducia in me e nelle mie parole."

R:"Dimostrami di meritarla."

Z:"Si è risvegliato dal suo sonno, è già accaduto una volta in passato.
Ti dirò quello che so, molte cose sono avvolte nel mistero anche per me."

Reda abbassò l'arma ma i suoi occhi esprimevano ancora la rabbia e il dolore di un tradimento.
Dovevo raccontarle quello che mi aveva portato a lottare, da dove nascesse la mia solitudine.

(10 anni prima)

Stavo tornando a casa, era quasi sera, mamma mi aveva detto di non fare tardi ma giocare con gli amici era così divertente che avevo perso la cognizione del tempo.
Arrivai a casa e urlai:

"Maaaammaaa apriii!"

"Zek, lo sai che è tardi per un bambino di dieci anni tornare a quest'ora?"

"Uffa, è quasi il tramonto e non sono più un bimbo!" Urlai seccato.

Mia madre scosse la testa e mi disse disse che la cena era quasi pronta.
Entrai, correndo per il lungo corridoio di casa e scivolando sulle assi di legno.

Mi precipitai in cucina per controllare se papà fosse arrivato, ma a quanto pare avrei dovuto attendere ancora un po'.
Mamma stava finendo di tagliare le verdure, i suoi capelli marrone scuro erano raccolti in una coda, il suo sorriso mi rassicurava tanto.
L'abbracciai, le volevo davvero bene.
Poco dopo tornò anche papà, era un'uomo forte e coraggioso, la sua mano mi trasmetteva sicurezza e ogni volta che avevo paura correvo da lui.

"Cara è pronto?" Disse papà
"Si vieni, è ancora caldo." Rispose la mamma.

La mia vita era allegra, potermi riunire al tavolo con i miei genitori mi rendeva molto felice, mi faceva sentire amato.
La famiglia era la cosa più bella che avevo.

Tuttavia quella sera tutto sarebbe cambiato.
Tornai in camera mia, mi misi sotto le coperte ignaro dell'incombente pericolo.
Mentre stavo per addormentarmi le sirene iniziarono a suonare, eravamo sott'attacco.
Le creature avevano invaso la città, sentivo spari, urla. Avevo tanta paura.

Mi alzai dal letto di scatto, sentivo dei passi fuori la porta socchiusa della mia camera, mi avvicinai per aprire i miei genitori ma non trovai loro.
Orrendi occhi rossi mi fissavano squadrandomi dall'alto in basso.
Caddi a terra e indietreggiai terrorizzato.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo da lui, i miei occhi lo puntavano sbarrati, pieni di timore.
Due creature sgattaiolarono ai suoi lati, sembravano lucertole coperte di spine, grigio scuro e dalle venature rosse accese.
Il taken mi prese per il collo e iniziò a strangolarmi, scrutando la mia anima.
Sentii i miei genitori urlare, dire che ormai ero già morto, non potevano salvarmi.
Intanto il mio respiro diventava più affannoso, sentivo i miei polmoni bruciare per l'assenza d'ossigeno.
Anche la mia coscienza sembrava svanire, perdersi nel nulla

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