16. Stanchezza

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Ulrik si svegliò all'alba. Ogni muscolo del suo corpo gli doleva in modo terribile, aveva gli occhi ancora pesanti, sentiva addosso il peso dei vestiti sporchi e il suo stesso odore, acre, lo nauseava. Aveva fame, sete, non andava di corpo da giorni, la testa gli girava, gli facevano male anche i denti, il cuoio capelluto, le unghie dei piedi, zone che non avrebbe mai considerato come possibili fonti di dolore e che, eppure, adesso erano infiammate e gli urlavano con tutta la forza degli impulsi nervosi di fermarsi, riposare e aspettare.

Non poteva lasciarsi vedere così dai compagni, non doveva dare accenno di debolezza, di stanchezza, di fragilità, di umanità. Assunse una pastiglia di titanio, senza farsi vedere dai ragazzi. Dopo poco il male si attutì. I mille aghi appuntiti che sembravano trafiggergli il corpo da parte a parte si affievolirono. Solo allora li risvegliò con la sua abituale voce ferma.

«Ripartiamo.»



Quella stanza. La cucina ad angolo, ricoperta dalla muffa e dalla polvere, lo scheletro del divano, la porta blindata accasciata contro il muro.

Quella stanza.

Alle pareti dei rettangoli di colore diverso segnavano l'assenza di un qualcosa, di immagini, probabilmente, che una volta avevano adornato l'abitazione.

Eva si guardava attorno, aveva l'affanno. Non aveva corso o fatto sforzi eccessivi: era l'ansia. Qualcosa non andava ma non ricordava cosa.

Aveva una brutta sensazione.

Si guardò attorno, era sola.

I resti di un tavolo sul pavimento. Qua, forse, una volta, si sedeva la famiglia a cenare, qualcuno faceva i compiti, qualcun'altro leggeva le bollette, talvolta veniva usata dai bambini come luogo in cui nascondersi.

Non trovava il coraggio di fare un passo avanti, le gambe tremavano, non sembravano più in grado di sostenere il suo peso a lungo.

Si portò una mano al petto. Un infarto? Stava avendo un infarto? Sarebbe morta così allora? Si era bloccato il flusso di sangue diretto a un atrio del suo cuore. Il muscolo cardiaco cominciava a danneggiarsi fino alla necrosi. Era così che sarebbe morta allora? No, non aveva tutti i sintomi. Il braccio sinistro non le faceva male, nemmeno il petto...

Forse era solo asma, un attacco di panico?

Quella stanza. Un appartamento? L'aveva già vista, la conosceva e le faceva paura.

Strisciando i piedi sul pavimento arrivò ad aggrapparsi al bancone. La superficie era ricoperta da uno spesso strato di detriti.

Sotto di esso il legno si sgretolava come pasta frolla a causa del suo peso. Lo sguardo si posò sui pensili, sul vecchio frigorifero, ancora riconoscibile nonostante il logorio dei secoli.

Il frigorifero...

Non respirava. Non respirava.

Eva portò le mani alla gola.

Sì, era un attacco di panico.

Era tutto nella sua testa, già lo sapeva. Una malattia "umana". Doveva sforzarsi di respirare.

Un rumore alle sue spalle.

Avrebbe voluto voltarsi ma il corpo non rispose, sembrava fatto di granito: freddo, immobile, terribilmente pesante.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora