VII

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Quando Virgilio si trasferì nella capitale, aveva subito trovato una montagna che amava in particolare, era situata a circa una trentina di kilometri da Roma, ai suoi tempi si chiamava Monte Giano in onore del suddetto Dio, e lui adorava andare fino in cima facendo però prima, sosta ad un enorme prato dove pascolavano le vacche, verso Marzo ed Aprile era ricoperto da fiori di zafferano selvatico e tane di talpe.
Lo scrittore antico chiese informazioni, il monte col tempo cambiò di nome, ma il significato insito rimaneva lo stesso: Gennaro dal latino Ianuarius che significava 'consacrato al dio Giano'.

"Quella è 'a vetta!" Annunciò euforico Virgilio.

"Ami davvero molto questi sentieri vero?" Rispose Dante studiando le espressioni sognanti dell'altro, e lasciandosi sfuggire un tenero sorriso nel vedere il suo maestro così assorto.

"Ce stanno legami co luoghi e co persone che vanno ar di là der tempo, dello spazio e daa morte! Si io so 'nnamorato de sta piccola parte de mondo Dante, sono passati millenni, anche se 'a sagoma della vetta è più morbida e meno ripida de come io la percorrevo nella mia vita, sono rapito ed estasiato proprio come 'a prima volta che ce salii da pischelletto!" Disse il più grande, con la voce satura di passione, continuando ad ammirare la flora che li circondava.

"Maestro quando raggiungevate il punto più in alto, facevate un rito pagano per Giano?" Chiese incuriosito Alighieri.

"Si!" Rispose guardando le fronde degli alberi con un sorriso malinconico.

"Puoi dirmi che divinità era? Cosa rappresentava?" Domandò il fiorentino carico di curiosità, e l'altro dopo molto tempo finalmente lo degnò del suo sguardo e gli sorrise orgoglioso forse per il ricordo delle loro abitudini, o forse orgoglioso per avere accanto una persona che adorava saziarsi di conoscenza.

"Con piacere, caro Dante! Giano bifronte rappresenta er tutto ed il contrario de tutto, lui è creazione e distruzione, pace e guera, omo e donna, bene e male e così via! Sta montagna fu scelta pe' venerallo perché a valle, le due facce sembrano speculari!"
Dante lo fissava incuriosito, con la curiosità di un bimbo, sapeva che non avrebbe proferito parola, ma che attendeva che continuasse.

"Quanno che arrivava l'inverno ero n'anima 'n pena, sai allora era difficile annà in montagna 'n quella stagione senza piasse un malanno, nun vedevo l'ora che 'r gelo finisse, pe potè risalì qua. Ma 'a mejo stagione pe' me rimane l'autunno, è indescrivibile!" Continuò Virgilio, e ad un tratto di deviazione verso destra, accelerò il passo, quasi si mise a correre, il suo sguardo era carico di aspettative. Quando Dante lo raggiunse rimase estasiato dall'imponente meraviglia di quel prato, dove tra i tanti alberelli, spiccava una quercia enorme, con decine e decine di rami, e dal tronco possente, al quale tutti, davvero tutti avrebbero portato un ancestrale rispetto.
Lo scrittore antico corse verso la quercia aprendo le braccia e guardandola come se stesse andando ad abbracciare un amico di vecchia data.
Arrivato sotto l'imponente arbusto, ne ammirò dal basso i rami carichi di foglie verdi, sentendosi minuscolo e confortato da quella forma sinuosa.

"È fantastica! Deve essere millenaria!" Annunciò Dante appena si avvicinò, anch'egli rapito dalla possenza di quella quercia.

"Questa Dante, l'ho piantata insieme a na mia amica millenni fa, nel terreno che avevamo 'n comune, e decidemmo de strapiantalla qua, quanno aveva appena due anni de vita era alta si e no 50cm e sembrava 'n cespuglietto arrufato!" Detto questo, con occhi velati dalla commozione, prese una mano del fiorentino sotto la sua, e le fece poggiare insieme sul tronco millenario. Dante rimase affascinato da quel racconto, ma forse ancora di più dal modo in cui il suo maestro si poneva nel raccontarlo.

"Era un simbolo della mia amicizia co lei!" Continuò Virgilio con un sorriso particolare.

"Amicizia?" Chiese stupidamente l'altro.

Non so, Dio dice che...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora