6 - Cesare Magistrini

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22 Ottobre 1917

Primo pomeriggio, cielo sopra Tolmino.



Francesco Baracca spinse avanti la barra del suo nuovo SPAD XIII, versione con motore più potente e una doppia mitragliatrice. Per il resto non era molto diverso dallo SPAD VII con cui era abituato a volare. L'aereo si mise in leggera picchiata e accelerò con impeto. Se la seconda mitragliatrice non l'aveva impressionato – "se sei un buon pilota da caccia una mitragliatrice basta e avanza," aveva commentato quando gli era stato presentato il nuovo velivolo – lo stesso non poteva dirsi del motore: la nuova unità aveva un'ottantina di cavalli in più, e si sentivano.

Il nuovo aereo filava come un dannato. Certo, ne aveva risentito un po' in maneggevolezza e questo, per Baracca, era un difetto. Poche settimane prima, aveva bocciato il prototipo tutto italiano dello SVA, proprio perché molto veloce ma poco maneggevole.

— Mi ci abituerò, — mormorò, mentre guardava l'ago dell'indicatore di velocità che continuava a salire. La proverbiale robustezza dei modelli SPAD sembrava essere stata aumentata ancora di più. Con un movimento lento e dolce, tirò la barra verso di sé, tornando a un assetto di volo livellato. — Però corre come un purosangue! — commentò.

Il cielo era nuvoloso: si preannunciava un periodo di maltempo che forse l'avrebbe obbligato a terra. E questa, insieme alla scarsa maneggevolezza del nuovo aereo, era una delle quattro cose che gli ronzavano in testa, rovinandogli l'umore.

La terza era la voce che di lì a un paio di giorni si sarebbe scatenata un'offensiva austriaca contro le loro linee, proprio nella zona di Tolmino che stava sorvolando. La Russia era al tracollo e forse molte divisioni nemiche che avevano combattuto su quel fronte erano già state richiamate sui fronti occidentali. Oltre agli austriaci questa volta ci sarebbero stati anche i tedeschi. Ma il Generalissimo Cadorna, il comandante supremo, sembrava essere tranquillo e Baracca si sforzava di condividerne la serenità. Eppure l'imminenza dell'attacco nemico non faceva che preoccuparlo.

Infine, il quarto fastidioso pensiero era quel guanto di pelle bianca che un aviatore crucco aveva lanciato sulla base pochi giorni prima, dopo aver lasciato cadere una corona di fiori per commemorare il povero Gigi.

Baracca se l'era messo nella tasca interna del giaccone di volo, e se lo portava sempre con sé, in aria. Non sapeva perché ma ogni volta che decollava controllava che quel maledetto guanto fosse lì.

Era un insulto. Un insulto a lui e, soprattutto, alla memoria di Olivari. Che i crucchi avessero sfruttato una missione di commemorazione – un'azione degna del massimo onore – per lanciare una sfida era una cosa inaudita. La frase era stata scritta a penna sul dorso del guanto, con una grafia ordinata e piena di ghirigori. Era in tedesco, ed era breve e diretta. Baracca era riuscito a tradurla ma, non volendo credere i nemici fossero arrivati a tanto, aveva cercato conferma rivolgendosi ai colleghi che parlavano il tedesco meglio di lui, come il triestino Giuliano Parvis che era da poco arrivato nella squadriglia. "Baracca, ti ucciderò. RSS" diceva.

Il pilota che aveva lanciato la corona di fiori era di certo Brumowski. Il suo aereo rosso con l'insegna della Morte era inconfondibile. Ma Baracca era convinto che lui non avrebbe mai compiuto una bassezza del genere. E poi il soldato Rosato, che aveva assistito alla scena, garantiva che non era stato il caccia rosso a lasciar cadere il guanto, bensì un aereo pilotato in maniera più incerta.

RSS. Forse erano le iniziali di chi aveva lanciato la sfida. O forse potevano significare qualcosa d'altro, ma su questo Parvis non era stato in grado di fornire alcun aiuto.

Baracca cercò di liberarsi la mente da almeno tre dei quattro pensieri negativi: guanto, offensiva nemica e maltempo. Doveva concentrarsi sul suo SPAD XIII, e imparare in fretta a sfruttare a proprio vantaggio le differenze del nuovo velivolo. Regolò di nuovo l'assetto per far salire l'aereo: doveva recuperare quota.

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