3 (pt.2) - Presenze nel buio

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Ghermita da un panico incontrollato, mi lascio sfuggire uno strillo, mentre con la mano libera tento di far allontanare Owen da me

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Ghermita da un panico incontrollato, mi lascio sfuggire uno strillo, mentre con la mano libera tento di far allontanare Owen da me. Lui, tuttavia, è tanto forte che ogni tentativo di ribellione pare del tutto inutile, proprio come se un topolino tentasse di liberarsi dalle spire di un pitone.

Nonostante questo, non ho intenzione di arrendermi all'evidenza: combatterò con ogni fibra d'energia che mi rimane in corpo prima di dargliela vinta e permettergli di farmi diventare il suo prossimo pasto. Per questo motivo metto da parte l'angoscia, in procinto di sfogarsi con una moltitudine di lacrime, e continuo a lottare.

E, alla fine, la tenacia da me dimostrata viene in qualche modo premiata: infastidito dal mio incessante dimenarmi come un pesce fuor d'acqua, Owen indietreggia di mezzo passo e senza volerlo allenta la presa nella quale mi bloccava.

Appena me ne rendo conto, ne approfitto per liberarmi da quella stretta e mi allontano il più possibile da lui, anche se so perfettamente di essere ancora in trappola e che le probabilità di cavarmela da questa situazione di merda restano basse, molto basse.

«Devo mangiare» bisbiglia Owen facendosi di nuovo avanti, senza nemmeno permettermi di riprendere il respiro. Non posso fare a meno di pensare che i pugni che gli ho inflitto devono essere stati decisamente fiacchi, perché non sembra averne risentito in alcun modo.

«Owen, ti prego!» La mia voce è così stridula mentre lo scongiuro di risparmiarmi e io sono così maledettamente spaventata: come può non rendersene conto? Come può volermi far del male? L'hanno cambiato al punto tale da renderlo un assassino, pronto a uccidere quella che fino a qualche mese fa era la sua migliore amica?

Non voglio crederci, non posso pensare che la sua coscienza sia del tutto svanita e che di lui resti solo un involucro vuoto. «Per favore, aspetta un attimo. Sono io, Owen! Sono Lizzy, non puoi volermi fare del male! Sono tua amica!» E mentre parlo, mentre lo imploro di tornare in sé, tasto il muro alle mie spalle con le mani, in cerca di qualcosa da usare come arma, qualcosa come una spranga di ferro o un bastone, sebbene sappia che non basterebbe un miracolo per salvarmi. «Non... non puoi.»

Nonostante le mie suppliche, l'espressione negli occhi di Owen non cambia: rimane fredda, famelica, impassibile. E ripete, stavolta sbraitando: «Devo mangiare!»

Sono consapevole che questo non sia esattamente il momento adatto per lasciarmi andare alla disperazione, eppure scoppio in un pianto dirotto, sconvolta da ciò che mi sto ritrovando ad affrontare: non voglio morire, non posso! Chi si prenderebbe cura di Liam se io non tornassi a casa? Chi lo consolerebbe quando piange? Chi gli procurerebbe cibo e protezione? La mia sopravvivenza è indispensabile alla sua. 

«Owen!» piagnucolo, indietreggiando lentamente, fino a quando non mi rendo conto di avere le spalle al muro. «Ti prego, Owen, torna in te!»

Proprio ora che mi sono convinta di non avere alcuna via d'uscita da questa situazione, d'un tratto mi balza in mente un'idea. È parecchio sciocca, e senz'altro rischiosa, ma rappresenta pur sempre una fievole speranza. Mi asciugo alla meglio gli occhi nella manica del giubbotto e bisbiglio: «Io... io forse posso aiutarti!»

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