12. La battaglia

Comincia dall'inizio
                                    

La sua morte.

Era bellissima.

Questo pensiero lo colse prima che il buio si impossessasse della sua anima. Per l'eternità.

Altri due colpi alla testa.

L'Antico cadde sul freddo rivestimento ricoperto di detriti e polvere. Un liquido maleodorante, nero come la pece, fuoriuscì dal suo cadavere. Le sue membra si sgonfiarono, come un palloncino bucato, prima di irrigidirsi nel rigor mortis. Ora sembrava quasi la carcassa di un uomo che aveva di certo subito una morte molto lenta e molto dolorosa. Smembrato, ricomposto e ora abbandonato a se stesso.

Eva fece per urlare di nuovo ma la mano calda di Ulrik le coprì la bocca.

«Taci!»

Silenzio. Un assordante silenzio.

Perfino il vecchio palazzo trattenne il fiato.

«Cosa cazzo era?!» Shani aveva la voce di due tonalità più elevata della norma. La pistola ancora ben stretta con entrambe le mani davanti a lei, le gambe divaricate e la corona di ricci capelli neri che le circondavano il capo come un'aureola.

Guardò ai suoi piedi: una giacca abbandonata, un pezzo di stoffa, i pantaloni ed Eva, con un enorme segno viola sul collo, ancora tremante.

Abbassò l'arma, sfinita.

«Ce ne dobbiamo andare, subito» intervenne Ulrik.

Sollevò la ragazza come fosse una bambina, una bambola rotta. L'Umana, infatti, era così impietrita dal terrore che non riusciva nemmeno a coordinare i movimenti.

Lui la rimise in piedi. Le infilò in modo sbrigativo i pantaloni e glieli annodò in vita. In quel gesto, così paterno, le sue dita calde sfiorarono quella pelle così fredda. I loro occhi si trovarono.

Eva ebbe un flashback, la stessa scena, lui che le allacciava la cintura prima della partenza.

Forse ora c'era più luce, forse ora era diverso.

I suoi occhi erano diversi. Quell'azzurro pallido, color ghiaccio era lucido. Aveva gli occhi umidi, anche se non stava piangendo.

Gli occhi di titanio non dovrebbero commuoversi, non dovrebbero saper piangere. Allora era una menzogna quella di Hans.

Eppure Ulrik non l'aveva smentito... Forse si riferivano a qualcun altro.

Rimasero così per un tempo indefinito. O almeno questo è quello che parve a Eva. Lo scorrere dei minuti, dei secondi, delle ore, sembrava essersi dissolto. Tutto era così irreale, un incubo da cui non riusciva a svegliarsi, ma di cui riconosceva i contorni vaghi, l'assurdità, il vuoto.

Il comandante abbassò per primo lo sguardo e allontanò le sue mani, come se all'improvviso si fosse reso conto di aver osato troppo, di aver mostrato un'intimità che non aveva con quella ragazza che nemmeno conosceva. Lei era solo un incarico, la sua missione, il suo fardello. E basta.

«Perché non hai sparato?» Shani li interruppe, teneva in una mano la giacca e nell'altra la pistola di Eva. La ragazzina non ricordava nemmeno di averla persa. L'oggetto era scivolato silenziosamente davanti al divano, senza che nessuno si accorgesse di lui.

Aprì la bocca per difendersi, ma lo sguardo di Shani si spostò su Ulrik.

Era rivolta a lui.

«Non avevo la visuale pulita.» Imbracciò il fucile. «Le stava addosso, rischiavo di prenderla per errore.»

Shani inarcò un sopracciglio. Eva, nel frattempo, si infilò la giacca e prese la pistola.

«Hai sentito gli spari? Era Tomas, ne sono sicura» riprese, facendo finta di niente.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraDove le storie prendono vita. Scoprilo ora