22 - Biplano SPAD VII

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19 Giugno 1918

Tardo pomeriggio. Base di Quinto di Treviso



Francesco Baracca atterrò contemporaneamente al suo gregario, il tenente Gastone Novelli, sfruttando tutta la larghezza del campo di volo.

Portò l'aereo davanti all'hangar, spense il motore e chiuse gli occhi, battendosi il pugno sulla gamba. Doveva cercare di scaricare la tensione.

Odiava le missioni di mitragliamento delle trincee nemiche. Il loro nome in codice era "Rettile", poiché gli aerei dovevano volare bassissimi, quasi radenti al suolo. Come un rettile, per l'appunto.

In primo luogo, erano inutili: non davano alcun vantaggio militare, non provocavano danni evidenti al nemico, non ostacolavano la sua azione. E poi sottoponevano a rischi enormi e inutili i costosi aeroplani e i piloti esperti. A ogni passaggio a bassissima quota, per una raffica sparata si riceveva un salva di centinaia di fucilate. Bastava un solo di questi colpi per uccidere un pilota, o per forare un serbatoio, o danneggiare irrimediabilmente un velivolo e farlo precipitare. E, in ogni missione, i passaggi sulle trincee si sommavano, una due tre cinque dieci volte, fino a che non fossero esaurite le munizioni della mitragliatrice. Eppure, nonostante le motivate proteste che Baracca e tutti gli altri comandanti di squadriglia non mancavano di presentare, il comando insisteva nell'ordinare queste missioni.

Il comandante della 91esima squadriglia avrebbe preferito non sottoporre i suoi uomini a questi rischi inutili quindi, quando poteva, si prendeva lui stesso l'incarico di portare a termine queste missioni. Due giorni prima, era rientrato con cinque fori di proiettile, uno dei quali conficcati nel suo poggiatesta. Se era ancora vivo era solo perché, in quel preciso momento, si era chinato in avanti per prendere la mira.

Il giorno prima il maltempo li aveva costretti a terra, ma appena il cielo era tornato sereno, puntuale era arrivato un nuovo ordine operativo: mitragliamento sulle trincee avversarie, nella zona del Montello a ridosso di Nervesa. Il nemico era riuscito a sfondare il fronte del fiume Piave e aveva conquistato la piccola montagnola a nord del paese. Si combatteva aspramente, il "Rettile" era necessario.

E Francesco, dopo un logorante combattimento in quota di prima mattina e ben due "Rettili", ora era atterrato con il suo SPAD XIII gravemente danneggiato. Uno dei montanti dell'ala, colpito in pieno da un colpo fortunato di un fante austroungarico, si era spezzato. Francesco aveva dovuto usare tutta la sua bravura per riportare l'aereo menomato alla base.

Prese un profondo respiro e soffiò l'aria piano, con un sibilo. La missione era terminata e anche questa volta era andata bene. Era il momento di andare al circolo, bere un bel bicchiere di vino, e recuperare il buon umore scherzando con gli amici e compagni.

Era appena sceso dall'aereo che il caporale Rosato corse verso di lui.

— Maggiore! — gridò.

Baracca si sfilò il caschetto, i guantoni, si sfilò la pesante giubba e attese che il segretario della squadriglia lo raggiungesse.

— È arrivata una lettera, per lei!

Francesco si chiese da dove provenisse l'entusiasmo del suo sottoposto. Le lettere arrivavano quotidianamente, che cosa aveva questa di speciale? Lo capì subito: gli bastò vedere la calligrafia ordinata e diligente sulla busta. Ne ebbe conferma girandola e leggendone il mittente. Era una lettera di Benedetta Zuliani. Non aveva più avuto notizie di lei da quei giorni tremendi della ritirata di Caporetto. Spesso, in questi sette mesi abbondanti si era chiesto se fosse arrivata a destinazione sana e salva. Strappò un angolo della busta e vi infilò un dito per aprirla.

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