Paradiso e Inferno

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𝑪𝒉𝒂𝒑𝒕𝒆𝒓
13

"𝑃𝑎𝑟𝑎𝑑𝑖𝑠𝑜 𝑒 𝐼𝑛𝑓𝑒𝑟𝑛𝑜"
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La mattina: il canto degli uccellini che volavano in cerca di un nido sicuro, mentre io il mio l'avevo già trovato in Harrison che dormiva tranquillo mentre un leggero venticello gli scompigliava i capelli, il respiro regolare ed io che restavo incantata davanti tutta la sua più vera ed imperfetta bellezza. Il cielo rossastro, l'alba all'orizzonte, nascosta dagli alberi alti, illuminava il cielo rilassando anche il cuore più agitato. Lui che aveva occhi, anche se lucidi per il risveglio, più verdi dell'erba che ci circondava e il sorriso, più luminoso del sole che stava nascendo per dare inizio ad un'altra giornata. Finalmente mi sentì in grado di ricordare cosa volesse dire "buongiorno".

Un telefono con una suoneria particolare rovinò tutto, gli uccellini scapparono, Harrison si alzò velocemente con uno sguardo preoccupato e il cielo perse tutti i suoi colori vivaci. Se solo avessi saputo che quella telefonata mi avrebbe cambiato la vita, forse sarei riuscita a salvarmi in tempo; anche se in fondo al mio cuore sapevo che per me non ci sarebbe stata nessuna salvezza, se non il riccio in piedi davanti a me con il telefono all'orecchio. «Cosa vuoi?» cercò di dire duramente ma una leggera insicurezza nel tono di voce lo tradì. La sua risposta schietta mi fece capire del tutto che la tranquillità, che fino a quel momento si era creata, era stata spazzata via con la stessa velocità con cui il vento spazzava via le foglie intorno a noi; seguirono solo attimi di silenzio in cui l'ansia del ragazzo era palpabile. «Dopo tutto quello che ti devo?!» un grugnito accompagnò queste parole amare ed ironiche allo stesso tempo «Spero tu stia scherzando?!» gridò infine ed io mi alzai mentre mi mettevo la coperta sulle spalle, iniziando a sentire dei brividi su tutto il corpo. Chiuse la chiamata senza girarsi ed io istintivamente cercai un contatto con il suo corpo, provai a posare la mano sulla sua schiena per infondergli un po' della mia calma, ma lui si staccò rapidamente. «Andiamo» fu l'unica parola che mi rivolse prima di scendere dalla casetta sull'albero che, quella notte, ci aveva difesi dalle nostre ferite. Mi fermai, una volta sceso l'ultimo gradino, ad osservare quest'ultima provando un senso di malinconia crescente, come se sapessi che non avrei rivisto quel posto tanto facilmente. Notai le piccole scalette che avevo appena sceso, verniciate di bianco e ricavate sicuramente da qualche tronco tagliato, la solidità dell'albero che sopra il suo grande tronco sosteneva la piccola casetta in legno dotata ti una pedana quadrata tutt'intorno, per allargare il perimetro, e un tettuccio a campana, sempre bianco, per difendere "gli ospiti" in caso di pioggia. La guardai di nuovo, dopo aver fatto qualche passo in avanti per seguire Harrison come a volerla immortalare nella mia mente per sempre e poi mi girai senza guardare più indietro.

All'ora di pranzo finalmente arrivai a casa dopo un viaggio interminabile, a causa del silenzio che si era creato per l'evidente intrattabilità di Harrison dopo quella chiamata. «A presto» avevo detto al diretto interessato prima di posare piede fuori dalla sua macchina, ma lui era partito senza guardarsi indietro.

***

«No Lucy te l'ho detto non abbiamo scopato» sbuffai divertita: era un'ora che ripetevo la stessa frase alla mia migliore amica che mi aveva chiamata poco dopo il mio rientro. «Ma come Benny?! Ti sei lasciata scappare un'opportunità del genere?!» ormai stava gridando mentre io la ascoltavo divertita «Cioè stiamo parlando di Harrison Cox, non di un ragazzo qualunque» continuò ed io, non potendo evitare di immaginarla con le mani nei capelli disperata, non resistetti più e scoppiai a ridere ricevendo una serie di sbuffi ed insulti come risposta. In un attimo di silenzio il ricordo di quegli occhi verde smeraldo si fece strada nella mia testa e divenni seria. «Benny ci sei?» mi ripresi dai miei pensieri, o meglio dal mio pensiero: lui. «Si scusa Lu, dicevi?» mi imposi mentalmente di mantenere la concentrazione su qualsiasi discorso la mia amica stesse affrontando, anche il più stupido: come che smalto mettere. «O MERDA!» gridò inaspettatamente ed io sussultai «TI SEI INNAMORATA» aggiunse con lo stesso tono perfora orecchie ed io mi misi a tossire imbarazzata. «Ma che dici Lucy?!» alzai anch'io istintivamente il tono di voce «Io innamorata di quello?!» pronunciai l'ultima parola con un leggero disprezzo, dato da come mi aveva trattata poche ore prima. A quel punto fu il turno della mia amica di ridere. «Lo sapevo» disse ed io potei sentire il suo tono sognante, benché fossimo solo al telefono. Solo il suono di un messaggio mi distrasse da quella conversazione "emozionante" e dannatamente scomoda, guardai lo schermo del telefono non trattenendo un sorriso involontario.

Da Harrison Cox:
Perché mi è appena arrivata una minaccia di morte dalla tua migliore amica?

Rilessi il messaggio più volte per poter realizzare il suo contenuto ma niente sembrava rispondere alle domande che mi balenavano in testa come «Starà bene?» o
«Si è calmato? Non è arrabbiato con me?». L'unica cosa che fermò la mia mente dal formulare altre domande che sicuramente non gli avrei posto fu la risata di Lucy. «Lucy...» sussurrai fintamente minacciosa, pronta ad ucciderla e la sentì ridacchiare. «Si?» chiese con il suo tono falsamente ingenuo, tipico di quando combinava qualche casino e non voleva essere travolta dalla mia ira. Decisi di ignorare per un attimo quella pazza che avevo per migliore amica e rispondere al messaggio che avevo ricevuto.

A Harrison Cox:
È pazza non farci caso. Piuttosto dimmi: tutto bene?

La risposta non impiegò molto tempo ad arrivare.

Da Harrison Cox:
Non devi preoccuparti per me.

Sbuffai e, sicura che la conversazione sarebbe andata per le lunghe, salutai la mia amica con la prima scusa che mi venne in mente.

A Harrison Cox:
Non mi preoccupo per te, mi preoccupo per la mia sanità mentale che tra parentesi, è a rischio a causa tua.

Da Harrison Cox:
Non mi stressare, ho cose più importanti da fare che stare dietro ad una mocciosetta viziata

La mia faccia sbalordita, il telefono ormai a terra e i miei occhi lucidi furono tutto ciò che ebbe Harrison come risposta, anche se non poteva vedermi. «Mocciosetta viziata» era tutto quello che la mia testa continuava a ripetere. Mio padre, rividi mio padre con il suo sguardo duro, i suoi insulti, la sua poca fiducia nei miei confronti e tutto il suo disprezzo nei confronti dei miei sogni, così diversi dai suoi piani per il mio futuro. Afferrai il telefono lentamente, probabilmente per paura di trovarci qualche altro messaggio offensivo e duro piuttosto che per il probabile schermo rotto, vista la caduta e risi a pensare che io, ingenuamente, avevo creduto che quella conversazione sarebbe durata molto. Fui sollevata nel notare che non vi erano altri messaggi, ma una grande riga. Ridacchiai istericamente per la similitudine che impropriamente colsi: il mio cuore, proprio come lo schermo del telefono, era appena stato crepato. Non abbastanza da romperlo, ma abbastanza da mettermi sull'attenti.

Harrison Cox, proprio come il suo messaggio, era finito tra gli "archiviati" e non ne sarebbe uscito.

***
5 mesi dopo

La primavera, quella stagione di mezzo che precede l'estate con la sua tipica ventata di libertà. Libertà che a lavoro non mi era concessa; infatti, ero nel pieno degli affari, le sedi a Berlino e a Parigi stavano andando alla grande, facendo aumentare la mia azienda in guadagno e fama. Tutto procedeva alla grande, nessun problema se non un minuscolo ed unico inconveniente: i giornali di gossip e la mia dannata curiosità.

"Harrison Cox e Polly Anderson avvistati mano nella mano a Parigi: il pancione della ragazza inizia a farsi vedere."

«Ho cose più importanti da fare» pensai alle sue parole ancora impresse nella mia testa mentre chiudevo l'ennesima rivista con l'ennesimo titolo uguale. «Devi fidarti B» ricordai gli occhi e la serietà con cui aveva pronunciato questa frase e non potei fare a meno di pensare che lui dovesse andare a farsi fottere con la sua fiducia: possibilmente a braccetto. Erano esattamente cinque mesi che non vedevo e non sentivo quel coglione riccioluto e tutti, e dico tutti, non facevano altro che parlare di lui, della sua fiamma incinta di otto mesi. Otto mesi erano anche i mesi che erano passati dalla morte di Josh. In quel periodo avevo preso coscienza di molte cose: in primis di quello che, in verità, io non provavo per Harrison; infatti, ero arrivata alla conclusione che fosse tutto un riflesso di quello che sentivo con Josh, che la sua morte mi aveva portato via e che avevo bisogno di provare, anche perché non avrei mai potuto dimenticare così presto il ragazzo che mi avrebbe dovuta portare all'altare. In quei mesi avevo portato spesso dei fiori sulla sua tomba, trovando sempre un mazzo di girasoli, nonché i suoi fiori preferiti, e mai il mittente. Spensi il computer dopo aver prenotato il viaggio di lavoro che mi avrebbe portato molta più fama in Europa: a Parigi; sarei dovuta partire due giorni dopo con Lucy, lasciando la sede principale di New York nelle mani della mia segretaria Clara.

Sotto il cielo stellato di Times SquareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora