Prima o poi mi amerai

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꧁𝑪𝒉𝒂𝒑𝒕𝒆𝒓꧂
26

"𝑃𝑟𝑖𝑚𝑎 𝑜 𝑝𝑜𝑖 𝑚𝑖 𝑎𝑚𝑒𝑟𝑎𝑖"

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Quando, finalmente, riuscimmo a scendere da quel letto ringraziai mentalmente il proprietario di quella casa per aver inserito il bagno nella stanza; infatti, mi chiusi dentro il piccolo bagno e mi appoggiai con la schiena alla porta rimuginando sulla notte e la mattina appena passata: io e Harrison eravamo stati a letto insieme, più volte. Un formicolio iniziò a farsi strada su tutta la mia pelle al pensiero delle sue mani sul mio corpo, le guance rosse -non per l'imbarazzo ma per il caldo improvviso che iniziai a provare-. Abbandonai il lenzuolo che avevo usato per coprirmi dagli occhi attenti e curiosi del riccio davanti alla doccia ed entrai cercando di finire il prima possibile. In poco tempo mi lavai il corpo e i capelli, quest'ultimi visto il bel tempo li lasciai bagnati, dopo averli spazzolati, sicura che non ci avrebbero impiegato più di dieci minuti ad asciugarsi e, in fine, mi guardai intorno maledicendomi: avevo lasciato i vestiti in camera, presa dalla fretta di correre in bagno. Con gli occhi individuai un asciugamano all'apparenza pulito appeso a fianco alla doccia e, seppur riluttante, lo afferrai coprendomi il minimo indispensabile, data la poca quantità di stoffa che lo componeva; sbuffai quando, nel guardarmi allo specchio, notai le occhiaie che circondavano i miei occhi neri: quel giorno stranamente vispi e allegri. Una volta buttate le lenzuola nel cesto dei panni sporchi, uscì dal bagno e subito due occhi dannatamente belli furono sul mio corpo come se volessero, con la loro insistenza nel seguire ogni mio minimo movimento, spogliarmi di quel pezzo di stoffa nemmeno troppo coprente. Il mio cuore, come se fino a quel momento non fosse mai esistito, iniziò a battere fortemente senza sosta. Harrison, come se avesse letto il mio perenne desiderio di averlo vicino, posò il telefono, che solo grazie a quel gesto notai, sul comodino e si alzò avvicinandosi a me, velocemente. Deglutii a fatica notando il suo corpo statuario, fasciato solo da un paio di boxer neri, avvicinarsi a me con una sicurezza disarmante, le sue mani si posarono sui miei fianchi e mi attirarono a sé; le mie gambe ormai prive di ogni controllo seguirono i suoi movimenti, mentre i miei occhi restavano incatenati ai suoi come la prima volta che lo avevo visto uscire da quel dannato ascensore, ammirando quel verde intenso e brillante. «Ti amo» sussurrava la mia testa come se cercasse di proteggermi dalla forza che quelle cinque lettere avrebbero assunto se avessi provato a ripeterle tra me e me con più forza, o a pronunciarle a voce alla fonte di questo sentimento, rendendole più importanti, significative e irremovibili. Eppure, benché mi rendessi perfettamente conto della pericolosità intrinseca in quelle parole, sorrisi consapevole del fatto che erano pienamente vere e che questo "sotterfugio" involontario della mia testa non sarebbe servito a molto: il cuore aveva vinto già da tempo, anche quando non lo credevo. Mentre mi perdevo nei meandri più oscuri dei miei pensieri, sorridendo nel guardare colui che era la causa principali di tutti questi, due sue dita iniziarono a giocare con una ciocca ribelle e bagnata dei miei capelli, senza mai spostare lo sguardo. «Non ho mai visto sorriso più bello» disse con quella sua voce perfettamente roca ed io sentì ogni lettera incidersi sul mio cuore, scolpire perfettamente quell'organo così importante per la sopravvivenza umana ma così inutile se non smosso da questo sentimento così misterioso e, allo stesso tempo, puro. Pensai a quanto Harrison e la sua vicinanza mi portassero a vedere arte in tutte le cose: il cuore, come una statua, poteva essere modellato non solo dall'artista, ma soprattutto dalle emozioni che esso provava, ed io in quel momento ero un'artista in preda al sentimento più forte, in grado di dare brillantezza alla mia statua. In preda ad un crescente sorriso non ce la feci a non avvicinare le mie labbra alle sue per lasciargli, in fine, un bacio all'angolo di quest'ultime. «Sul tuo avrei da ridire e puzzi tremendamente quindi vatti a lavare» riposi scherzosamente riferendomi alla sua frase precedente, guardando la sua reazione. Divertito alzò l'angolo delle labbra, che gli avevo precedentemente baciato, in un sorriso, mi attirò a sé e mi baciò, per poi staccarsi velocemente. «È il testosterone» mi rivolse un occhiolino ed entrò in bagno lasciandomi interdetta e divertita da quella sorta di spiegazione che aveva trovato alla mia "accusa". Cercai l'intimo e il mio vestito per indossarli e quando, dopo troppi tentativi, riuscì a chiudere anche la cerniera di quest'ultimo decisi di sbirciare fuori dalla porta della stanza per poter capire se fossimo gli unici ancora in giro o meno; con le scarpe in una mano e la maniglia nell'altra, aprì la porta lentamente mettendo fuori prima la testa e poi il resto del corpo. Un movimento alla mia destra mi fece sussultare e girale la testa di lato velocemente, ma non fu quello a stupirmi più di tutto, infatti, quello che mi sconvolse furono le persone che mi ritrovai, contro ogni possibile logica, davanti. «Tu?!» Esclamò la mia migliore amica quando, alzando lo sguardo su di me dopo aver rivolto un ultimo bacio al suo accompagnatore: Nolan, si accorse della mia presenza. Le scarpe che stavo tenendo strette al petto mi caddero a terra per lo stupore, producendo un sordo rimbombo in tutto il grande corridoio. Si avvicinò a me velocemente, non preoccupandosi minimamente dei fastidiosi ticchettii che i suoi tacchi stavano producendo contro il parquet ed io, ridendo, spalancai la porta della camera, per farla entrare insieme al biondo. Destino, o sfiga volle che la porta del bagno si aprisse in quel preciso momento con un magnifico Harrison Cox a petto nudo, con i capelli umidi ed il paio di jeans della sera prima, rigorosamente sbottonato addosso, a fasciargli perfettamente i fianchi. Lucy, ancora più sorpresa, spalancò la bocca nell'osservare quel gran pezzo di ragazzo che aveva condiviso la camera con me. Harrison, che solo in quel momento si accorse si lei, si abbottonò velocemente i pantaloni, per poi rivolgendoci un cipiglio confuso che sembrò sparire solo quando anche il biondo fece il suo ingresso nella stanza. Mentre intorno a me tutti si guardavano con sguardo stupito, soprattutto i miei migliori amici che, senza il minimo intento di nascondere quello che stavano pensando, avevano la bocca e gli occhi spalancati a creare quella che sembrava un'ottima rappresentazione vivente de "l'urlo di Munch", io mi sforzai di trattenere una sonora risata, con gli occhi che a mano a mano si riempivano di lacrime per lo sforzo. «FINALMENTE TE L'HA DATA!!» gridò all'improvviso la mia migliore amica, probabilmente svegliando chiunque fosse ancora presente in quella villa, guardando prima me e poi il ragazzo alle mie spalle. Il divertimento sembrò trasferirsi da me a lei perché improvvisamente fui io a sbiancare e lei a ridere, senza neanche provare a trattenersi. «Qui quella che ha l'aria da post pompino sei tu, non noi» disse infastidito Harrison ed io, sollevata, mi girai a guardarlo piena di gratitudine; Nolan dietro Lucy ridacchiò mentre la mia migliore amica iniziava a far uscire il fumo dalle orecchie, rossa come un pomodoro maturo. «Non ha tutti i torti. Dimmi Lucy, cosa avete combinato voi due?» Mi avvicinai con l'indice puntato verso di lei, sicura di metterla in difficoltà e, proprio come mi aspettavo, perse in un attimo tutto il rossore per diventare bianca come un lenzuolo. «A cosa servono i trucchi se bastano le parole a farti da fard?» pensai divertita nel notare come la sua pelle avesse cambiato velocemente colorazione, soprattutto all'altezza delle gote. Harrison mi cinse un fianco e mi tirò verso di lui per fermare la mia "avanzata", probabilmente stufo del nostro tipico comportamento infantile. «Stai a cuccia» ridacchiò ed io lo fulminai con gli occhi aumentando, contrariamente a quanto credevo, la sua ilarità. Nolan affiancò Lucy e le rivolse uno sguardo dolce mentre, nervosamente, si grattava il ciuffo già abbastanza spettinato, fingendo un piccolo attacco di tosse per attirare la nostra attenzione. «Beh ecco, che dire...io e Lucy stiamo insieme» ruppe il silenzio, che era riuscito ad ottenere, con questa rivelazione praticamente sussurrata, facendomi tirare, così facendo, un gridolino dettato dallo stupore; mi staccai dal braccio muscoloso di Harrison per buttarmi su di loro e abbracciarli. «Congratulazioni!» Sorrisi staccandomi da loro per guardarli insieme e realizzare solo in quel momento quanto fossi stata stupida a non capire subito che erano fatti per stare insieme. «Lo sapevo che mi stavate nascondendo qualcosa voi due» diedi una spallata leggera a Lucy che, improvvisamente allegra, sorrideva mentre si faceva avvolgere dalle braccia del biondo. «E voi?» Chiese ingenuamente la mia migliore amica facendo calare un silenzio tombale. «E noi Harrison?» Pensai mentre mi giravo a guardarlo di sbieco; il suo sguardo puntato fuori dalla finestra sembrava intenzionato ad evitarmi. «Si è fatto tardi, forse è meglio andare...» disse Nolan cambiando argomento e cercando di far tornare l'aria leggera di poco prima, non sapendo che probabilmente tra me ed Harrison fui solo io quella che percepì un'improvvisa pesantezza nel petto, in quel momento. «Sì, andiamo.» Con voce secca esordì Harrison mentre afferrava la sua maglietta per indossarla e, continuando a non guardarmi, uscire dalla stanza; in un attimo il mio cuore passò dal battere senza sosta al congelarsi al proprio posto, immobile. «Benny...» si avvicinò a me Lucy quando rimanemmo sole nella stanza. Le sorrisi e, sperando che non notasse la falsità di quel gesto, aggiunsi «Sto bene andiamo» mi infilai le scarpe, la presi a braccetto e la trascinai fuori da quella stanza, e da quella casa. Nello scendere al primo piano trovammo molte persone che giacevano ancora addormentata in salotto, chi per terra, chi sul divano e chi, addirittura, sui tavoli da beer-pong. «Benny...» sussurrò di nuovo una volta fuori dalla casa, mentre, con lo sguardo, ero intenta a cercare i nostri "accompagnatori". «Mi dovrai raccontare tutto nel dettaglio» la interruppi non volendo sentire anche da lei la dura verità dei fatti: Harrison non mi amava e non lo avrebbe mai fatto. «Non è quello giusto per te» scimmiottai nella mia testa la voce di Lucy pronta a ripetermi, per l'ennesima volta, qualcosa che sapevo e che pensavo anch'io. «Credo ti ami» disse invece, facendomi fermare di colpo per guardarla negli occhi come se, così facendo, potessi essere sicura di aver sentito bene. Lei, come se volesse infondermi tutto il suo coraggio e tutta la sua sicurezza, mi accarezzò una guancia e mi sorrise «Non fartelo scappare Benny, lui ti ama deve solo trovare la forza per ammetterlo a sé stesso» aggiunse con un tono talmente serio e convinto che sembrava non accettare alcuna obiezione. Scossi la testa sicura che quello che stesse dicendo fosse solo una blanda consolazione per me e non la realtà dei fatti. «Non sono l'eccezione alla regola Lucy, Noi» dissi riferendomi a me e il diretto interessato «Siamo la regola» citai una delle battute del film preferito di Lucy in cui mi ritrovavo particolarmente in quel momento, abbassando lo sguardo addolorata. «Non esistono regole in amore» disse con una tale dolcezza che mi portò ad alzare nuovamente lo sguardo su di lei, un'improvvisa sensazione di coraggio iniziò a diffondersi su tutto il mio corpo quando notai la mia migliore amica intenta a fissare Nolan, non molto distante da noi che ci faceva segno di avvicinarci, come se in quella frase si rispecchiassero le sue emozioni. Sospirai e alzai gli occhi al cielo guardando, dietro una nuvola passeggera, il sole sopra le nostre teste brillare «Non vincerai tu» mormorai a quest'ultimo per poi iniziare ad avvicinarmi al biondo, seguita da Lucy e, una volta aperta la portiera, due occhi ormai familiari mi furono immediatamente addosso. Sentendomi improvvisamente più coraggiosa e fiduciosa gli sorrisi e mi sedetti al suo fianco, dietro al posto in cui stava Lucy, cioè affianco al posto del guidatore, nonché Nolan. Harrison mi rivolse un cipiglio, probabilmente non aspettandosi di vedermi di buon umore dopo quello che era appena successo, scrollò leggermente la testa come se si stesse facendo la predica per aver pensato al peggio e ricambiò il sorriso. Mi attirò a sé e mi posò un braccio intorno alle spalle mentre io, senza alcun ritegno, mi appoggiavo al suo petto e mi facevo cullare dal suo fantastico profumo; notai con la coda dell'occhio Lucy osservarci dallo specchietto, con faccia allegra, e per questo le rivolsi una linguaccia alla quale lei, molto finemente, rispose con un gestaccio. «Prima o poi mi amerai» pensai tornando a guardare Harrison che nel mentre osservava il paesaggio al di fuori del finestrino, assorto in qualche pensiero.

Quel giorno Benny non lo seppe mai, ma lui stava pensando proprio alla ragazza mora al suo fianco.


Sotto il cielo stellato di Times SquareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora