3 (pt.2) - Presenze nel buio

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«Taci!» ringhia però lui, rifilando un pugno al cassonetto dei rifiuti che ha accanto con tanta violenza da ammaccarlo. «Non voglio sentire le tue cazzate.»

Per qualche istante, resto inorridita a fissare quello che una volta consideravo il mio migliore amico: la mostruosa dentatura che si ritrova al posto del magnifico sorriso rubacuori che sfoggiava l'ultima volta che l'ho visto; gli occhi castani dall'espressione vuota e disorientata, talmente diversi da quelli seducenti e sicuri di sé che lo contraddistinguevano da risultare irriconoscibili; i vestiti stracciati e sporchi di quello che probabilmente dev'essere il sangue della sua precedente vittima. Perché gli hanno fatto questo? Perché l'hanno trasformato in un orribile mostro, la cui unica intenzione è ora quella di uccidermi? Il mio Owen...

Possibile che debba finire così per me? Uccisa e divorata dal mio migliore amico? E Liam?

Cosa ne sarà ora di te, piccolo?

Non è possibile, non posso proprio accettarlo. Devo trovare un modo, un qualsiasi modo per uscire da questa terribile situazione.

Mi sforzo di ritrovare la calma e ripeto, alzando le mani per tentare di ammansirlo: «Owen, aspetta, non sono cazzate. I-io forse posso aiutarti.»

Per un istante, Owen sembra dimenticarsi della fame: sorride alle mie parole, riducendo gli occhi a due fessure e tirando gli angoli delle labbra verso l'esterno. E malgrado non sia esattamente il sorriso che vorrei scorgere sul suo viso, è un leggero passo avanti. «Avanti, sentiamo cos'hai da proporre, Lizzy Frizzy» replica, rivolgendosi a me con lo stupido ma affettuoso nomignolo con cui ogni tanto si divertiva a chiamarmi un tempo, quando era in vena di scherzare. «Però devi darti una mossa: la mia pancia sta reclamando.»

Ignoro la minaccia celata – neanche troppo – nelle sue parole e allontano in fretta i ricordi felici che lo riguardano, scatenati dal sentirlo rivolgersi a me in quel modo. Mi invento quindi una bugia di sana pianta, costringendo la voce a uscirmi di bocca in un tono sicuro e non in un patetico fruscio. «Conosco un modo per guarirti, Owen. Per farti tornare com'eri prima. Devi solo... devi lasciarmi andare. Poi io tornerò da te con la cura e tu sarai di nuovo come prima.»

Non la prende come speravo. Affatto. Scoppia a ridere, stringendosi teatralmente la pancia tra le braccia, come se avesse appena sentito la battuta migliore degli ultimi anni. Poi d'un tratto si fa serio e mi inchioda gli occhi addosso. «Ma allora pensi che io sia stupido, Lizzy.»

«N-no...» farfuglio intimorita, compiendo nel frattempo un piccolo passo verso destra, nel tentativo di avvicinarmi alla via principale e poter così scappare il più lontano possibile da lui. E dal suo alito che puzza di morte.

«A me, invece, pare proprio di sì» ringhia e pianta un pugno contro al muro, proprio accanto alla mia testa, bloccandomi così ogni via di fuga. Dopodiché avvicina il volto al mio, mettendo in bella mostra i terribili denti spaccati, e continua: «Sembra davvero che tu voglia fregarmi, piccola Lizzy.»

Gli occhi spalancati e la voce tremante, scuoto la testa e cerco di negare fino allo spasmo: «No! N-no, non lo farei mai! Io... io voglio solo... voglio aiutarti, Owen. Lasciami provare. Per favore.»

Lui mi scruta per qualche istante, gli occhi scuri inchiodati nei miei, pozzi senza fondo dove non voglio, non voglio, non voglio perdermi; dunque sposta lo sguardo appena alla mia sinistra, puntandolo sul muro di cemento alle mie spalle, come se stesse riflettendo.

Gli ci vuole diverso tempo per prendere una decisione, ma io non mi azzardo nemmeno per sogno a intervenire: se perdesse la pazienza sarebbe capace di uccidermi all'istante, senza pensarci due volte, ne sono certa.

Alla fine, Owen riporta gli occhi su di me e sorride, quasi con dolcezza. Mi elargisce una carezza leggera, scostandomi un ciuffo di capelli sfuggito alla coda di cavallo dietro l'orecchio, e per un istante, un solo istante, sono di nuovo convinta di avere davanti il mio migliore amico, che si sta prendendo gioco di me e che ora mi rivelerà che si trattava di uno stupido scherzo. Invece tira le labbra in un  ghigno e sussurra: «Ho fame, Liz. Ora.»

«No...» Mi sento morire dentro nell'udire quelle parole: è giunta la mia ora, lo so.

Lo squittio terrorizzato che mi è sfuggito dalle labbra sembra divertire Owen, ciò nonostante torna ancora una volta serio e prosegue: «Ho davvero tanta fame, Lizzy, ma in memoria della nostra vecchia amicizia ti propongo un... beh, chiamiamolo "giochetto". Ti va?»

Mi sforzo di buttar fuori la voce per chiedergli di cosa stia parlando, malgrado tema la risposta che riceverò.

«Ora io ti lascerò andare» mormora, osservando attentamente ogni mia più piccola reazione alle sue parole. «Me ne starò qui buono buono per ben cinque minuti, senza muovermi di un solo passo. Così tu avrai tutto il tempo di fuggire il più lontano possibile da me e nasconderti da qualche parte. O se preferisci, di cercare la tua preziosissima medicina miracolosa.» Scrolla le spalle. «Fa come preferisci, anche se il mio consiglio da amico è quello di scappare a gambe levate. Poi, se malauguratamente non riuscirò a trovarti, sarà scontato che rimarrò senza cena e dovrò trovare qualche altro nostro succulento amichetto con cui giocare. Tu invece sarai libera fino alla prossima volta in cui ci incontreremo. Che ne dici?» 

Non oso chiedergli cosa mi succederebbe nel caso mi trovasse. Non voglio sentirglielo dire ad alta voce. Sarebbe troppo. Per cui mi limito a fissarlo, sforzandomi per trattenere a ogni costo le lacrime che minacciano di nuovo di scendere e concentrandomi per pensare a un nascondiglio che mi possa salvare la vita.

«Sei pronta a cominciare?»

Annuisco, il fiato troppo corto per rispondere a voce.

«Bene, Lizzy Frizzy. Hai... mmh, fammi pensare... ben trecento secondi a partire da ora per salvarti la pelle. In bocca al lupo! Ah, che sarei io!» E scoppia a ridere, orgoglioso della sua battuta terrificante.

Non appena Owen comincia a contare ad alta voce, cantilenando i numeri in tono allegro, capisco che sto sprecando preziosi secondi, quindi raccolgo le ultime energie che mi restano nelle gambe e prendo a correre come non ho mai corso prima, abbandonando a malincuore – ma non troppo – il mio zaino colmo di viveri. 

***

Il primo, insopprimibile istinto è quello di correre verso casa alla velocità della luce, con l'intento di barricarmi al suo interno con Liam e Bonnie, ma quasi subito mi rendo conto che sarebbe una madornale sciocchezza agire a quel modo: per prima cosa, è troppo lontana da dove mi trovo ora e non riuscirei mai a raggiungerla in tempo; seconda cosa, non vorrei per nulla al mondo attirare Owen verso mio fratello e mettere in pericolo anche lui; terza, quello sarà il primo luogo dove quel mostro ributtante mi cercherà. E questo non va affatto bene.

A meno che non lo depisti, in qualche modo.

So ormai per esperienza che quelle creature hanno dei sensi molto sviluppati e che si basano su olfatto e udito per cacciare, piuttosto che sulla vista, proprio come fanno gli squali. Se mi nascondessi lontano da casa, avrei dunque più possibilità di tenere Owen alla larga da mio fratello, pregando che l'istinto da cacciatore sia in grado di adombrare i ricordi che pare conservare della sua vecchia vita e costringerlo a seguire la mia scia.

Riuscire poi a cavarmela sarà un altro conto.

Per questo motivo, alla prima occasione che mi si presenta, svolto in fretta in una stradina laterale che porta verso est, verso il sole nascente, con una vaga idea di dove dirigermi che sta prendendo forma nella mia mente.

Spero che si tratti della scelta giusta, quella che mi salverà la vita.

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