«Se non taci, sarò costretto a strapparti la lingua a mani nude. Tanto quella per la missione non ti serve.» Attraverso la visiera il suo sguardo era così feroce che Murphy temette che stesse parlando sul serio. Si acquietò.

«Siamo atterrati in mare.» proseguì il capitano. «Come faccio a saperlo? Ho già fatto la simulazione. Era previsto un atterraggio di fortuna o con previsioni erronee, quindi niente panico. Abbiamo una scialuppa d'emergenza.»

La navicella compì un altro giro su se stessa, spinta dalle onde. Ulrik si aggrappò al sedile di Eva e si rese conto che la ragazzina era svenuta. Il panico lo fece trasalire. Le prese il polso e spinse il pollice verso l'interno, cercando la vena cefalica. Lì sentì, con sollievo, il pulsare del sangue.

«È viva.» I compagni non erano né sollevati né particolarmente felici.

Hans gli chiese cosa avrebbero dovuto fare.

Ulrik cercò allora, negli zaini sotto i sedili un borsone rosso. Kuran fece il gesto di slacciarsi la cintura per aiutarlo, però il comandante lo fermò con un cenno.

«Tenete le cinture, è pericoloso. Ci penso io. Resistete.»

In silenzio, il gruppo osservò il ragazzo, alto e muscoloso, accovacciarsi sotto i sedili e venire spinto di volta in volta a destra, a sinistra, avanti e indietro. Si aggrappò con fatica ai braccioli, per sfilare un'enorme borsa vermiglia da sotto il sedile di Eva. Estrasse un gommone sottovuoto e due minuscoli remi, e lo stese, meglio che poteva, sul pavimento.

«E come lo gonfiamo?» chiese Hans, il volto sempre più incredulo.

Ulrik si tolse il casco

«No! Non è sicuro! Rik! Non puoi, l'aria potrebbe essere tossica! Potrebbe non esserci ossigeno qua dentro, non riuscirai mai a gonfiarlo da solo!»

«Hai qualche altra idea?»

Più che un gommone sembrava un enorme materassino.

Dovettero aspettare che il mare si calmasse. Ulrik aprì il portellone con una leva e lo calò in mare il canotto, legato a una cima.

Solo allora fece slacciare le cinture ai compagni.

Hans si tolse il casco malvolentieri, il semplice fatto che riuscissero a respirare non significava che l'aria non fosse avvelenata.

Tomas ripeteva, senza sosta, tra sé e sé: "È un suicidio, è un suicidio, è un suicidio." Un mantra caustico che avrebbe forse dovuto placare la sua angoscia. Di sicuro aumentava quella dei compagni.

Ulrik levò il casco di Eva, provò a chiamarla in ogni modo e alla fine la svegliò con uno schiaffo, che gli sfuggì involontariamente troppo forte.

La ragazza che giaceva inerme sul bracciolo da più di un'ora si svegliò con il sapore del sangue in bocca.

«Scusami. Dobbiamo andare, non abbiamo più tempo!» La tirò a sé e la caricò in spalla, come fosse uno zaino.

Eva si divincolò, cercò di lottare ma era senza forze, le braccia e le gambe intorpidite, la gola secca e un fortissimo mal di testa.

«Calmati, okay? Salteremo insieme. Non avere paura.»

Eva sembrò svegliarsi solo allora, strillò con tutto il fiato che aveva in gola che non voleva scendere e si buttò contro il muro, a peso morto, quando vide il mare nero e il materassino rosso su cui i compagni stavano di volta in volta saltando dalla navicella.

«È solo acqua!»

Ulrik cercò di afferrarla, come fosse un gattino impaurito da portare in salvo.

UMANA ∽ Ritorno sulla TerraWhere stories live. Discover now