Guardai mia madre confusa, dopo che mio padre si era zittito, concentrato sui suoi pensieri. Volevano parlare di me e Aiden? Se gli avessi detto che non c'era più un me e Aiden probabilmente avrebbero fatto i salti di gioia.

- Be', tesoro, anch'io ero a conoscenza di tutto questo - continuò finalmente mio padre, facendo una piccola pausa per lasciarmi metabolizzare. Con la testa in fiamme era ancora più complicato decifrare le sue parole.

- Finora abbiamo deciso di non dirtelo perché non eri abbastanza adulta da capire certe cose, ma hai quasi diciotto anni ed è ora che tu sappia -.

- Sapere cosa? -.

Mia madre mi sorrise per rassicurarmi, ma mio padre continuava a mantenere la sua ombra di serietà mentre parlava. Parlarmi gli stava costando uno sforzo immane, ma nulla paragonato al mio nel tentativo di capire.

- Cosa devo sapere? - lo incitai in tono pacato.

- Da circa dieci anni lavoro per l'FBI, ma non in incognito come gli Hale. Il mio lavoro ha a che fare con la rete, i localizzatori, rintracciare la gente, i loro spostamenti... - disse tutto d'un fiato, per poi scambiate uno sguardo con mia madre - Non pretendo che tu capisca e so che hai bisogno di tempo per pensare -.

Anch'io mi ritrovai a guardare mia madre, sentendomi la vittima di un pessimo scherzo.

- Non... non capisco - balbettai.

Mio padre sorrise, spostandosi accanto a me e poggiandomi una mano sulla schiena per consolarmi e allo stesso tempo infondermi un po' di coraggio. La donna di fronte a me sorrise rassicurante.

- Quindi sapevate chi erano fin dal primo giorno che sono venuti a vivere qui? -.

- Sì. E quando tu e Aiden siete diventati amici temevamo che potesse farsi scappare qualcosa -.

Tutti i fili si stavano intrecciando e mettendo al loro posto. Nella mia mente adesso tutto aveva un ordine e, se da una parte mi sentivo sconvolta per tutto quello che avevo scoperto in meno di ventiquattr'ore, dall'altro era come se anch'io avessi trovato il mio posto.

I miei genitori mi soffocarono in un abbraccio e io mi lasciai cullare.

***

Rimisi gli ultimi vestiti al loro posto dentro l'armadio e chiusi l'anta. Si erano fatte quasi le otto di sera e mia madre stava preparando la cena, mentre io avevo deciso di mettere in ordine la mia camera per tenermi occupata ed evitare di pensare troppo. Il che non era affatto facile, considerando che bastava voltarmi ogni due per tre e vedere la finestra di Aiden. Sarebbe stato lì ancora per poco, poi sarebbe tornato a Chicago.

Feci qualche passo verso la scrivania per prendere il telefono e rispondere ai messaggi di Bryan e Lisa, che stavano riempendo la chat di gruppo di meme. Mi limitai a qualche faccina sorridente e, notando due chiamate perse di Dylan, gli scrissi per dirgli che non avevo sentito il cellulare squillare.

Volevo sapere come stai.

Immaginavo. Presi un sospiro.

Bene.

Alzai il volume della musica e capovolsi il telefono così non vedere più le notifiche sullo schermo. Guardai alla mia destra, verso la finestra aperta con le tende scostate. Si stava benissimo fuori. L'aria era calda, ma non era ancora sul punto di appiccicarsi addosso o soffocarti. Forse il tempo fuori era l'unica cosa che quel giorno mi aveva resa felice.

Come la peceWhere stories live. Discover now