Servivano a ricordare e apprezzare il fatto che erano tutti inestricabilmente parte di una forza più grande di loro, erano legati gli uni agli altri da un senso di appartenenza andato perduto nei secoli dei secoli. Il loro legame era indissolubile e vulnerabile allo stesso tempo. Loro erano vulnerabili.

Ci voleva coraggio, tantissimo coraggio, per ammettere di far parte di un tutt'uno più grande, che non esistesse bene e male, perfezione e imperfezione, buono e cattivo, successo e fallimento. Faceva tutto parte dello stesso pianeta, che ti carezzava con una mano e ti accoltellava con l'altra, che ti respingeva e ti chiamava a gran voce, che ti soffocava e ti abbracciava, ti partoriva e ti uccideva, che ti amava e ti odiava.


Siamo fiori estirpati da un giardino abbandonato, destinati inesorabilmente ad appassire. Ci siamo dimenticati da dove veniamo e ora che siamo tornati, per sopravvivere, non riusciamo più a piantare le radici...


«A cosa pensi?» le chiese Hans a voce alta.

Eva si risvegliò come da un sogno a occhi aperti. Erano quasi tutti seduti vicino a lei.

Shani aveva delle margherite bianche dai petali sottili e col pistillo giallo tra i capelli. Tomas si era allontanato nella speranza di trovare uno dei suoi amati meli. Kuran guardava con Ulrik la cartina, la fronte aggrottata e gli occhi a mandorla ridotti a una fessura sottile.

La ragazzina non riuscì a rispondere alla domanda. Aveva ancora le dita immerse nell'erba fresca. Non avrebbe saputo tradurre a voce alta quelle sensazioni, era un groviglio di parole e sentimenti, una matassa intricata che adesso, osservata con lucidità, nemmeno lei riusciva bene a comprendere.

Un quadro più ampio, senza cornice, in cui noi svolgiamo il ruolo di piccole comparse...

Allontanò la mano di scatto, come se si fosse scottata. La portò al petto, per sentire il proprio cuore battere, sotto la sua pelle.

«Mi sono incantata» mentì. Ma erano ormai passati svariati minuti e tutti pensarono che stesse parlando tra sé e sé.

Tomas tornò con lo zaino straripante di frutta.

Un enorme sorriso a trentadue denti e le iridi che sfavillavano come quelle di un bambino.

Eva si chiese come avessero potuto tenere in una cella d'isolamento un ragazzo così buono e solare. Doveva esserci per forza del marcio, sull'Arca. Tomas era tutto tranne che un terrorista anarchico, violento e pericoloso per la società. Comunicava in modo sincero, autentico, cercava sempre di farli ridere, amava stare in compagnia, guardarli negli occhi, dialogare con loro. A volte assumeva atteggiamenti infantili, si lamentava, pretendeva attenzioni, diveniva provocatorio e insolente. Ma la sua rabbia durava pochi istanti, come se il suo cuore la rifiutasse, come se l'allegria per lui fosse un automatismo, qualcosa che poteva trattenere per un po', ma che poi diveniva troppo difficile da evitare.

«Le dobbiamo lavare, almeno!» brontolò Hans.

Ma nessuno gli diede ascolto. Addentarono tutti il raccolto succoso, assaporarono quel gusto nuovo, agrodolce, mentre ammiravano il panorama davanti a loro.

Il sole stava scomparendo dietro le montagne.

Non avevano mai assistito a quello spettacolo. Il loro primo tramonto.

Gli tolse anche un po' d'appetito, oltre al fiato. E fu un bene, visto che le loro scorte di cibo erano praticamente esaurite.

Il cielo si tinse prima di un rosa tiepido, poi di un arancione arroventato.

Più il sole calava, più comparivano nuances di rosso scarlatto.

I rilievi divennero sagome nere, ombre impassibili dietro quello spettacolo di luci.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraWhere stories live. Discover now