Il palazzo aveva due rampe di scale, ai due lati opposti. L'ascensore, ovviamente, non fu preso in considerazione: le porte scorrevoli erano rivestite di edera fiorita.

Le scale erano in buone condizioni, anche se in penombra. Il pavimento era ricoperto da uno spesso strato di polvere causato dall'intonaco che, col passare degli anni si era sgretolato a terra. Qua e là il verde del muschio e della muffa si confondevano tra loro. Il parapetto era sparito, così come le porte d'ingresso ai pianerottoli. Sembravano essere state tutte scardinate. Rimanevano solo i buchi per le viti, i cardini e le serrature, in alcune i segni del telaio.

Ulrik cominciò a salire senza fiatare. Shani lo seguì anch'essa muta. Eva, dietro di loro, avvertiva quel malessere allo stomaco farsi sempre più forte.

A ogni pianerottolo la luce si faceva più intensa, perché le finestre dei piani alti erano libere dai rampicanti e lasciavano passare la luce del giorno senza filtrarla. I loro passi, pesanti e ritmati, riempivano il silenzio teso tra loro tre.

Erano passati appena una decina di minuti quando giunsero al sedicesimo piano. I gradini erano tanti e ripidi, il loro passo svelto e costante.

Un rumore sordo e improvviso riecheggiò tra quelle mura.

Tac, tac, tac...

Un oggetto che rimbalzava, sotto di loro, sul pavimento. Il suono della caduta che rimbombava da una parete all'altra, fino lassù.

Ulrik e Shani si irrigidirono. La ragazza aveva già impugnato la pistola e la teneva tesa verso il basso. Una velocità di reazione che Eva avrebbe definito sovrumana, visto che il tutto era durato poco più di cinque secondi.

Un lungo silenzio seguì quel rumore.

«Cos'è stato?!» irruppe Shani, dopo un tempo indefinito, l'arma ancora puntata contro la possibile origine di quel suono. Aveva la voce stridula e guardava Ulrik come se si aspettasse da lui una spiegazione.

Il ragazzo era cereo in volto.

«Entriamo qua» le rispose infine. Varcarono insieme la soglia del pianerottolo.

Al di là si trovava un lungo corridoio, almeno duecento metri, che poi svoltava sulla destra e proseguiva chissà dove. Le stanze avevano tutte l'ingresso libero. Nessuno sbarramento, nessun ostacolo.

«Per di qua» disse Ulrik e portò le due ragazze verso l'accesso più vicino. Con l'avambraccio alzato di novanta gradi le fermò e perlustrò la stanza. Era un'enorme abitazione in cui compariva un soggiorno con divano, tre camere dotate di letti e armadi, leggermente socchiuse, una cucina ad angolo e quello che una volta doveva essere stato un tavolo da pranzo. Ora erano rimaste solo le assi e i piedi, stesi sul pavimento.

All'interno, appoggiata al muro, i resti di una porta blindata.

Ulrik fece segno a Shani di controllare la camera a sinistra, lui imbracciò il fucile e si diresse verso le altre due stanze. Eva rimase lì, pietrificata, un brivido le percorreva le fragili membra, le sue mani erano gelide e non aveva la minima idea di cosa avrebbe dovuto fare. Sarebbe stato meglio se fosse rimasta in strada. Perché l'avevano costretta a venire?

«Libero» esclamò Shani. Per la prima volta abbassò la pistola. Davanti a lei c'era un bagno. I sanitari sembravano sassi abbandonati e l'odore acre della muffa si sentiva anche dalla sala principale.

Il capitano fece segno di assenso anche per le altre due camere, che nel frattempo aveva perlustrato. Un tempo erano state le stanze dei bambini.

Si diresse verso Eva, la guardò dritto negli occhi, a una distanza davvero troppo ravvicinata per una comunicazione normale.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraWhere stories live. Discover now