4. Sleep with an eye open

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La puzza di alcool e sangue e mi colora la guancia destra di un rosso purpureo. Qualcosa di denso inizia a scendermi dal naso e mi cola su tutte le labbra, ricoprendo il sapore di tutti quei baci ricevuti fino a poco tempo fa.

Immobile.

Non oso muovermi, non credo che compiere un movimento sia il passo giusto da compiere con il mio interlocutore -se così può esser definito. Il sangue scivola leggiadro sul mio mento e solleticandomi un po', ne cade una densa goccia sul marmo. Una, due, tre gocce e io sono lì inerte a godermi quella scena mentre i suoi occhi scuri e duri sprigionano un'aura di malessere tutt'intorno.

«Entra, lurida sgualdrina.» dice in un sussurro gelido che raffredda e congela le mie parole in gola. Il calore che l'alcool gli dà non riscalda i suoi gesti, ma fa bollire i miei. È come se il mio cervello stesse friggendo nel mio sangue surriscaldato.

Un passo, due. E io sono già lì dentro, a lasciare scie di sangue per tutto il piccolo appartamento sgangherato, come se fossi Pollicino e avessi bisogno di lasciare i segni per ritrovare la strada. Ma non ne ho bisogno, perchè la strada l'ho già persa da tempo. La testa mi gira come se avessi appena finito di fare headbanging. Faccio un altro passo, barcollo e ne faccio un altro. Arrivo in camera. Dormirò con un occhio aperto.

Un suono sordo e lontano mi sveglia. Sorrido in modo macabro sentendo il sangue secco sulle labbra aride. Spengo la sveglia e mi alzo per andare al lavoro. Mi ripulisco e mi preparo prendendo dei vestiti a caso. Oggi fa incredibilmente caldo. Canotta degli Slayer e jeans skinny neri. Rimetto gli anfibi ed esco. In viso ho qualche segnetto, qualche lieve contusione nei pressi del setto nasale, ma poco importa. Mi massaggio la guancia ancora un po' arrossata e arrivo nel negozio di dischi in cui lavoro. Entro e sorrido guardando tutti quei cd.

«Buongiorno Pulce, al lavoro!» dice Sam, un mio caro collega che ha qualche anno piú di me e mi conosce da quando avevo quattordici anni. Mi lancia il grembiule e io lo prendo al volo.

«Oggi io sto in cassa e tu sistemi i cd. Ti ho lasciato metal e rock, gli altri li ho già fatti io. Ci vediamo alle undici e mezza per la sigaretta prima di pranzo!» dice sorridendo e io vado nella zona metal. Quel negozio è davvero troppo grande, tanto che neanche sulla scala riesco a vedere Sam. Metto su Black Sabbath dei Black Sabbath e parto col lavoro perdendomi tra quegli svariati cd che vorrei avere. Quasi nessuno viene in questo reparto, ma non fa niente, perchè ci vuole fegato marcio per ascoltare metal. Ora che ci penso, devo sistemare anche le pareti: vado a prendere le foto da attaccare e inizio ad attaccare i frame di Heart-Shaped Box per tutta la parete. Kurt Cobain, quanto amore per quell'uomo. Attacco foto di ogni genere e tipo, loro sono i miei miti e vado fiera di ascoltarli.

«Ehi scusa, sai dove posso trovare i cd dei Misfits?» mi chiede un ragazzo. Sono in alto sulla scala, faccio per girarmi ma faccio un passo falso, anche se ormai per me sbagliare é la normalità.

Cado. Cado e finisco addosso a quel povero ragazzo che voleva solo un fottutissimo cd. Spero non abbia picchiato la testa, e io sono proprio un danno. Siamo praticamente sdraiati a terra, io sopra di lui e lui sotto di me. Con le mani mi tengo distante dal suo viso e col ginocchio dal resto del corpo. I miei capelli gli ricadono sul viso scarno. Quel viso..

Ha le mani sui miei fianchi e sembra paralizzato. Tutto questo contatto fisico mi spossa.

«Scusami é c-che io..» balbetto e la sua voce mi blocca:«Allie.»

Mi riprendo da quello sgomento.

«Oliver?» chiedo incredula.

«Già..» sussurra guardandomi attentamente. Sotto la luce del neon riesco a vedere delle piccole macchie verdi nei suoi occhi, come se fossero tante foglie sparse. Mi sento scrutata, e senza volerlo arrossisco. Il contatto che c'è tra la mia canotta e le sue dita mi fa avvampare ancor di piú. Però ammetto che sapere di non essere morta grazie a lui mi rassicura.

«Io.. Scusa, sarà meglio alzarsi..» sussurro imbarazzata cercando di alzarmi anche se lui esita a staccare le sue mani da me.

«Non pensavo che tu..lavorassi qui..» dice Oliver mordendosi il labbro.

«Lavoro qui da anni, ma é raro che io stia in cassa.» gli spiego sorridendo.

«Posso chiederti una cosa?» mi chiede. Che paradosso.

«Il cd?»

«Anche. Vorrei sapere cosa ti sei fatta al naso.» mi dice e il mio cervello va in tilt. Cervello stai zitto, trova una scusa.

«L'altra sera ero ubriaca e mi sono aperta la portiera dell'auto in faccia.» gli dico senza esitare, di modo che neanche una particella di verità esca dal mio corpo.

«Devo fingere dicendoti che ti credo o posso dire la mia?» dice Oli a bruciapelo. Abbasso lo sguardo.

Con l'indice mi tira su il mento e i nostri occhi iniziano a scontrarsi silenziosamente.

«Chi ti ha ferita?» domanda accarezzandomi una guancia col pollice.

«Dammi un..un secondo..» dico imbarazzata e vado a dire a Sam che mi prendo una pausa. Afferro le sigarette e lo raggiungo. Usciamo sul retro e ci sediamo su un gradino delle scale. Nel frattempo mi sono presa un momento per pensare, perchè se Oliver ha capito che è una ferita fatta a mano nuda sicuramente ne sa qualcosa.

«Te l'ho detto che ho sbattuto la faccia contro la portiera.» mi giustifico insipidamente.

«Puoi mentire al mondo, non a me. Non te lo permetto, sai?» dice girandosi a tre quarti verso di me mentre si accende la sigaretta.

«Io non posso..non posso dirtelo, ecco.» ribatto pacatamente.

«Immagino che nella tua vita ci siano due uomini: tuo padre e il ragazzo dell'altra sera. Quindi, chi è il colpevole?» rimango in silenzio. Inizio a tremare per il nervoso, l'ansia e l'imbarazzo.

«Prometti di stare zitto?» gli chiedo insicura.

«Mio padre.» affermo secca.

«Lo ammazzo.» dice scattando in piedi con uno scatto degno di un felino.

«Mi faresti solo un favore.»

«Hai fatto qualcosa per meritarti quello che ha fatto?» mi chiede risedendosi. Il suo tono di voce è lievemente alterato.

«Sì.»

«Posso esserne a conoscenza anche io?» il suo tono di voce si fa più dolce, tenue, nonostante la sua voce sia roca.

«Ho ucciso mia madre.» affermo sicura di me:«I ricordi non finiscono mai, il dolore non finisce mai. Hai notato quante persone debbano passare attraverso la sofferenza per poi arrivare a vedere la morte come unica salvezza? Perchè il dolore c'è in ogni secondo, minuto, ora di ogni giorno.» quando finisco di parlare ci accendiamo un'altra sigaretta e c'è un attimo di silenzio in cui si sente solo il cigolare dell'accendino.

«Tu pensi al suicidio?» mi chiede appoggiando i gomiti sulle ginocchia e guardandomi fisso negli occhi. Impallidisco fino a sembrare Morticia Adams e abbasso lo sguardo perché i suoi occhi non li riesco a reggere. «No, io penso a spaccare i culi.» rispondo e lui sorride beffardamente.

«C'é chi muore di finta indifferenza.» e io subito ribatto:«Questo lo chiami morire?»

«No, la chiamo sopravvivenza.»

«Ma certo che sei strano forte eh! Non ci capisco un cazzo di te!» sbotto mezza offesa e mezza imbronciata. Sento le sue labbra imprimere un casto bacio sulla mia guancia. Rido di rimando.

«Rientriamo, che non ho voglia di farti licenziare.» dice sorridendo.

Non so per quale futile motivo, ma questi incontri casuali iniziano a farmi sentire più viva.

Benedetto con una maledizione [in editing]Where stories live. Discover now