• 𝒂𝒔𝒍𝒆𝒆𝒑 •

211 19 18
                                    

71 chilometri orari.

Era bastato un solo sguardo al tachimetro del suo scooter e un sorriso fiero si era disegnato sul volto ancora un po' fanciullesco di Michael, il quale si trovava sulla strada del ritorno verso casa dopo gli estenuanti allenamenti di basket.

Era stanco morto, eppure quella sera Michael sfrecciava sull'asfalto sconnesso di quella strada deserta.
Si era allenato fino a tardi con James,  il suo migliore amico, un ragazzo alto e slanciato che prendeva latte e sarcasmo alla mattina.
Avevano passato ore a contendersi e a sottrarsi il vecchio pallone arancio sporco della scuola, correndo verso il canestro, provando ogni tipo di tiro e tornando a sentirsi come alla prima partita in seconda elementare ogni volta che segnavano un punto.
Si erano fermati solo quando il custode, un uomo calvo e tozzo sulla cinquantina, non era stato costretto a cacciarli, minacciandoli con una mazza di un qualche giocatore della squadra di baseball della scuola.
A quel punto avevano deciso che forse sarebbe stato meglio tornare a casa, se non volevano ritrovarsi pieni di denunce di smarrimento da parte delle loro povere madri.

La luce dei fari dello scooter rifletteva strani colori violacei sull'asfalto, frutto delle goccioline di umidità di quella lunga giornata autunnale.
Il vento accarezzava il volto del ragazzo, gonfiandogli la giacca larga, di due taglie più grandi, che si ostinava a tenere aperta anche quando la temperatura era al limite dello zero.
In quel momento, l'unico fastidio che lo riportava alla realtà era la cinghia del casco, che gli premeva sotto il mento procurandogli un leggero prurito. Forse avrebbe dovuto prendere un nuovo casco, dal momento che quello che aveva era ormai pieno di graffi e perdeva i pezzi della vernice spray che Michael aveva tentato di fissare in preda ad un repentino cambio di stile.

Un solo attimo.

I fari abbaglianti del veicolo che lo accecavano.
L'urlo acuto dei freni.
Un tonfo sordo.
Il rumore di un veicolo che si accartocciava su un altro.
Le foglie secche che si sgretolavano sotto il suo peso.

La Luna illuminava le pupille di Michael con la sua luce biancastra e gentile, colorando la pelle del ragazzo di uno strano colore argenteo.

Michael non sentiva niente, se non l'aria fredda e cristallina che gli faceva pizzicare piacevolmente il  naso, mista all'odore del terreno umido che gli ricordò le notti passate in tenda.

Non si era mai fermato a guardare la Luna.

E mentre il terreno sotto di lui si dipingeva di cremisi, Michael si lasciava cullare dalla luce fredda e sbiadita della Luna, che lo guardava con tutte le sue cicatrici.

Allora si fece notte.

Si svegliò, infastidito da una luce fin troppo forte che penetrava e si insinuava nelle palpebre chiuse.
Aprì gli occhi a fatica cercando di inquadrare il luogo in cui si trovava.
Una stanza enorme e maestosa lo travolse facendolo sentire tremendamente piccolo e impotente.

Il soffitto era di un bianco infinito.
Michael lo osservò per diversi minuti.
Lo contemplò cercando di stimarne l'altezza, ma fu un tentativo pressoché inutile.
Si alzò a sedere stringendosi nelle spalle, scosso da un brivido.

In realtà non sentiva freddo, neppure caldo, era quella stanza a trasmettere un senso di gelido e di vuoto infinito.

In realtà non sentiva nulla.
Solo un rumore lontano e persistente a cui non sapeva dare alcuna origine.
Era semplicemente ovunque.

Esaminò il materasso bianco su cui si trovava, senza però riuscire a stabilire se fosse comodo o meno.
Alzò lo sguardo guardandosi intorno.
La stanza in cui si trovava era di un bianco accecante, nonostante non fosse presente alcuna finestra o alcun interruttore in grado di emettere una luce del genere.
La camera presentava una sola porta in rovere antico e ormai spento, con un pomello di un bronzo lucido che rifletteva il bagliore di quella luce assordante.

• 𝒂𝒔𝒍𝒆𝒆𝒑 • [𝚘𝚗𝚎𝚜𝚑𝚘𝚝]Where stories live. Discover now