Almeno è stato un mio errore

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Almeno è stato un mio errore
- Gabrielle Aplin

Si può notare al di fuori della vetrata, una coltre di alberi a delimitare il perimetro limitrofo della costruzione

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Si può notare al di fuori della vetrata, una coltre di alberi a delimitare il perimetro limitrofo della costruzione. Volgo a contemplare i dettagli più disparati, assorta a dissimilare la visione di Jason, Judith, e gli spogliatoi.

«Ripartendo dalla scorsa lezione, vorrei quindi continuare a sezionare le fisiologia dei batteri». Il mio udito annuisce alla voce di Mr. Croft, l'amaro diventato crudo, assicurandomi un'impresa per le ore successive di educazione fisica, gli armadietti torturatori, la panca di legno, la luce a filtrare dalla finestrella a soffitto.
Ripeto in mia ammenda: avrei voluto saltarle, le lezioni.

E abbocca all'amo ancora, l'amaro. Abbocca la sera precedente, la dolcezza con la quale Jason si è portato via tutto di me, con la quale mi ha asciugato una lacrima a sdrucciolare dal viso, io, a sentirmi parte di un'unica unione rivelata fandonia.
Io, ad aver perso la verginità con un ragazzo che ha una lista delle prime volte prese, ma che non ho voluto mettermi a leggere.

Affianco a me, Olivia è persa a sottolineare il naso di una mucca stampata al capitolo in studio, si annoia visibilmente, esibendosi in sbadigli, lancia mine sotto i miei rimproveri paraverbali.
A quanto pare, persino le occhiate di ammonizione riservatele, rendono meno.

«Cos'hai intenzione di fare?» Bisbiglia sporgendosi verso il mio lato, l'animale fotocopiato a ricevere un altro flagellamento.

Ogni giorno, una coltellata al cuore, oggi la prima, crudele.
Rimpiango Magda. La posso vedere, in un futuro schietto: mani puntate contro i fianchi abbondanti, grembiule, legati i capelli, a tirarsi su gli occhiali sopra il ponte del naso.
Già immagino i "te l'avevo detto".
E poche volte, nel corso di lunghi e provvidenti 17 anni, li ho presi in custodia, i suoi te l'avevo detto.

«Lascerò correre, e basta». Sussurro.

«Fa male, quello che hai visto?»
Non le rispondo subito, mi immergo in me, riflessiva. La domanda m'inquieta nel tentare di ascoltare la voce monotona del professore, persa da una quarantina di minuti orsono.

Il vento di fine Aprile accarezza il manto erboso, prato destinato, nei mesi più afosi, agli eventi ricreativi, puntellato da cestini e tavoli ecologici, sottolineando l'essere stesso della struttura, in linea cogli ultimi parametri varati dalla Contea.

"L'Ecologia è il vostro futuro."

Una foglia si stacca, oscillando via dal padre albero, è rinsecchita, grigia, malata.
Sta morendo, un membro della flora piccolo, innocente, che a primavera dovrebbe nascere, e si vede perire.
Mi domando se a lei importi dell'ecologia, perché si affloscia, anche se c'è l'ecologia.

«Si, fa male, Ol. Ma andrò avanti, non posso piangerci sopra».

Non sono mai piaciute a nessuno le autocommiserazioni.

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