Parte 3 - Il dispetto di Afrodite

2.6K 208 18
                                    



Ade calpestò il manto verde della montagna rocciosa, si allontanò da Afrodite e da tutto ciò che lei gli ricordava: i piaceri dell'amore e della carne, la convivialità dei banchetti all'aria aperta, gli incanti dei giardini fioriti. Aveva rinunciato a tutto questo per un'ideale di pace. A che egli era servito?, si domandò. A che serviva la pace degli altri, se nel suo cuore albergava la guerra? Lo strazio della solitudine?

Non ebbe voglia di immergersi nel suo regno fatto di nebbia e cave di pietra. Erano talmente rare le occasioni in cui ne usciva che voleva approfittarne.

Dopo aver camminato a lungo trovò il lago in cui amava specchiarsi, di cui amava osservare la superficie color cobalto, le onde che si increspavano leggere. I suoi passi pesanti calpestarono l'erba, il fruscio del suo mantello nero spaventava gli animaletti, ma lui non se ne curò. Tutto quello che voleva era dimenticare l'incontro molesto con la dea dell'amore, inspirare la brezza salmastra prima di tornare nel suo regno e udire i lamenti delle anime e quelli di Ecate.

Un vocio attirò la sua attenzione. Voci cristalline di ninfe e delicate di giovani, che ancora così poco dovevano conoscere del mondo e della crudeltà divina. Ade posò un palmo contro il tronco di un mandorlo, sotto la sua pelle ne sentì la corteccia ruvida, ma mentre gli occhi vagavano sulle teste dei giovani e delle ninfe che si rincorrevano sulla riva, fu un calore nuovo a invaderlo senza che lui ne sapesse trovare una spiegazione. Poi accadde. Un corpo tra tutti incatenò le sue iridi. Un volto tra quello delle ninfe gli apparve luminoso, come una stella nel cielo più scuro, come un bocciolo di rosa tra i rovi. Gli occhi di Ade si riscoprirono d'improvviso assetati e avidi.

Si appiattì contro l'albero, come preso dall'imbarazzo, e provò vergogna di se stesso. Tuttavia la vergogna non lo fece tornare in sé né lo fermò. Udendo i canti e la voce del giovane, che aveva imparato subito a riconoscere, fu preso dal desiderio di seguirlo, di osservarlo ancora per un po'. Ancora un po' di vita, si diceva, prima di tornare laggiù.

Fece in modo di nascondersi tra la radura, raccolse il mantello in una mano per evitare che il fruscio rivelasse la sua presenza. Poi si diede un momento per inebriarsi della vista del giovane. Ne vide gli occhi di acquamarina, brillanti come il mare assolato di quella giornata, e profondi come il lago Pergusa presso cui il giovane sconosciuto cantava; immaginò di toccarne i capelli biondi come le messi di quella feconda regione, le sue labbra rosee come petali che avrebbe voluto imboccare con i semi della melagrana.

Il cuore cominciò a battere furiosamente nel suo petto, in un modo che non conosceva. Forse solo la rabbia lo aveva acceso in quel modo, ma la rabbia lo lasciava esausto, questo desiderio, invece, lo animava di nuova forza. Voleva andare lì, dire al giovane: «Vieni con me, farò di te il mio sposo», poi, però, i sogni si infrangevano davanti all'espressione di orrore che avrebbe deformato la bellezza del malcapitato. Chi avrebbe mai voluto legarsi al dio dell'oltretomba?

Ade strinse i pugni. Il giovane si volse verso di lui e sembrò vederlo per un istante.

«Koros!», la voce del dio Apollo risuonò nel luogo ameno, e il giovane si allontanò dalla radura, voltò di nuovo il capo verso il suo gruppo.

Koros, si ripeté Ade, facendo scivolare la lingua dolcemente sul palato. Il figlio di Zeus e Demetra, il ragazzo della cui bellezza si favoleggiava tra gli dei, ma che sua madre aveva voluto sottrarre agli occhi rapaci dei suoi simili. Non poteva darle torto, ma che spreco sarebbe stato consacrare quel giovane bellissimo al culto di Artemide. No, lui non lo avrebbe permesso.

Il sangue si era ormai incendiato di desiderio. Lo assalì una cieca gelosia nel vedere il dio del sole posare una mano sulla spalla di Koros, attirarlo a sé, con la scusa di insegnargli a suonare la lira. Non aveva già avuto tutto Apollo? Non era abbastanza per lui vedere ciò che capitava durante il giorno dalla volta celeste sulla terra e addirittura decidere se quella fosse meritevole di essere inondata di luce?

Non gli era bastata nemmeno Dafne, la fanciulla che pur di non cedere al suo tocco perverso aveva preferito trasformarsi in alloro. Niente era sufficiente per gli dei dell'Olimpo, niente placava le loro voglie, ma questa volta sarebbe andata in modo diverso. Questa volta Ade sarebbe stato all'altezza degli epiteti che gli uomini gli riservavano. Implacabile, potente.

Ad accorgersene per primo sarebbe stato suo fratello Zeus.

In un battito di ciglia varcò la soglia del tempio che accoglieva il padre di tutti gli dei. Il profumo d'ambrosia gli solleticò le narici e lo rese più consapevole dei diritti che avrebbe potuto accampare.

Sorprese Zeus in compagnia di una fanciulla, semi sdraiata su un triclinio, un calice in mano. Dalla sua espressione doveva essere la prima volta che assaggiava l'amore di un dio.

«Per Bacco!», imprecò Zeus, la tunica sul punto di scivolare via dal suo corpo.

«Fratello, non sapevo che fossi impegnato in questioni tanto importanti», disse Ade, con tono canzonatorio e allo stesso tempo di rimprovero.

Zeus fece un cenno alla fanciulla, che con aria delusa si alzò e li lasciò da soli. Poi si rivolse a lui: «Con chi hai litigato questa volta? Sei un attaccabrighe, eppure il tuo regno non dovrebbe essere tanto movimentato...»

«Non sono io quello a cui piace litigare tra noi, e lo sai benissimo», disse Ade. Il suo tono glaciale indusse Zeus a prestargli attenzione.

«Posso aiutarti?»

«Ho trovato il mio sposo».

Zeus sollevò il calice. «Non so chi tu abbia convinto a seguirti negli inferi, ma mi congratulo con te».

Ade fissò le sue iridi in quelle grigio perla dell'altro. «Lui ancora non lo sa, ma andrò a prenderlo che gli piaccia o meno».

Zeus gli si avvicinò, bevve gli ultimi sorsi del nettare divino. Era chiaramente infastidito dal fatto che la sua giornata di piacere fosse stata interrotta. «Non ho ancora capito se vuoi la mia benedizione o...»

«Lui è Koros», lo interruppe Ade. Vide il padre degli dei sbiancare, la sua pelle diventare candida quasi quanto la sua barba.

«È il figlio di Demetra, lei è troppo importante perché tu la infastidisca».

«Ed è anche figlio tuo».

Zeus strinse il calice d'oro tra le dita, fece per portarselo alle labbra, ma poi ricordò che era vuoto. Lo posò su un mobile alle sue spalle. «Demetra vuole che sia consacrato al culto di Artemide».

«Da quando ti interessa rispettare il culto della castità?»

«Scegli qualcun altro».

«Voglio lui, e tu non puoi negarmelo».

Zeus corrugò la fronte. «Mi metti in una posizione difficile».

«Mai quanto la tua. Sa tua moglie Era quello che stavi facendo?» Esultò per l'espressione sconfitta che si dipinse sul suo viso. «E poi, me lo devi: ho lasciato a te il cielo e a Poseidone il mare. Ho il diritto a scegliere lo sposo di sangue divino che voglio».

«Quando vuoi prenderlo?», domandò Zeus, rassegnato al difficile compito di placare le ire di Demetra.

«Quanto prima. La vita nel regno che mi è toccato in sorte è noiosa. Ho il tuo consenso?»

Zeus annuì. Il destino di Koros era segnato.

Ade (gay version)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora