Parte 5 - Ecate

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La sete e la fame avevano avuto la meglio. Dopo una notte insonne, trascorsa a tendere l'orecchio verso la porta, in attesa di udire il temuto passo di Ade, Koros si era deciso a consumare le focacce e a bere il nettare divino dell'ambrosia. Il cibo era stato sufficiente a ridargli le forze, ma niente poteva davvero rinfrancarlo.

La stanza era spaziosa, il talamo comodo, ma era comunque una prigione dalla quale desiderava uscire. Si fece coraggio e aprì la porta. Ade non gli aveva vietato di andare in giro da solo o forse lo aveva ritenuto troppo codardo per farlo.

Koros mosse i primi passi nel corridoio, alle cui pareti erano appese le torce. Ne prese una, timoroso di trovarsi senza preavviso al buio. Del regno di Ade e del suo padrone non si fidava. Ripensò al dialogo che avevano avuto la notte precedente, lo sguardo offeso del dio quando lui gli aveva detto di meritarsi la solitudine. Non avrebbe mai detto a nessuno una frase tanto cattiva, ma Ade lo aveva rapito, probabilmente lo aveva seguito fin dall'incontro al lago Pergusa e adesso cosa pretendeva? Che fosse gentile con lui?

Man mano che Koros si inoltrava nei corridoi sentiva straziante la nostalgia della piana di Nisa, di Ciane, di sua madre. Più affondava tra le nebbie del Tartaro più gli mancava la luce del sole, il suo calore sulla pelle, il profumo dei fiori. L'odore dei papaveri ne era un pallido riflesso, ma a Koros sembrava ancora di sentire tra le dita la morbidezza dei petali delle rose e di quel magnifico narciso che stava raccogliendo nel momento in cui le acque del lago si erano squarciate per rivelare il carro dorato di Ade.

Si tenne lontano dal pioppo bianco, sia per timore di Cerbero, sia per non sentire i lamenti delle anime che si avvicinavano. Preferì svoltare verso le valli, desolate e silenziose. Una lacrima bagnò il suo viso. Non riusciva a rassegnarsi all'idea di aver perso tutto ciò che conosceva. Come era stato stupido a domandarsi cosa fosse la passione. Adesso sapeva che la passione era come un veleno che distrugge uomini e dei. Lui non ne aveva bisogno. Con tutte le sue forze avrebbe rispettato il voto fatto ad Artemide. Il suo grembo sarebbe rimasto privo del seme divino e dell'amore.

Si accoccolò sul limitare di una delle valli. Osservò i movimenti della nebbia, i punti in cui ondeggiava lattiginosa e gli altri dove era più densa e impenetrabile alla luce. Un fruscio lo riscosse. Sperò per un attimo che fosse una figura famigliare, ma quando si voltò la speranza morì nel suo cuore. In piedi stava una figura femminile vestita di nero, i capelli dello stesso colore, acconciati in un fermaglio a forma di mezzaluna. Gli occhi scuri di lei lo scrutarono, poi un lieve sorriso increspò le sue labbra rosse come ciliegie, macchia di colore sulla sua pelle diafana.

«Mi avevano detto che eri bello, ma non immaginavo tanto», disse con voce calma. «Non mi riconosci? Possibile che il figlio di una dea non riconosca chi occupa un posto nell'Olimpo?» Scosse la testa. «Lascia stare, sono certa che Artemide e Demetra non gradiscano che tu faccia amicizia con i cattivi. Sono Ecate, la dea che passa dal regno dei morti a quello dei vivi con uno schiocco di dita, forse è questo che invidiano di me le altre».

«Ignoro come chiunque possa scegliere volontariamente di mettere piede in questo regno», sibilò Koros. Se doveva stare lì con la forza, allora non avrebbe trattenuto la lingua.

«Che caratterino», commentò lei. «Ade è un gentiluomo, nonostante se ne parli così male lassù».

«E perché non diventi tu sua sposa?»

Gli occhi di Ecate si strinsero, quasi a divenire una fessura. «Ade vuole te, e, inoltre, io ho ben altro da fare».

«Siete d'accordo tu e lui... e poi ti domandi perché gli altri dei vi evitino. Quanti altri ne ha rapiti come me?» Che fine li ha fatto fare?, avrebbe voluto domandare, ma gli mancò il coraggio.

Una folata di vento smosse la nebbia. Ecate ne fu avvolta per un momento, e Koros ebbe paura della forza che la dea emanava. Gli parve di vedere la mezzaluna illuminarsi tra la nebbia che circondava entrambi. Poi la figura di Ecate emerse più nitida. Gli occhi avevano assunto un'espressione amichevole, sebbene un po' irritata.

«Capisco che tu sia spaventato, ma non hai ragione di esserlo. Quanti ne ha rapiti Ade, mi chiedi? Nessuno, al contrario di Zeus e Apollo. Sopporta da secoli una fama immeritata di dio spietato, eppure tutti fanno finta di non sapere perché gli è toccato in sorte questo regno. Lo ha scelto lui, a malincuore, per evitare una nuova guerra fratricida con Zeus e Poseidone. Nessuno di loro due avrebbe ceduto né accettato di vivere quaggiù. Ma Ade lo ha fatto e solo per generosità. Forse credeva di non meritare di meglio, chi lo sa? Aveva dimenticato cosa fossero i sentimenti che ci accomunano ai vivi fino a quando non ha incrociato i tuoi occhi ai piedi dell'Etna. Afrodite ed Eros lo hanno punito, chissà per cosa».

Koros rimase colpito dalle sue parole accorate, da una parte di storia che gli avevano sempre tenuto nascosta. Immaginava che fosse per quello che Zeus non aveva potuto rifiutare ad Ade il suo consenso al rapimento, ma si sentiva ugualmente venduto, una vittima che non aveva voce in capitolo nelle beghe tra gli dei, come il più miserabile umano.

Ecate proseguì: «Questo posto non è tanto male, se impari a conoscerlo. È esaltante avere il potere sulle vite degli uomini. Tutti devono passare da qui, per questo Ade è chiamato colui che tutti accoglie».

«Risparmiami l'elenco dei suoi epiteti, per favore», replicò Koros, ancora furioso.

Ecate sorrise, si scostò un ciuffo di capelli ricadutole sulla fronte. «Mi piaci, Koros. Se accetti di rassegnarti al tuo destino, ti insegnerò le arti magiche, poteri che gli altri dei mi invidiano. Lo sposo di Ade può fare molto. Vediamo...», sembrò perdersi in una riflessione, alla ricerca del potere che avrebbe maggiormente impressionato un giovane ribelle come Koros, «ad esempio, avesti il potere di pietrificare chiunque ti sia inviso, come una Medusa».

Suo malgrado un sorriso ironico si dipinse sulle labbra di Koros. «Anche te?»

Ecate non fece in tempo a rispondere, ma i suoi occhi esprimevano la felicità di aver trovato un suo pari e non soltanto un giovane impaurito. Alle spalle di Koros si era materializzato Ade.

Il giovane percepì il suo odore ancor prima di voltarsi. Sentì il petto solido del dio  contro la sua schiena.

«Cosa ci fai qui?», domandò Ade, il tono cupo come al solito.

Koros si voltò lentamente. Non aveva intenzione di cedere alla paura, nonostante sentisse il cuore lacerarsi nel petto. Si sorprese per il senso di colpa al ricordo di quello che aveva detto ad Ade il primo giorno: «Meriti di rimanere solo». Adesso sapeva che quella di Ade era stata una scelta generosa. Respinse il rigurgito di pietà nei suoi confronti in un angolo del suo cuore. Non aveva tempo per quello. Forse, l'unica soluzione era irritare Ade talmente tanto, che lui stesso lo avrebbe rispedito in superficie.

Si sforzò di assumere un'aria di sfida. «Il tuo sposo deve rimare relegato in una stanza?», domandò.

Ade corrugò la fronte. «Al mio sposo riservo molte attenzioni», una mano scivolò sul fianco di Koros, «ma ieri non sembravi interessato a conoscere quali fossero».

Koros maledisse se stesso. Aveva trovato il calore della mano di Ade sul suo fianco piacevole. Gli afferrò il polso. «Hai detto che non mi avresti toccato», gli ricordò.

Ade sollevò la mano, gli occhi neri sconsolati. «Mantengo le mie promesse, inclusa quella per cui sarai tu a pregarmi».

«Piuttosto rinuncio alla mia immortalità», gli gridò lui.

«Ade», intervenne Ecate, «devo esercitare le mie arti magiche e vorrei che, per quanto possibile, questo rimanesse un posto tranquillo. Perché non mostri al tuo sposo il regno di cui prenderà possesso?»

Koros pensò che Ecate non sarebbe stata il suo Cupido. «Non sono ancora il suo sposo».

Ade gli si avvicinò. Koros sentì il suo fiato sulle labbra, quando gli disse: «Lo sarai presto. Sarà una cerimonia da far invidia ad Afrodite». Gli porse il braccio. I loro sguardi si incatenarono. Koros sapeva che il dio gli stava dando un ordine, ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di farsi vedere sconfortato. Suo malgrado infilò la mano sotto il suo braccio, pronto a visitare il regno che sperava di lasciarsi presto alle spalle.

Ade (gay version)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora