Parte 18 - Il figlio di Ade

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Il cielo pareva grondare sangue. Koros e gli uomini non avevano mai visto un tramonto tanto intenso, privo dei toni rosati che di solito accompagnavano dolcemente la discesa del carro del sole e la comparsa di Selene, la luna.

Koros non riuscì a trattenere un sorriso, mentre seduto sui gradoni del tempio di Apollo assisteva a quello spettacolo. Il dio del sole doveva essere ancora tremendamente arrabbiato con lui e con Zeus, che per punizione si era rifiutato di far tornare normali le sue mani per alcuni giorni, e adesso guidava il carro in modo malfermo, facendo calare il sole ancora prima del necessario. Inoltre, per non urtare Demetra, Zeus gli aveva imposto di non cacciare Koros dal suo tempio.

Koros si alzò, deciso a passeggiare alla luce candida della luna. Gli ultimi eventi e il potere che aveva scoperto di avere lo turbavano. Era come se, pur non avendo ufficialmente celebrato le nozze con Ade, avesse assorbito, attraverso l'amore che si erano scambiati, parte dei poteri che spettavano al suo sposo legittimo E poi, gli tornavano in mente le parole di Apollo.

Impossibile, aveva detto il dio a proposito di una gravidanza causata da Ade. Koros si svegliava ogni mattina con la speranza di sentire qualcosa muoversi nel suo ventre, un segno qualsiasi che il figlio di Ade cresceva dentro di lui, ma ogni mattina la delusione lo travolgeva. Si inoltrò in un boschetto, mentre i pensieri affollavano la sua mente. Pensava ad Ade, a come si sentiva in quel momento nella solitudine in cui si era arroccato.

Sotto i suoi sandali sentì l'erba tenera che saliva fino ad avvolgergli le caviglie, inspirò il profumo della notte, quello dei fiori che preferivano il buio per sbocciare, e si accorse che lui stesso era diventato come loro. La luce gli ricordava la delusione che Apollo gli aveva inflitto e l'amore di Ade che gli era negato. Si pentiva di non avergli detto subito di sì, che desiderava essere il suo sposo e se e infischiava se gli uomini morivano di fame.

Il gorgoglio di un ruscello lo attirò. Il profumo di erba si fece più forte. Percepiva la menta, il basilico, poi un lieve odore di papavero, ma non era intenso come quello emanato da Ade. Accelerò in ogni caso il passo, ansioso di capire chi fosse la fonte di quell'effluvio.

La veste nera di Ecate si confondeva nel buio della notte. I raggi candidi della luna la facevano sembrare morbida come il velluto e si riverberavano sul suo fermaglio di madreperla. I capelli scuri che le scendevano sulle spalle parevano un manto di seta.

«Ti aspettavo», disse Ecate con voce carezzevole. Poi sistemò nella sua cesta le radici e le erbe che aveva raccolto.

Koros le si avvicinò. Incrociò i suoi occhi neri, inaccessibili come le profondità più oscure del mare e della terra. «Ti invoco quando ho bisogno di te e tu ci sei sempre, te ne sono grato».

«Ti aiuto solo a ritrovare la potenza che spetta allo sposo legittimo di Ade».

«Eppure le nozze non sono mai state celebrate».

Un lampo malizioso baluginò negli occhi di lei. «Ma sono state ben consumate. Non ti sbagliare, però. Non è l'atto in sé, ma l'amore che lui ci ha messo a sancire il vostro legame. Se così non fosse una schiera di concubini andrebbe in giro a pietrificare chi è loro inviso».

Koros dominò la gelosia. Il cuore nel suo petto aveva sussultato all'idea di essere amato da Ade. Ecate sapeva leggere nell'animo degli dei e degli uomini, e le sue parole spazzavano via i dubbi che si erano fatti giorno dopo giorno più radi. «Credi che mi ami? Che non sia stato per lui solo un capriccio, come Menta, come gli altri?»

Ecate scosse la testa. «Conosco bene i capricci di Ade e tu non rientri tra questi».

Koros le si avvicinò, la luna accarezzava il volto pallido della dea, l'imperscrutabilità della sua espressione. Koros le prese una mano e lei glielo lasciò fare. La posò sul suo ventre. «Puoi dirmi se sta crescendo il frutto del nostro amore?», le domandò il giovane, la voce colma di speranza. Voleva che lei lo rassicurasse, che spazzasse via le parole di Apollo, il riso di scherno con il quale gli aveva fatto intendere che mai nessun figlio di Ade poteva crescere nel suo ventre.

Ecate ritirò la mano. «Impossibile», rispose, usando le identiche parole di Apollo che gelarono il cuore di Koros.

Il giovane sentì gli occhi inumidirsi. Senza un bambino sua madre non si sarebbe mai convinta a lasciarlo andare né Ade avrebbe accettato di riprenderlo. Il dio era stato chiaro: il suo amore era diventato tale da non ammettere egoismi. Ade era pronto all'ennesimo sacrificio per salvare gli uomini e per allontanare da Koros il senso di colpa per le conseguenze dell'ira di Demetra.

«Non disperare», lo riscosse Ecate. «Sappi, però, che nel mondo dei morti niente può essere generato. Gli Inferi tutto accolgono, ma da essi nulla esce».

«Tu puoi aiutarmi?» Gli occhi di Koros si spostarono sulla sua cesta, sulle erbe e le radici che simboleggiavano le arti magiche della dea, la sapienza ancestrale che poteva dare e togliere la vita. Koros si scoprì disposto a tutto pur di ricomporre il conflitto che agitava il suo animo, quello tra la madre Demetra e il dio che gli aveva fatto conoscere l'amore.

«Posso aiutarti, ma non come credi. C'è un modo per ottenere ciò che vuoi e che anche Ade vuole. Dovresti vederlo in questi giorni... è più cupo del solito, persino le anime hanno il terrore di supplicarlo». Ecate si chinò per raccogliere qualcos'altro che i raggi della luna avevano illuminato e che era necessario per le sue arti. Si divertiva a tenere il giovane sulle spine.

«E come puoi aiutarmi? Ti prego, Ecate, dimmelo».

Ecate tornò a fissarlo negli occhi. Koros pensò che a chiunque quello sguardo avrebbe fatto paura, tanto era diverso da quello delle altre divinità, ma a lui, invece, trasmetteva fiducia, appena macchiata dall'impazienza di ascoltarla. Si domandò se questo non significasse che ormai anche lui era parte del mondo sotterraneo che Demetra tanto temeva. Forse, lo era sempre stato ed era per questo che sua madre per tutta la vita aveva tentato di proteggerlo, per non perderlo.

«Sei stato bravo con Apollo», riprese Ecate.

Lui si spazientì. «Ecate...»

Il tono più duro la indusse a finirla con i suoi giochetti. Koros, pur con la sua bellezza delicata, aveva assunto un atteggiamento regale che fu sufficiente a scuoterla.

«Va bene, adesso ti dico quello che è necessario fare per legarti per sempre a lui e smuovere tanto il suo orgoglio quanto quello di Demetra. Dovrai congiungerti a lui alla luce del sole, lontano dalle profondità degli Inferi. Ricorda, però, che non potrai farlo con l'inganno. Ade dovrà accettare e sapere ciò che sarete sul punto di fare».

«Credo sarà la parte più difficile».

«La prima cosa è farlo uscire dal suo regno in modo che ti raggiunga. Potrei aiutarti, ma se ho imparato a conoscerti immagino che avrai portato con te i frutti del melograno. Il resto, spero, lo farà la tua eloquenza».

Ecate sistemò ciò che aveva raccolto nella cesta e tirò su il cappuccio del suo mantello per coprirsi il capo. Senza dire un'altra parola si inoltrò nelle profondità del bosco.

Koros udì i suoi passi allontanarsi sull'erba fino a quando non tornò il silenzio. Le melagrane erano al sicuro nella sua stanza, conservate in un'anfora a cui nessuno badava. Tornò in fretta al tempio, sicuro di non vedere Apollo che, dopo gli ultimi avvenimenti, preferiva evitarlo.

Sulle colonne ondeggiavano le fiamme delle torce, che illuminavano a giorno l'ambiente. Nel tempio di Apollo non doveva mai entrare il buio. Koros raggiunse l'anfora e recuperò la melagrana. Con avidità la sgranò e ne mangiò un chicco.

Ade (gay version)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora