21. Il Nuovo Potere

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Per un attimo la vista di Eva si annebbiò.

Dopo che i lupi si erano allontanati, il suo corpo aveva cessato di essere suo. Non udiva niente, non vedeva niente, non provava dolore, emozioni, paura, gioia, rilassamento o tensione.

La morte doveva essere così, pensò. Un nulla assoluto. La fine di tutto. In un attimo non esisti, nel bene e nel male. Il vuoto.

Poi sentì delle mani calde che la stringevano forte. Vide due occhi azzurri, percepì delle voci ovattate, in lontananza.

Fu come richiamata da un universo lontano, con cui aveva perso i contatti per anni, dovette fare uno sforzo immane per riconnettersi alla realtà. Fu doloroso, questo sì.

Ma anche il dolore era vita. E quando si gettò con le braccia al collo di Ulrik, quando cominciò a decifrare tra tutto quel trambusto il suo nome, Eva, ripetuto più e più volte, la notte fredda e quel corpo forte, che profumava di terra e pino silvestre, il rumore in sottofondo dell'acqua, il fruscio del vento che rianimava le foglie degli alberi, i passi concitati dei compagni, si sentì sollevata.

Non era morta.

Non era ancora morta.

Ulrik la strinse ardentemente a sé. Se avesse avuto un cuore umano, avrebbe sentito la concitazione del suo apparato cardiocircolatorio. Ma il suo organo in titanio non prevedeva alcuna disfunzione, per questo non soffriva di tachicardia o palpitazioni, nemmeno di quelle causate da una reazione d'adattamento allo stress. Il suo petto, muto, non dava segni di preoccupazione. La sua mente, invece, era in piena tempesta. Questa discrepanza, di cui il capitano non parlava mai, gli generava un senso di angoscia e di totale dissociazione, molto simile a quello che provava Eva quando era sopraffatta dall'intensa reazione fisiologica in risposta a una minaccia.

Per questo lui la cinse a sé con ancora più prepotenza, fino quasi a farle male. Si maledisse, ancora una volta, per non essere riuscito a proteggerla, per non essere riuscito a starle vicino, per aver rischiato di nuovo di perderla, per sempre...



«Eva!» L'urlo di Tomas sovrastò gli altri. Ulrik sciolse l'abbraccio, in visibile imbarazzo. Il ragazzo invece non mostrò nessun segno di pudore. Tomas afferrò Eva per la vita e la sollevò da terra. La ragazzina si divincolò, ma lui non ci fece caso.

«Eva, sei viva! Cazzo, bambina... questa volta... questa volta poteva finire davvero male...» Poi singhiozzò come un bambino spaventato.

La ragazza, impietosita, gli asciugò le lacrime con le mani.

«Mi dispiace» mormorò lui, ma non riuscì a terminare la frase e nessuno riuscì mai a capire per cosa fosse dispiaciuto.

Il gruppo si riunì in cerchio, proprio come avevano fatto i lupi. Gli occhi sbarrati, il volto pallido e le mani ancora tremanti.

I respiri affannosi creavano sottili nuvole di vapore evanescente, che si disperdevano nella notte senza far rumore.

«Dobbiamo andare» intervenne Ulrik. Si guardava attorno, nervoso. La foresta buia sembrava averli circondati, pronta all'assalto. Tornare non sarebbe stato semplice, e la luce del giorno distava ancora parecchie ore.

«No!» La voce di Shani proruppe in modo impetuoso. Ci fu un rapido schieramento. Lei, Kuran e Tomas, allontanatosi da Eva con ancora gli occhi rossi, si interfacciarono a Ulrik e Hans. La ragazzina, un angolo dissociato in quella strana composizione di guerra, rimase dov'era, ancora troppo sconvolta per poter reagire. «Ora voi ci spiegherete cosa cazzo è successo.»

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora