Il nostro capolinea

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Nell'attonita incredulità con cui rimasi a guardarlo, io avvertii un gelo dissacrante inerpicarsi sulle mie spalle. Si espanse lentamente, fibra dopo fibra, vibrando piano nelle mie ossa fragili.

Prima che me ne rendessi conto mi aveva già fatto sua schiava.

Mi fermai sui miei passi, terrificata, e nel panico turbolento che sentii dipanarsi nell'aria persino il mio sangue iniziò a ribollire, bruciandomi nelle vene.

Mio padre era immobile sulla soglia del locale. Si guardava intorno col naso all'insù, curioso, ma i miei occhi scorsero nell'immediato la familiare tensione del suo corpo, quella a lui connaturata, che non lo avrebbe abbandonato mai. Sembrava...concitato.

Se ne stava lì, cauto, studiando gli spigoli del Red Lion come se volesse ripercorrerne le membrature, una ad una - e un attimo dopo, quando abbassò piano il mento e drizzò lo sguardo di fronte a sé, i suoi occhi si incagliarono nei miei senza che avessero bisogno di cercare oltre.

Fu come se tutto quel tempo non fosse mai passato. Fu come se, nel momento in cui i nostri occhi si riconobbero, io fossi tornata indietro, a Londra, nella sua prigione di cristallo.

Avvertii la stessa, medesima cedevolezza. Nonostante la distanza mi impedisse di distinguerne le sfaccettature, la potenza espressiva del suo sguardo parve inchiodarmi alla parete.

E soltanto quando le mie percezioni si allargano stentatamente io potei udire di nuovo i suoni della vita che intorno a noi non si era mai interrotta.

Il locale giaceva in un silenzio privo di sfumature. Sbattei le palpebre un paio di volte, tremula e accaldata nella mia fragilità, e solo allora mi resi conto che tutti gli occhi dei presenti erano fissi sulla mia figura.

Ansimai, preda di emozioni fagocitanti, e solo allora il vuoto tra i miei palmi parve pesare come un macigno. Abbassai lo sguardo lentamente, goffa, e in quel mare di nebbie scorsi a terra ciò che restava della bottiglia di Rum che lo shock mi aveva strappato via di mano.

In quei cocci infranti scorsi il riflesso dei miei occhi e la nota di cruda incredulità che li fagocitava, ed erano tuoni e lampi, lacrime di ricordi ancora incagliati nella zona più buia e recondita della mia psiche.

Mi portai le mani tra i capelli e mi piegai di schianto sulle ginocchia, non riuscendo ad impedirmi di chiedere scusa ancora una volta.

«M-mi dispiace...non so cosa mi è preso» soffiai tra labbra tremule, e Thomas venne in mio soccorso afferrandomi per i polsi così da impedirmi di raccogliere i vetri rotti con le mani nude.

«Cosa fai? Così rischi di tagliarti.»

«Scusami, non so davvero cosa dire-» mormorai, rizzandomi in piedi su gambe di gelatina. La sua presa si dissolse fiaccamente, abbandonando la mia pelle in uno strascichio stentato.

«Non importa...me ne occupo io.»

Lui scosse un poco la testa, ma la rigidità delle sue braccia tradiva una palese irritazione. E quella tempesta emotiva mi gettò in pasto ad un panico che non conosceva pietà o indulgenza, procurandomi lacrime e calore.

Nella frenesia che sentii irradiarsi nelle mie vene io mi allontanai in fretta verso Tom, che fermo dietro alla cassa aveva già gli occhi fissi su di me. Nel suo sguardo scorsi una premura paterna che non meritavo di ricevere, ma ignorando i richiami della ragione gli gettai le braccia al collo e sussurrai freneticamente mio padre è qui, mio padre è qui, e la mia voce era tanto pregna di disperazione che io stessa mi percepii come una bambina.

Le sue mani mapparono la mia schiena inarcata senza esitazione. Avvertii i suoi muscoli irrigidirsi oltre la barriera dei vestiti, e in un attimo di confusione lui cercò nel mio sguardo tracce di ragionevolezza.

sangue nell'acqua [hs]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora